Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19682 del 27/09/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/09/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 27/09/2011), n.19682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11191/2009 proposto da:

ITALPOL GROUP SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIALE ANGELICO 38, presso lo studio

dell’avvocato SINOPOLI VINCENZO, rappresentato e difeso dall’avvocato

NUSSI Mario, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13/2008 della COMM. TRIB. REG. di TRIESTE,

depositata il 18/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato NUSSI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato D’ASCIA, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso in

subordine rigetto.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. La Italpol Group s.p.a. (già s.r.l.) propone, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), ricorso (successivamente illustrato da memorie) per la cassazione della sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avvisi di diniego di definizione L. n. 289 del 2002, ex art. 9 bis, con riguardo ad omessi o ritardati versamenti Iva relativi agli anni 1998, 2000 e 2001, la C.T.R. Friuli confermava la sentenza di primo grado (che aveva rigettato il ricorso introduttivo), rilevando che nell’ipotesi di condono ex art. 9 bis citato non operano le previsioni dettate, per il caso di omesso pagamento di una rata, dalla medesima L. n. 289 del 2002 per altre forme di definizione.

2. Col primo motivo, deducendo violazione o falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, comma 3, la ricorrente sostiene che, in caso di definizione ex art. 9 bis citato, l’omesso o ritardato versamento delle rate successive alla prima non inficia la dichiarazione di condono, costitutiva del novato titolo obbligatorio, perfezionatosi con la presentazione della suddetta dichiarazione volontaria integrata dal pagamento della prima rata.

Col secondo motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente si duole che i giudici d’appello abbiano contraddittoriamente motivato la ritenuta invalidità ed inefficacia della dichiarazione integrativa ex art. 9 bis citato per il mancato pagamento delle rate successive alla prima sul presupposto erroneo che la definizione ai sensi dell’articolo citato integri una forma di accertamento straordinario.

Prima di esaminare le censure sopra esposte occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C- 132/06 – secondo la quale la Repubblica Italiana è venuta meno agli obblighi di cui agli artt. 2 e 22 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388 CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all’I.V.A., per avere previsto, con la L. 27 dicembre 2002, n. 289, artt. 7 ed 8, una rinuncia generale e indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, così pregiudicando seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto – ha una portata generale, estesa a qualsiasi misura nazionale, sia essa di carattere legislativo o amministrativo, con la quale lo Stato membro rinunci in modo generale o indiscriminato al pagamento di quanto dovuto per Iva (v. cass. n. 20068 del 2009). Tale incompatibilità riguarda, quindi, anche la definizione prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, il quale pertanto, nella parte in cui consente di definire una controversia evitando il pagamento di sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento dell’Iva, deve essere disapplicato per contrasto con la 6^ direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, alla stregua dell’interpretazione adeguatrice imposta dalla citata sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C- 132/06.

E’ in particolare da evidenziare che quanto concerne l’imposta in sè si riferisce ovviamente anche alle sanzioni, delle quali non può essere esclusa l’integrale esazione, come peraltro previsto al punto 42 della sentenza di infrazione (v. sul punto Cass. n. 25701 del 2009 e n. 20068 del 2009 citata), posto che le misure con cui lo Stato membro rinuncia ad una corretta applicazione e/o riscossione dell’I.V.A. devono ritenersi incompatibili con la disciplina comunitaria anche in relazione alle sanzioni di natura tributaria previste dall’ordinamento nazionale per le violazioni di norme che regolano gli obblighi di dichiarazione e pagamento dell’imposta, pur non essendo la materia delle sanzioni regolata dalla sesta direttiva.

In proposito è infatti determinante il rilievo che si tratta di misure di carattere dissuasivo, oltre che repressivo, la cui funzione è quella di determinare il corretto adempimento di un obbligo nascente dal diritto comunitario. E’ peraltro da sottolineare che già una consolidata e risalente giurisprudenza della Corte di Giustizia (v. sentenze in cause 79/83; C – 382 – 383/92; C – 180/95) faceva discendere dal principio di effettività la conseguenza che le sanzioni previste dagli ordinamenti degli Stati membri per garantire un puntuale adempimento di obblighi nascenti dal diritto comunitario non possono essere previste in misura irrisoria (e, quindi, a maggior ragione, non possono essere, in tutto o in parte, soppresse).

E’ infine appena il caso di evidenziare che i principi sopra esposti devono essere applicati da questa Corte a prescindere da specifiche deduzioni di parte. Il principio di effettività contenuto nell’art. 10 del Trattato CE comporta infatti l’obbligo del giudice nazionale di applicare d’ufficio il diritto comunitario, senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali, o, nella specie, il carattere chiuso del giudizio di cassazione (v. in proposito, le sentenze della Corte di Giustizia in cause C – 312/93, Peterbroeck; C – 430-431/93, Van Schijndel; C – 327/00, Santex, alle quali si è adeguata la giurisprudenza di questa Corte, fra le altre, S.U. 18 dicembre 2006, n. 26948).

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, deve essere rigettato il ricorso della contribuente tendente ad ottenere la cassazione della sentenza che ha confermato il rigetto del ricorso avverso il diniego di condono L. n. 289 del 2002, ex art. 9 bis.

Considerato che la citata giurisprudenza di questa Corte (di recepimento della sentenza della Corte di Giustizia 17 luglio 2008) è successiva alla proposizione del ricorso, si dispone la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2011

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