Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19679 del 21/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 21/09/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 21/09/2020), n.19679

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5473/2014 proposto da:

INTESA SAN PAOLO S.P.A., (incorporante SANPAOLO IMI S.P.A.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 47 (c/o Fisspa), presso lo studio

dell’avvocato ANGELO PANDOLFO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARIALUCREZIA TURCO;

– ricorrente – principale –

contro

A.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE UMBERTO

TUPINI 113, presso lo studio dell’avvocato NICOLA CORBO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

INTESA SAN PAOLO S.P.A. (incorporante SANPAOLO IMI S.P.A.);

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 411/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 19/08/2013 R.G.N. 1099/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/03/2020 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per accoglimento del ricorso principale

per quanto di ragione, rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato MARIALUCREZIA TURCO;

udito l’Avvocato NICOLA CORBO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale di Salerno, A.F. esponeva di avere lavorato alle dipendenze del Banco di Napoli fino al 30/6/2002, allorchè il rapporto era cessato avendo egli aderito all’esodo incentivato usufruendo delle prestazioni del Fondo di solidarietà e di sostegno al reddito ed all’occupazione, istituito con D.M. 28 aprile 2000, n. 158, per il personale dipendente dalle imprese di credito. Aggiungeva di avere sottoscritto davanti alla Direzione Provinciale del lavoro di Napoli un accordo con cui il Banco si era impegnato, tra l’altro, all’attivazione della procedura per far ottenere al dipendente l’assegno straordinario da parte del Fondo nonchè alla prosecuzione dei versamenti contributivi per il lavoratore fino alla data di maturazione dell’anzianità contributiva utile al pensionamento; che in tale occasione gli era stata fatta firmare una modulistica per la richiesta dell’assegno straordinario, che era rimasta tuttavia incompleta del quadro D che doveva contenere l’indicazione della retribuzione e delle competenze arretrate, quadro che il Banco di Napoli avrebbe dovuto completare ed inviare all’Inps.

2. Il ricorrente riferiva, inoltre, che aveva successivamente accertato che l’importo della retribuzione su cui calcolare la contribuzione previdenziale era stato determinato in misura inferiore, avendo il Banco fatto riferimento solo alle voci fisse della retribuzione contrattuale con conseguente minore accredito dei contributi previdenziali e pregiudizio per il lavoratore.

3. Chiedeva, pertanto, che fosse riconosciuto il proprio diritto a che la convenuta eseguisse i versamenti previdenziali tenendo conto dell’ultimo anno di retribuzione globale, con successivi aggiornamenti Istat, con condanna al pagamento in favore dell’Inps delle somme dovute.

4. Il Tribunale di Salerno accoglieva in parte la domanda, riconoscendo il diritto dell’ A. al ricalcolo della contribuzione, ma non quello alla relativa rivalutazione.

5. La decisione di primo grado veniva confermata dalla Corte d’appello di Salerno con la sentenza qui impugnata.

6. La Corte territoriale richiamava una propria precedente sentenza avente ad oggetto la medesima vicenda e, disattesa l’eccezione di incompetenza territoriale, accertava che nel quadro D della domanda di erogazione dell’assegno la retribuzione media settimanale su cui calcolare i contributi era stata indicata in Euro 777,00 e che tuttavia il Banco di Napoli prima e il San Paolo dopo avevano versato all’Inps contributi su una retribuzione settimanale di Euro 716,00, quindi in misura inferiore a quella risultante sulla domanda di assegno straordinario. Riteneva quindi che il Banco non avesse dato puntuale esecuzione ai suoi impegni, considerato il diverso importo della retribuzione indicato sulla domanda di assegno.

7. La Corte rigettava poi l’appello incidentale con cui il lavoratore aveva chiesto la rivalutazione della retribuzione annuale, argomentando che la rivalutazione non era prevista nella domanda di assegno straordinario, nè nel verbale di conciliazione e comunque poteva operare con riguardo alla prosecuzione della contribuzione volontaria regolamentata dal D.Lgs. n. 184 del 1997, non applicabile alla fattispecie.

8. Avverso la sentenza Intesa San Paolo s.p.a. (già San Paolo IMI s.p.a., incorporante il Banco di Napoli) ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi. A.F. ha resistito con controricorso ed ha proposto altresì ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, cui Intesa San Paolo ha resistito con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c..

9. Il ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti ex art. 335 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

10. Occorre premettere che l’eccezione d’inammissibilità del ricorso principale formulata dal controricorrente non è fondata.

11. La tecnica dell’assemblaggio degli atti processuali determina l’inammissibilità del ricorso solo quando si renda in tal modo incomprensibile il mezzo processuale, perchè privo di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali (ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), della sintetica esposizione della soluzione accolta dal giudice di merito, nonchè dell’illustrazione dell’errore da quest’ultimo commesso e delle ragioni che lo facciano considerare tale (Cass. n. 22185 del 30/10/2015, Cass. n. 8245 del 04/04/2018).

12. Tali lacune non si riscontrano nel ricorso in esame, in cui l’illustrazione dei motivi è formulata in modo completo e comprensibile e le 33 pagine che la precedono, contenenti la trascrizione degli atti del processo, ne costituiscono la premessa.

13. Come primo motivo del ricorso principale la Banca lamenta la nullità della sentenza e la violazione degli artt. 132,156,161 c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost.; sostiene che la sentenza costituirebbe una mera trascrizione di altra decisione resa dalla medesima Corte d’appello in un giudizio intercorso fra esso San Paolo e altro ex dipendente, con utilizzazione di argomenti che sono stati oggetto di altro processo, che non hanno trovato ingresso nel processo in esame e non hanno attinenza con le censure sollevate dall’appellante nel ricorso, sicchè si renderebbe impossibile il confronto tra le tesi dibattute, le censure sollevate e la decisione.

14. Come secondo motivo deduce la nullità della sentenza e la violazione degli artt. 132,156,161 c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost..

15. Il ricorrente lamenta che la Corte abbia ritenuto rilevante la retribuzione indicata nel modulo, mentre questa non aveva nessuna importanza, trattandosi di rapporto previdenziale, sicchè la lite avrebbe dovuto essere risolta applicando la disciplina contenuta nel D.M. n. 158 del 2006 e del D.Lgs. n. 184 del 1997.

16. Come terzo motivo deduce la mancanza di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e la violazione dell’art. 112 c.p.c. e sostiene che erroneamente la Corte d’appello e il giudice di primo grado avrebbero ritenuto che la domanda riguardasse l’adempimento degli obblighi scaturenti dalla conciliazione formalizzata con il dipendente e, quindi, una domanda di adempimento contrattuale che invece non era stata mai proposta, in quanto l’ A. aveva chiesto la condanna della convenuta al pagamento della contribuzione prevista dalla normativa vigente.

17. Come quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 158 del 2000, art. 10, commi 7 e 12. Sostiene che con la sottoscrizione della transazione in sede di DPL l’ A. aveva accettato l’applicazione delle disposizioni contenute nella disciplina del Fondo di solidarietà e che il dato indicato nell’allegato D al modulo compilato dal Banco di Napoli per accedere a detto trattamento si riferiva ad una base errata perchè non determinata a stregua di legge.

18. Come quinto motivo deduce l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia avente ad oggetto l’interesse ad agire dell’ A. e lamenta che la Corte abbia ritenuto che un ampliamento della base su cui calcolare la contribuzione avrebbe determinato automaticamente un ampliamento della base su cui calcolare la pensione, senza fornire alcuna motivazione.

19. A.F. ha proposto a sua volta ricorso incidentale affidato ad un motivo, con il quale deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1993, art. 2, comma 28, D.M. n. 158 del 2002, artt. 1 e segg., D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 184 e di ogni altra norma e principio in materia di contribuzione obbligatoria volontaria e figurativa. Il motivo attinge la sentenza della Corte d’appello nella parte in cui non ha riconosciuto il diritto alla rivalutazione annuale della base pensionabile.

20. Preliminarmente all’esame dei motivi posti con i ricorsi, va rilevata la nullità del giudizio per difetto di integrità del contraddittorio.

21. Come si è detto nello storico di lite, la sentenza impugnata ha confermato quella del Tribunale che aveva condannato Intesa San Paolo s.p.a. a ricalcolare i contributi dovuti al Fondo di solidarietà in base all’ultima mensilità percepita dall’ A. secondo il criterio di 1/360 della retribuzione annua per ogni giornata e a versare all’Inps la differenza tra quelli dovuti e quelli già versati, dalla data dell’esodo alla data di maturazione del trattamento pensionistico di anzianità.

22. Non risulta, però, che l’INPS sia mai stato chiamato in giudizio.

23. In vicenda affatto analoga alla presente questa Corte ha già avuto modo di affermare che essendo la posizione dell’INPS “solo quella di soggetto destinatario del predetto versamento” ed in considerazione dell’autonomia dall’istituto del Fondo di solidarietà, non sarebbe nei suoi confronticonfigurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. n. 13874 del 7 luglio 2016 e Cass. n. 17162 del 2016, in motivazione).

24. A tale soluzione non può tuttavia essere data continuità, ostandovi argomenti logici e sistematici desumibili sia dalla natura della c.d. contribuzione correlata di cui al D.M. n. 158 del 2000, che, più in generale, dalle ricadute di ordine processuale della struttura del rapporto dedotto in giudizio.

25. Circa la natura della contribuzione correlata per i periodi di erogazione dell’assegno straordinario per il sostegno al reddito, da calcolarsi com’è noto sulla base della retribuzione di cui al D.M. n. 158 del 2000, art. 10, comma 7, questa Corte ha chiarito che si tratta di contribuzione di carattere obbligatorio: l’obbligo del Fondo di provvedere ad accreditare la contribuzione presso la gestione previdenziale di iscrizione del lavoratore costituisce infatti oggetto di una autonoma obbligazione di diritto pubblico, che deriva dalle espresse disposizioni del D.M. n. 158 del 2000, che regolano compiutamente tanto il meccanismo di accreditamento quanto la finalità della contribuzione stessa, significativamente definita “correlata” siccome obbligatoriamente rapportata alla prestazione erogata e, dunque, non subordinata, quanto al suo verificarsi, nè ad alcuna preventiva autorizzazione dell’ente previdenziale, nè ad alcuna valutazione del singolo assicurato circa l’utilità che gliene possa derivare ai fini pensionistici, come invece tipicamente accade nelle ipotesi di c.d. contribuzione volontaria (Cass. n. 4433 del 2019).

26. Ciò chiarito, è evidente che la soluzione della questione relativa alla necessità o meno di un litisconsorzio con l’ente previdenziale nella controversia con cui si lamenti, da parte del lavoratore, il mancato versamento della contribuzione correlata da parte del datore di lavoro, deve risultare coerente con gli approdi ermeneutici cui questa Corte è progressivamente pervenuta per ciò che concerne la più generale questione delle parti necessarie del giudizio in cui un lavoratore chieda la condanna del proprio datore di lavoro al pagamento all’ente previdenziale dei contributi dovuti sulla propria prestazione lavorativa: e ciò indipendentemente dal fatto che, nella specie, la normativa di settore ponga formalmente a carico del Fondo il versamento all’INPS della contribuzione correlata, trattandosi di onere che grava in ultima analisi sull’istituto di credito alle cui dipendenze ha prestato servizio il lavoratore prima dell’accesso al Fondo medesimo.

27. Al riguardo, è dato rilevare che, nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità, sono coesistiti per lungo tempo due distinti orientamenti.

28. Secondo il primo di essi, la domanda con la quale il lavoratore subordinato chieda la condanna del datore di lavoro al versamento all’INPS di contributi evasi, al fine della tutela della sua posizione assicurativa, richiede la presenza in causa dell’ente previdenziale, quale diretto interessato all’accertamento giudiziale sull’esistenza e durata del rapporto di lavoro e sulla misura della retribuzione, nonchè quale destinatario del pagamento (così, tra le numerose, Cass. nn. 2452 del 1975, 2638 del 1976, 379 del 1989, 12946 del 1999).

29. Tale orientamento ha ricevuto sistemazione definitiva ad opera di Cass. S.U. n. 3678 del 2009, la quale, pronunciandosi in materia di azione promossa dal lavoratore per ottenere la costituzione della rendita vitalizia L. n. 1338 del 1962, ex art. 13, comma 5, per essersi il datore di lavoro sottratto al versamento all’INPS della relativa riserva matematica e per il cui versamento lo stesso datore resta obbligato, ha affermato la sussistenza di un litisconsorzio necessario nei confronti dell’anzidetto datore di lavoro e dell’INPS, ravvisandone la giustificazione in considerazione del riflesso, sotto il profilo processuale, che assumono gli aspetti sostanziali rappresentati, rispettivamente, dall’interesse del lavoratore alla realizzazione dei presupposti della tutela assicurativa (con la condanna dell’INPS alla costituzione della rendita vitalizia e del datore di lavoro inadempiente al versamento della riserva matematica), dall’interesse dell’INPS a limitare il riconoscimento della rendita vitalizia ai casi di esistenza certa e non fittizia di rapporti di lavoro e dall’interesse del datore di lavoro a non trovarsi esposto, ove il giudizio si svolga in sua assenza, agli effetti pregiudizievoli di un giudicato ai suoi danni a causa del riconoscimento di un inesistente rapporto lavorativo, lontano nel tempo. E, seppure senza alcun esplicito riferimento a Cass. S.U. n. 3678 del 2009, cit., analogo principio di diritto è stato affermato da Cass. n. 19398 del 2014, che, nel riconoscere la sussistenza di un interesse del lavoratore al versamento dei contributi previdenziali di cui sia stato omesso il versamento, ha bensì ammesso la possibilità che egli chieda in giudizio l’accertamento dell’obbligo contributivo del datore di lavoro, al fine di sentirlo condannare al versamento dei contributi che sia ancora possibile giuridicamente versare nei confronti dell’ente previdenziale, a condizione però che entrambi siano stati convenuti in giudizio, a pena d’inammissibilità della domanda (nello stesso senso, da ult., Cass. n. 14853 del 2019).

30. Parallelamente a tale indirizzo, tuttavia, ne è coesistito per lungo tempo un altro (la cui ultima eco si può scorgere proprio in Cass. n. 17162 del 2016, dianzi cit.), che, argomentando dal rilievo secondo cui l’esigenza dell’estensione del contraddittorio a tutti i soggetti del rapporto previdenziale non sussisterebbe qualora venga in contestazione soltanto il rapporto di lavoro o qualche elemento del medesimo o ancora quando, instaurati validamente fra i soggetti interessati il rapporto di lavoro ed il rapporto previdenziale, la contestazione sia limitata al conseguimento di prestazioni derivanti dall’uno o dall’altro, ha escluso la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’ente di previdenza nel giudizio promosso dal lavoratore contro il datore di lavoro per la regolarizzazione della posizione assicurativa (così, tra le tante, Cass. nn. 2684 del 1973, 66 del 1984, 442 del 1986, 72 del 1998, 10377 del 2000, 3941 del 2004): e ciò sul presupposto per cui, in controversie del genere, l’esistenza e/o l’atteggiarsi del rapporto di lavoro subordinato, che rappresenta l’imprescindibile presupposto del rapporto contributivo, costituirebbe un punto pregiudiziale, risolvibile incidenter tantum dal giudice e senza efficacia di giudicato al di fuori della causa in cui l’accertamento avviene.

31. Reputa il Collegio che al primo dei due orientamenti debba qui darsi seguito, ancorchè con i chiarimenti e le precisazioni che seguono.

32. Occorre in primo luogo ribadire, con Cass. n. 19398 del 2014 e Cass. n. 14853 del 2019, che la condanna a favore di terzo è istituto di carattere eccezionale, che può trovare giustificazione solo in presenza di un’espressa previsione legislativa (quali ad es. l’art. 18, commi 2 e 4, St. lav., e D.Lgs. n. 23 del 2015, art. 2, comma 2 e art. 3, comma 2).

33. Ed inoltre, le medesime ragioni di ordine logico e sistematico esaminate da Cass. S.U. n. 3678 del 2009, cit., a sostegno della necessità del litisconsorzio necessario con l’ente previdenziale allorchè l’azione risarcitoria abbia ad oggetto la costituzione della rendita vitalizia, debbono valere anche nel caso in cui oggetto della domanda del lavoratore sia direttamente la condanna del datore di lavoro al pagamento in favore dell’ente previdenziale dei contributi omessi: fermo restando che esula dalle presenti considerazioni ogni indagine circa la configurabilità di una legittimazione straordinaria del lavoratore a sostituirsi all’ente previdenziale e di un suo interesse in concreto a farlo, si deve piuttosto aggiungere, a suffragio della necessità del litisconsorzio con l’ente previdenziale, che l’obbligo datoriale di pagare integralmente i contributi dovuti si configura, nell’ambito del rapporto di lavoro, come obbligo di facere, non già come un diritto di credito ai contributi da parte del lavoratore, e che la sentenza di condanna ad unfacere siffatto, oltre a non essere in alcun modo direttamente utile per il lavoratore, non avrebbe effetto alcuno verso l’ente previdenziale, stante l’indisponibilità delle obbligazioni contributive e l’indiscutibile terzietà dell’ente previdenziale medesimo rispetto al rapporto di lavoro, che gli renderebbe inopponibile qualsiasi giudicato (Cass. n. 4821 del 1999) e, prima ancora, qualsiasi interruzione della prescrizione dei contributi (Cass. n. 7104 del 1992, cit.); ed è appena il caso di ricordare che, giusta la ricostruzione di Cass. S.U. n. 3678 del 2009, cit., l’esigenza della partecipazione al processo di tutti i soggetti della situazione sostanziale dedotta in giudizio sì giustifica in funzione dell’obiettivo di non privare la decisione (indipendentemente dalla sua natura di condanna, di accertamento o costitutiva) dell’unitarietà connessa con l’esperimento dell’azione proposta, ossia quando, in assenza anche di uno soltanto dei soggetti coinvolti, la sentenza risulti inidonea a produrre un qualsiasi effetto giuridico anche nei confronti degli altri: che è proprio ciò che, in assenza dell’ente previdenziale, sarebbe nella specie inevitabile.

34. In merito alle conseguenze della mancata integrazione del contraddittorio, deve rilevarsi che, per principio generale dell’ordinamento processuale, nel caso in cui la parte chieda in giudizio un bene della vita la cui attribuzione non può aver luogo senza che al giudizio partecipi un terzo non dà luogo ad un’ipotesi di inammissibilità della domanda (come ritenuto dalle già citate Cass. nn. 19398 del 2014 e 14853 del 2019), ma integra un’ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c.: e ciò a prescindere da ogni considerazione riguardante le condizioni dell’azione o la fondatezza nel merito della domanda, che sono questioni che possono essere delibate soltanto nel contraddittorio fra tutti gli interessati.

35. Pertanto, considerato che la nullità del giudizio per difetto di integrità del contraddittorio è rilevabile in ogni stato e grado del processo e dunque anche in questa sede di legittimità, con il solo limite del giudicato (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 26388 del 2008, 9394 del 2017), ne deriva ex art. 354 c.p.c., la necessità di rimettere le parti avanti al primo giudice affinchè provveda alla sua instaurazione ex novo, previa integrazione del contraddittorio (giurisprudenza costante fin da Cass. n. 2786 del 1963).

36. La sentenza impugnata va quindi cassata e le parti vanno rimesse avanti al Tribunale di Salerno in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

37. Non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

La Corte, provvedendo sui ricorsi, cassa la sentenza impugnata e rimette le parti davanti al Tribunale di Salerno in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2020

 

 

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