Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19686 del 21/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/09/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 21/09/2020), n.19686

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4275-2019 proposto da:

A.C., T.A.L., A.A.M.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 121, presso lo

studio dell’avvocato SALVATORE VETERE, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

N.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1468/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 18/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GRASSO

GIUSEPPE.

 

Fatto

RITENUTO

per quel che qui rileva, che la vicenda fattuale può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– N.M. citò in giudizio A.C., T.A. e A.A.M., chiedendo annullarsi il contratto di compravendita dell’8/10/2004, attraverso il quale i primi due convenuti avevano alienato, assumendo esserne proprietari, al di loro figlio uno stacco di terreno, di proprietà dell’attrice, per essere a questa pervenuto con contratto di compravendita del 20/9/1983, affermarsi l’inesistenza dei diritti accampati dalla controparte, nonchè la condanna a risarcire il danno;

– i convenuti, oltre a chiedere il rigetto della domanda, chiesero, in via riconvenzionale, dichiararsi l’acquisto in loro favore per intervenuta usucapione;

– il Tribunale accolse la domanda principale della N., non reputando provato il possesso ultraventennale dei convenuti, e rigettò nel resto;

– la Corte d’appello di Catanzaro, decidendo sull’impugnazione dei convenuti, confermò la sentenza di primo grado;

ritenuto che A.C., T.A.L. e A.A.M. ricorrono avverso la statuizione d’appello sulla base di due motivi e che la controparte è rimasta intimata;

ritenuto che con il primo motivo viene prospettata violazione degli artt. 949 e 2697 c.c., sulla base delle seguenti considerazioni:

– non era controverso, siccome affermato dalla sentenza d’appello, che la domanda doveva qualificarsi di negatoria servitutis (e l’ricorrenti richiamano la sentenza n. 12233/2002 di questa Corte, la quale, in aderenza a consolidato principio, afferma che all’attore in negatoria è sufficiente provare l’esistenza del proprio titolo proprietario);

– nella consapevolezza del divieto di criticare in sede di legittimità la “valutazione della attendibilità dei testi fatta dai Giudici del merito”, con il motivo si censura la circostanza di avere attribuito “valenza alla presenza sul terreno di causa, non già dell’attrice ma di soggetti diversi dalla stessa (…) non potendo ritenersi che la prova del possesso di un fondo possa darsi tramite terzi rispetto ai quali manca in radice la prova dell’eventuale ed effettivo conferimento di una “delega” al possesso/gestione del bene”;

considerato che la doglianza non supera il vaglio d’ammissibilità per intrinseca impertinenza della stessa, la quale, pur avendo riconosciuto che l’attrice aveva agito in negatoria servitutis, siccome riscontrato dalla sentenza impugnata, e che la prova della titolarità in un simile caso può essere fornita con la sola allegazione dell’acquisto, senza necessità di soddisfare la c.d. probatio diabolica, assume che l’attrice, adempiuto a un tal onere, avrebbe dovuto dimostrare il proprio possesso, dimostrazione che, viene soggiunto, non avrebbe potuto dare nel caso di possesso mediato; così, ad un tempo, pervertendo la natura dell’azione negatoria di altrui servitù (confusa con l’azione a difesa del possesso), ignorando la possibilità del possesso mediato (solo animo) e invertendo l’onere probatorio gravante sui ricorrenti, che, agendo per l’accertamento dell’usucapione, avrebbero dovuto dimostrare il loro possesso utile allo scopo;

ritenuto che con il secondo motivo i ricorrenti denunziano violazione degli artt. 1140,1158 e 1163 c.c., assumendo che la sentenza d’appello non s’era avveduta che con l’atto di alienazione del 2004 i coniugi A. avevano manifestato inequivocamente il loro animus possidendi e non aveva esaminato “attentamente il quadro probatorio”;

considerato che anche il secondo motivo condivide il destino d’inammissibilità del primo a cagione della sua somma aspecificità: qualificata l’azione della proprietaria in negatoria servitutis, la domanda riconvenzionale d’usucapione venne rigettata alla luce del vaglio probatorio, in questa sede incensurabile (pagg. 5-7);

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.

Diritto

CONSIDERATO

che non v’è luogo a regolare le spese essendo la controparte rimasta intimata;

che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

PQM

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2020

Depositato in cancelleria il 21 settembre 2020

 

 

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