Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19683 del 28/08/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 19683 Anno 2013
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: MACIOCE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17077 del R.G. anno 2006
proposto da:
CASO Giovanni, LOMBARDO Renata, LOMBARDO
Gianfranco, nonché CASO Umberto e CASO Ciro n.q. di eredi
di Caso Pasquale dom.ti in Roma via Giovanni P. da Palestrina 47
presso l’avvocato Francesco Paolo Iossa con l’avv. Domenico
Musto del Foro di Napoli che li rappresenta e difende per procura
G1Pk( 25-MQ F-833u
ricorrenticS
a margine – C
A

contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti

domiciliati in Roma via dei

Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che li
rappresenta e difende per legge

resistenti –

avverso la sentenza 1095 del 14.04.2005 della Corte di
Appello di Napoli; udita la relazione della causa svolta nella p.u.
del 18.06.2013 dal Consigliere Dott. Luigi MACIOCE; udito
l’Avvocato dello Stato M. Di Carlo che ha chiesto il rigetto ;
presente il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale

Data pubblicazione: 28/08/2013

t

Dott. Immacolata Zeno che ha chiesto l’inammissibilità on in
subordine il rigetto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Caso Giovanni, Caso Pasquale, Lombardo Renata e Lombardo Gianfranco
nel 1996 convennero innanzi al Tribunale di Napoli i Ministeri delle Finanze, dei Trasporti e della Navigazione e, sull’assunto di essere aventi
causa di Nunzia De Angeli che sin dal 1947 aveva gestito uno stabilimento balneare in regime di concessione sulla spiaggia di Coroglio di

costruzione di un manufatto su porzione della spiaggia stessa, manufatto realizzato e collaudato nel 1960, ne chiesero la condanna al risarcimento dei danni per gli effetti del loro comportamento contrario a buona
fede. Precisarono infatti che in un primo momento l’Amministrazione
aveva fissato in trenta anni il periodo al termine del quale la costruzione
sarebbe passata in proprietà dello Stato ma che, mai essendo stata adottata una concessione per il suo uso (anche perché il forte inquinamento fognario ed industriale dell’area lo aveva in fatto impedito ),
erano stati adottati atti diretti alla futura vendita agli istanti. Asserirono
che con decreto 10.6.1988 il bene era stato classificato nel patrimonio
disponibile ma che, pur essendo stata operata una stima da parte
dell’UTE, il 31.1.1995 il Ministero aveva comunicato la sua impossibilità
di procedere alla vendita a trattativa privata ad essi richiedenti. Di qui
la prospettazione di una grave e protratta inerzia dell’Amministrazione e
l’adozione di un comportamento lesivo della buona fede degli interessati.
E di qui, nella memoria ex art. 183 c. 5 c.p.c. del 15.7.1997, la richiesta
di risarcimento per il mancato trasferimento del manufatto ed in subordine la invocazione dell’indennizzo ex art. 2041 c.c.
Costituitesi le Amministrazioni, che chiesero il rigetto della domanda, il
Tribunale di Napoli con sentenza 4.10.2001 rigettò la domanda risarcitoria e dichiarò inammissibile quella proposta con memoria.
La Corte di Napoli, adìta dai Caso-Lombardo, e costituitesi le Amministrazioni appellate, con sentenza 14.4.2005, respinse i motivi di gravame, affermando, in motivazione: che non aveva consistenza l’ipotesi di
una responsabilità precontrattuale della P.A. per aver ingenerato nei
proprietari del manufatti, anche inducendoli ad accollarsi i costi delle
procedure di accatastamento della costruzione, l’affidamento nel futuro
trasferimento dell’immobile allo Stato con il pagamento dei costi sosteniuti per la sua costruzione; che del pari era inconsistente la pretesa
risarcitoria connessa ai costi, alle spese, ai canoni sostenuti per detta
costruzione in assenza della utilizzabilità dell’arenile a fini propri, in ra4.

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Napoli e che nel 1956 aveva ottenuto autorizzazione ministeriale alla

gione della grave condizione di inquinamento provocata dalle inerzie della stessa P.A.; che in particolare i richiedenti non esibivano alcun interesse pretensivo in ordine al programma operativo delineato dalla P.A. e
tampoco una situazione di diritto scaturente dall’aspettativa alla definizione contrattuale, posto che l’atto di concessione e la sua permanente
efficacia, nonostante la ingestibilità pratica del bene concesso, erano
comunque presupposti per l’impugnazione innanzi al G.A. ma non certo
condizioni per configurare una responsabilità sinallagmatica del conce-

con riguardo alla sua radicale novità rispetto alla domanda risarcitoria,
la tardiva subordinata ex art. 2041 c.c.
Per la cassazione di tale sentenza Caso Giovanni, Lombardo Renata e Gianfranco e i due eredi di Caso Pasquale hanno proposto ricorso
il 25.5.2006 articolando cinque motivi. Le Amministrazioni si sono difese
con mero deposito di atto di costituzione ed alla udienza di discussione
l’Avvocatura dello Stato ha chiesto il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che, nessuna delle censure meritando ingresso o
quantomeno condivisione, il ricorso debba essere rigettato.
Primo motivo: esso si articola in una tortuosa esposizione delle
proprie ragioni di credito a titolo risarcitorio derivanti dagli affidamenti
all’itinerario “contrattuale” proposto dalla P.A. e sino alla finale presa di
atto della impossibilità di procedere alla vendita stante la sopravvenienza ostativa della legge 662/1996; il motivo passa poi ad esprimere generico dissenso dalle statuizioni dei giudici di merito e conclude per
l’accoglimento della detta ragione di doglianza: nell’intero motivo, che si
snoda da pag. 8 a pag. 14 del ricorso, non si riesce a scorgere traccia di
una consapevolezza della statuizione in diritto della sentenza che è desumibile con chiarezza e sintetizzabile nei termini sopra riportati, e che
si attesta nella affermazione per la quale dalle intese generiche e dagli
affidamenti verbali provenienti da innominati soggetti della p.a. e variati
negli anni non ebbero a scaturire né interessi legittimi (a fronte dei quali
difettava alcun esercizio di discrezionalità amministrativa) né diritti soggettivi (in assenza di intese formalmente o sostanzialmente assunte). Un
motivo che quindi totalmente ignora le ragioni per le quali è stata esclusa la sussistenza di alcuna situazione di interesse pretensivo o di diritto
soggettivo, la cui lesione sia azionabile innanzi al G.O., e che si affida
solo a generiche proteste di comportamento doloso e di appropriazione
indebita perpetrata dalla P.A., è chiaramente inammissibile.
Secondo motivo: esso prospetta la violazione degli artt. 936 e
,

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dente; che era ancora inammissibile, come ritenuto dal primo giudice

1150 c.c., per essere stata la P.A. inadempiente tanto all’obbligo di corrispondere ad il terzo, realizzatore del manufatto, l’indennità prevista
nelle sue alternative da dette norme quanto all’obbligo di rimborso delle
spese fatte sulla cosa posseduta. La censura – di evidente plausibilità
per la evocazione di una corretta causa petendi in ordine a pretese indennitarie di chi ebbe a realizzare il manufatto sul bene appartenente al
patrimonio disponibile dello Stato – è di macroscopia novità ed estraneità dalla causa petendi quale lo stesso ricorso espone, assai sommaria-

Essa è dunque inammissibile, per essere stata mai proposta né in primo
grado né tampoco nei motivi di appello, motivi che la sentenza ha cura
di riportare.
Terzo motivo: esso denunzia violazione dell’art. 2697 c.c. per avere i giudici di merito ignorato il principio per il quale, avendo le Amministrazioni convenute dedotto ed eccepito fatti estintivi e non avendo gli
stessi fatti avuto prova alcuna, la domanda avrebbe dovuto essere accolta. La censura, pervero poco comprensibile, è fuor di segno, non
scorgendosi come una pretesa a risarcimento danni per contegno precontrattuale causativo dei danni stessi avrebbe potuto ritenersi comunque provata per ammissione processuale del convenuto le volte in cui il
giudice del merito non la ebbe a rigettare per carenza di “prova” ma per
radicale inesistenza di una situazione soggettiva azionabile e lesa quale
positivamente accertata dal giudice del merito.
Quarto motivo: esso si duole -in modo affatto generico e carente di
autosufficienza – per il fatto della mancata ammissione dei chiesti e negati “mezzi istruttori” (esibizioni documentali, accesso agli Uffici, CTU…).
La censura è totalmente inammissibile per la inettitudine dimostrativa
delle generiche richieste in questa sede richiamate.
Quinto motivo: esso denunzia di mancata applicazione dell’art.
2041 c.c. la decisione di ritenere detta domanda “nuova”, posto che essa
sarebbe stata

implicita nella originaria domanda di risarcimento dei

danni o di indennizzo. La esigenza di tempestiva proposizione della
domanda nella sede della stessa editio actionis è indiscutibile (da ultimo
SU 26128/2010 e Cass. 5288/2012) ma la questione della tempestiva proposizione “implicita” viene riproposta in questa sede in un contesto che fa ritenere comunque irrilevante l’errore di lettura che si afferma
essere stato commesso dal giudice del merito.
Non viene affatto specificata la domanda de qua nei suoi profili fondanti
sì chè i suoi tratti appaiono indefiniti e la stessa affermazione della sua
implicita articolazione in citazione assume profilo esplorativo.

mente, nelle complesse premesse del primo motivo.

Sarebbe stata invero necessaria – non essendo dedotta la nullità della
citazione che, sola, avrebbe consentito a questa Corte il controllo diretto
della questione (S.U. 8077/2012),

ma essendo prospettato solo un

malgoverno ermeneutico della sua lettura – una sua odierna riproposizione sintetica idonea a superare il divieto per il Collegio di accedere
alla diretta lettura degli atti. Ed in difetto di tal illustrazione, la censura
non ha ingresso alcuno.
Si rigetta il ricorso e si dispone, stante la esilità della difesa (solo

spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio.
Col deciso nella c.d.c. del 18/6/2013.
Il ons.est.
*o–

verbale e affatto generica) del Patrocinio Statale, la compensazione delle

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