Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19684 del 21/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/09/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 21/09/2020), n.19684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3131-2019 proposto da:

T.G., CA.PI., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO

PANARITI, rappresentati e difesi dall’avvocato STEFANO PERUSI;

– ricorrenti –

contro

C.T., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato STEFANO ACETO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1660/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 13/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GRASSO

GIUSEPPE.

 

Fatto

RITENUTO

che la Corte d’appello di Venezia con la sentenza di cui in epigrafe, per quel che qui rileva, rigettata l’impugnazione avanzata da Ca.Pi. e T.G., confermò quella di primo grado, che aveva disatteso la domanda con la quale costoro avevano chiesto che, accertate le immissioni maleodoranti, provenienti dalla proprietà immobiliare di Tiziano C., quest’ultimo fosse condannato a rimuovere la stalla e talune lastre in amianto e a risarcire il danno;

ritenuto che la Ca. e il T. ricorrono avverso la decisione d’appello sulla base di due censure e che l’intimato resiste con controricorso e che entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa;

ritenuto che i ricorrenti con il primo motivo denunziano violazione o falsa applicazione dell’art. 844 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che la Corte locale, pur avendo riconosciuto lo stato d’incertezza in ordine all’individuazione del legittimato passivo, non aveva tenuto conto del fatto che la titolarità del fondo può non risultare determinante per la riconoscimento del legittimato passivo, “limitandosi ad affermare che gli odierni ricorrenti avrebbero sempre qualificato la domanda proposta nei confronti del sig. C. quale volta ad impedire le immissioni maleodoranti provenienti dal fondo limitrofo in quanto superanti la soglia della normale tollerabilità ai sensi dell’art. 844 c.c., facendo pertanto implicitamente propria la considerazione secondo la quale la suddetta domanda possa essere presentata soltanto nei confronti del proprietario del fondo (…) (era), pertanto, palese come la Corte d’Appello sia (fosse) giunta ad una erronea applicazione della norma di cui all’art. 844 c.c., laddove non ha riconosciuto l’esperibilità dell’azione nei confronti del detentore del bene”.

Diritto

CONSIDERATO

che la doglianza è inammissibile in quanto con la stessa i ricorrenti non colgono la ratio decidendi: escluso il difetto di legittimazione passiva del C. (sia pure con una interlocuzione dubitativa), l’appello risulta essere stato rigettato per non essere rimaste provate le denunziate immissioni;

ritenuto che con il secondo motivo i ricorrenti deducono l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, per non avere la sentenza d’appello tenuto conto delle “condizioni del fondo gestito dal C. al momento della notifica dell’atto di citazione”, basandosi esclusivamente sulle risultanze della CTU, “senza curarsi minimamente di quanto emerge dalle produzioni documentali offerte”;

considerato che anche la seconda doglianza non supera il vaglio d’ammissibilità a motivo dell’irriducibile aspecificità della censura, la quale evoca una situazione di fatto non conoscibile in questa sede, corroborata da documenti non puntualmente allegati al ricorso;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo in favore del controricorrente, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività svolte;

che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese legali in favore del controricorrente, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2020.

Depositato in cancelleria il 21 settembre 2020

 

 

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