Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19687 del 21/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/09/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 21/09/2020), n.19687

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4404-2019 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO

RIZZIERI 199, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO GUIDA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

V.C., G.G., G.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1006/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 29/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GRASSO

GIUSEPPE.

 

Fatto

RITENUTO

che la vicenda può riassumersi nei termini seguenti;

– V.C. convenne in giudizio l’ex marito, G.G. e, con altro successivo atto, i figli G.A. e G.F., chiedendo dichiararsi la invalidità, nullità o inefficacia di un atto di trasferimento a non domino, con il quale il G. aveva alienato ai figli, riservandosi l’usufrutto, alcuni immobili di proprietà dell’attrice, la quale aveva, altresì, chiesto condanna al rilascio;

– i convenuti, oltre ad opporsi alla domanda, in via riconvenzionale eccepivano la maturata usucapione, sussistendone i presupposti, stante che l’attrice si era allontanata dal 1974, lasciando nel possesso indisturbato il G., nel mentre la citazione risultava essere stata notificata nel 1999;

– il Tribunale di Vallo della Lucania, accolta in parte la domanda, condannò i convenuti al rilascio solo dei fondi siti in località “Orto” e “Piano S. Antonio”, “ritenendo, invece, (siccome scrive testualmente la sentenza d’appello) fondata l’eccezione di usucapione relativamente ai fondi “Valle Cupa” e “Nocelleto””;

– la Corte d’appello di Salerno, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettata l’impugnazione principale dei convenuti e accolta quella incidentale dell’attrice, parzialmente riformando la statuizione di primo grado, condannò i primi al rilascio anche dei fondi siti in “Valle Cupa” e “Nocelleto”, dichiarò nullo l’atto di trasferimento e dichiarò, altresì, “non perfezionatosi in capo a G.G. alcun acquisto della proprietà per intervenuta usucapione ventennale degli immobili pervenuti alla coerede V.C. per successione in morte di V.P.”;

ritenuto che G.A. ricorre avverso quest’ultima decisione sulla base di quattro motivi, ulteriormente illustrate da memoria, e che le altre parti sono rimaste intimate;

– ritenuto che con il primo motivo il ricorrente denunzia “violaione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 1141 e 1142 c.c. ed in relazione all’art. 2697 c.c. nonchè all’art. 116 c.p.c.”, assumendo che la sentenza censurata era incorsa in errore per:

– non avere tenuto conto delle risultanze istruttorie (in particolare le stesse ammissioni della V.), sulla base delle quali doveva concludersi che l’attrice aveva esercitato il possesso sui fondi, a lei pervenuti nel 1969, a seguito della morte del padre, solo fino al momento della separazione, che non avrebbe potuto identificarsi con la sentenza del 29/3/1983, ma con il momento del deposito del ricorso per separazione della V., avvenuto il 9/12/1977, e da quel momento, avendo la predetta abbandonato il domicilio familiare, G.G. aveva fatto luogo alla “interversione nel possesso”;

Diritto

CONSIDERATO

che il motivo, diretto a una alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, è inammissibile: non è dato sapere sulla base di quali emergenze probatorie il ricorrente fondi la sua pretesa di aver cominciato a possedere (questo il senso dell’improprio richiamo all’istituto dell’interversione del possesso) i fondi dal momento di presentazione della domanda di separazione giudiziale, stante che, anche ad ammettere il contemporaneo allontanamento dalla casa coniugale della V., non v’è apprezzabile ragione per reputare che la stessa da quel momento non si curò più dei terreni di sua proprietà e che il G. esercitò da quel momento, e per vent’anni, pieno e incontrastato dominio sui beni in parola;

ritenuto che con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 in relazione all’art. 2697 c.c. e agli artt. 115 e 116 c.p.c.”, assumendo che la sentenza impugnata non aveva correttamente vagliato le risultanze probatorie, riepilogate alle pagg. 810 del ricorso;

– considerato che il motivo è inammissibile, dovendosi osservare che una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299); di conseguenza il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione (Sez. 3, 23940, 12/10/2017, Rv. 645828), oramai all’interno dell’angusto perimetro delineato dal novellato art. 360, c.p.c., n. 5;

ritenuto che con il terzo motivo il G. prospetta “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 in relazione all’art. 1419 c.c. in relazione agli artt. 101 -112 c.p.c.”, assumendo che la Corte salentina era venuta meno al suo dovere di pronunziare sulla domanda d’usucapione, avendo denegato di verificare la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento dell’usucapione speciale quindicennale, di cui alla L. n. 1102 del 1971;

considerato che il motivo è inammissibile:

– l’usucapione speciale per la piccola proprietà rurale (art. 1159 bis c.c.), prevista per i terreni posti in località montana, costituisce una ipotesi peculiare, per integrare la quale debbono ricorrere gli specifici requisiti di legge e, in particolare, non solo la collocazione del fondo in un comune qualificato amministrativamente montano, ma anche la particolare modestia del reddito catastale dominicale (L. n. 346 del 1976, art. 2);

– non consta che il ricorrente abbia avanzato una tal domanda in sede riconvenzionale, la quale, proposta solo in sede d’appello, in spregio ai diritti di difesa della controparte, doveva reputarsi tardiva;

ritenuto che con il quarto motivo il ricorrente lamenta “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5 in relazione all’art. 1419 c.c. in relazione agli art. 101-112 c.p.c.”, assumendo che la Corte d’appello aveva erroneamente dichiarato la nullità dell’intero contratto, nel mentre l’attrice aveva chiesto dichiararsi la nullità solo a riguardo del trasferimento dei quattro fondi individuati in citazione, di talchè la sentenza si sarebbe dovuta limitare a una pronunzia di nullità parziale; considerato che il motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità a cagione della sua invincibile aspecificità, sotto il profilo del difetto di autosufficienza, non essendo stata posta questa Corte in condizione di conoscere l’atto notarile in discorso;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che non occorre far luogo a statuizione sulle spese non constando la presenza di contraddittore in questa sede; che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002 (inserito dall’art. 1, comma 17 L. n. 228 del 2012), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2020

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