Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19682 del 21/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 21/09/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 21/09/2020), n.19682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13657/2014 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO

36, presso lo studio dell’avvocato MARIO MASSANO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GABRIELE DALLA SANTA;

– ricorrente –

contro

CASSA DI RISPARMIO DI VENEZIA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO TOSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 647/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 04/01/2014 R.G.N. 1384/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/03/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARIO MASSANO;

udito l’Avvocato FRANCESCA BONFRATE per delega verbale Avvocato PAOLO

TOSI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 4.1.2014, la Corte d’appello di Venezia ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di C.A. volta ad ottenere la corresponsione delle differenze che assumeva essergli dovute sulla liquidazione in conto capitale degli accantonamenti effettuati in suo favore dal Fondo Pensioni della Cassa di Risparmio di Venezia, che quantificava in misura pari a Euro 930,75.

La Corte, in particolare, ha ritenuto che l’accordo sindacale del 21.5.2008 non integrasse un’offerta al pubblico in ordine all’ammontare della liquidazione dovuta a ciascun iscritto, ma soltanto una comunicazione programmatica diretta a regolare la ripartizione fra tutti gli iscritti del fondo comune e che, di conseguenza, del tutto legittimo era da considerarsi il comportamento della Cassa di Risparmio di Venezia, che, in quanto gestore del Fondo, aveva applicato, in fase di liquidazione della dotazione a ciascun iscritto, un coefficiente correttivo per ridurne le spettanze in relazione all’ammontare effettivo del patrimonio comune; sotto altro profilo, la Corte ha ritenuto che fosse rimasta incontestata la circostanza dell’avvenuta preventiva comunicazione anche all’appellante della necessità di adottare l’anzidetto coefficiente correttivo, in considerazione della sua appartenenza ad una delle organizzazioni sindacali che avevano partecipato alla procedura di liquidazione del Fondo.

Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per cassazione C.A., deducendo cinque motivi di censura. Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a. ha resistito con controricorso, poi ulteriormente illustrato con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia nullità della sentenza ex art. 156 c.p.c., comma 2, artt. 159 e 112 c.p.c., per avere la Corte di merito omesso la pronuncia sulla domanda giudiziale, decidendo piuttosto, in conseguenza del travisamento dei fatti di causa, sulla diversa domanda proposta da altri lavoratori nei confronti della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e rigettandola in applicazione di accordi negoziali intervenuti nel 1998 e affatto estranei alla materia del contendere del presente giudizio.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti, in relazione agli artt. 99,112 e 113 c.p.c. e all’accordo sindacale del 21.5.2008, per non avere la Corte territoriale statuito sulla domanda proposta e aver deciso la causa senza dare applicazione della normativa rilevante ai fini del decidere.

Con il terzo motivo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360, n. 5, in relazione agli artt. 99,112 e 113 c.p.c., per avere la Corte di merito reso motivazione affetta da travisamento dei fatti.

Con il quarto motivo, il ricorrente si duole di nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 1336 c.c. e art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che l’accordo sindacale del 21.5.2008 e la successiva lettera del 6.6.2008 non costituissero un’offerta al pubblico.

Con il quinto motivo, le medesime doglianze sono ripetute in relazione agli artt. 115,116 e 117 c.p.c. e sotto il diverso profilo dell’erronea valutazione delle prove, per avere la Corte di merito ritenuto che non vi fosse specifica necessità di comunicare all’odierno ricorrente il coefficiente correttivo adottato in fase di liquidazione della sua propria quota, in considerazione della sua appartenenza ad una delle organizzazioni sindacali che avevano partecipato alla procedura di liquidazione del Fondo.

Ciò premesso, i primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione dell’intima connessione delle censure, e sono inammissibili.

Questa Corte, invero, ha ormai consolidato il principio di diritto secondo cui il travisamento dei fatti da parte del giudice di merito, ossia quell’errore che sia consistito nell’erronea percezione del contenuto di atti o documenti acquisiti al processo, non corrisponde ad alcuno dei motivi di ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c.: esso infatti si risolve in un’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con le risultanze degli atti del processo, ed è suscettibile, se del caso, di essere denunciato con il mezzo della revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 (cfr. fra le tante Cass. nn. 1512 del 2003, 4056 del 2009, 20240 del 2015, nonchè, da ult., Cass. n. 15602 del 2018).

Nel caso di specie, è evidente che gli errori che parte ricorrente ha ascritto alla sentenza impugnata nei primi tre motivi attengono precisamente a errori di percezione e non di valutazione: non si potrebbe dire altrimenti con riguardo alla proposizione della causa da parte di “circa 100 dipendenti”, all’indicazione della parte convenuta nella “Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo” o, ancora, al riferimento a “intese e contratti del 1998”, nè del resto si dubita dalla stessa parte ricorrente che i giudici di merito possano essere incorsi in un “travisamento dei fatti” (così infatti il ricorso per cassazione, pag. 13); salvo che, così correttamente dovendo ritenersi, i motivi di censura risultano affatto inammissibili.

Del pari inammissibile è il quarto motivo.

Va premesso, al riguardo, che la Corte territoriale ha affermato che “la prospettazione di astratta configurabilità nella fattispecie di offerta al pubblico ex art. 1336 c.c., non si ravvisa condivisibile (…). Difatti la comunicazione di cui all’accordo del maggio 2008 è di natura programmatica e diretta a regolamentare la ripartizione del fondo comune; dunque, all’evidenza, la formula matematica per il calcolo dei singoli “zainetti” (Le., le liquidazioni in conto capitale degli accantonamenti effettuati dal Fondo Pensioni per ciascun dipendente) era necessariamente ed esclusivamente finalizzata a realizzare detto scopo, senza alcuna indicazione specifica di quantificazione delle singole posizioni individuali” (così la sentenza impugnata, pag. 10).

Ora, nel ricostruire le modalità di deduzione del vizio concernente l’interpretazione di una normativa contrattuale di diritto comune, la consolidata giurisprudenza di questa Corte distingue tra interpretazione del contratto propriamente detta e qualificazione del tipo contrattuale: mentre infatti la prima presuppone un’indagine volta a ricostruire la volontà che le parti hanno consegnato al documento negoziale, che è attività eminentemente riservata al giudice di merito e denunciabile per cassazione solo per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., o per omesso esame circa fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., n. 5, la seconda è propriamente un’operazione di sussunzione della volontà negoziale, siccome accertata dal giudice di merito, nell’astratto tipo legale, ed è per ciò denunciabile per violazione o falsa applicazione di norme di legge, in relazione alla disciplina legale che individua astrattamente il tipo contrattuale che viene in rilievo (cfr. in tal senso, tra le tante, Cass. n. 2048 del 1993).

Tanto premesso, è evidente che, nel caso di specie, il disaccordo di parte ricorrente rispetto al decisum dei giudici territoriali concerne non già il tipo legale entro cui ricondurre la volontà negoziale consegnata all’accordo del 21.5.2008, bensì propriamente la portata precettiva di tale volontà, che i giudici hanno ritenuto avere natura meramente programmatica rispetto alla futura ripartizione della dotazione del fondo, laddove parte ricorrente pretenderebbe di ravvisarvi un impegno immediatamente vincolante per tutti i potenziali interessati; e così ricostruita la natura del dissidio, è altrettanto evidente che la censura, per essere ammissibile, avrebbe dovuto essere veicolata non già per il tramite della supposta violazione dell’art. 1336 c.c., bensì per violazione dei criteri di ermeneutica negoziale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., ovvero denunciando l’omesso esame di un qualche fatto decisivo ai fini della corretta ricostruzione della volontà medesima, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: è infatti parimenti consolidato il principio secondo cui, in presenza di clausole contrattuali recanti espressioni non univoche, la contestazione proposta in sede di legittimità non può limitarsi a prospettare una pur plausibile interpretazione alternativa delle medesime, che sia fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione del contratto è pur sempre riservata (così, tra le più recenti, Cass. n. 15471 del 2017).

Inammissibile, infine, è il quinto motivo: indipendentemente dalla circostanza che l’odierno ricorrente fosse o meno informato circa la necessità di applicare il coefficiente correttivo in fase di liquidazione delle sue spettanze, è infatti evidente che, una volta acclarata l’intangibilità dell’accertamento di fatto circa la natura programmatica e non vincolante della volontà consacrata nell’accordo del 21.5.2008, manca in radice il presupposto su cui è formulata la censura (ossia l’avere l’odierna controricorrente “promesso a tutti un determinato importo”: così il ricorso per cassazione, pag. 17), di talchè quest’ultima si rivela affatto carente d’interesse (art. 100 c.p.c.).

Il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza.

Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 550,00, di cui Euro 350,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2020

 

 

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