Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19673 del 27/08/2013
Civile Ord. Sez. 6 Num. 19673 Anno 2013
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: CARRATO ALDO
ORDINANZA
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sul ricorso iscritto al N.R.G. 28491/2011 proposto da:
SOCOMART S.R.L. (P.I.: 01000700896), in persona del legale rappresentante protempore, rappresentata e difesa, in virtù di mandato a margine del ricorso, dall’Avv. Elena
Tamburini ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Silvio Aliffi, in Roma, viale
Giulio Cesare, n. 151;
– ricorrente —
contro
CONDOMINIO DI VIA PO, 22, di Siracusa, in persona dell’amministratore pro-tempore,
rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv.
Sebastiano Leone ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Augusto D’Ottavi,
in Roma, via Banco di Santo Spirito, n. 48;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza n. 1145 del 2011 della Corte di appello di Catania,
depositata il 9 agosto 2011 (e notificata il 27 settembre 2011).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 giugno 2013
dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
letta la memoria depositata nell’interesse della ricorrente;
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Data pubblicazione: 27/08/2013
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.
Pierfelice Pratis, che nulla ha osservato in ordine alla relazione ex art. 380 bis c.p. c. in
atti.
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 5 dicembre 2012, la
seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << Con sentenza parziale Socomart nei confronti del Condominio di via Po, n. 22, di Siracusa avente ad oggetto il
pagamento del saldo dovuto per l'appalto (il cui contratto era stato stipulato il 21 marzo
1993) dei lavori di restauro eseguiti dall'attrice nell'edificio del detto Condominio. Avverso
questa sentenza proponeva appello immediato la soccombente s.r.l. Socomart chiedendo
che venisse accertato e dichiarato il suo diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti
sull'edificio del predetto Condominio ai sensi e per gli effetti dell'art. 1661 c.c., nonché la
condanna del Condominio medesimo al pagamento della somma di euro 27.026,19 oltre
accessori e spese giudiziali. Con la successiva sentenza definitiva n. 277 del 2008 lo
stesso Tribunale di Siracusa accoglieva la connessa domanda (riunita all'altra) formulata
dal citato Condominio per il risarcimento dei danni causati dalla s.r.l. Socomart in virtù dei
vizi e dei difetti riscontrati nelle opere realizzate in esecuzione del contratto di appalto. La
s.r.l. Socomart appellava anche questa seconda sentenza e, previa riunione dei due
appelli, chiedeva alla stessa Corte di appello di Catania di adottare le medesime
statuizioni sollecitate con l'atto di gravame avverso la prima sentenza del Tribunale di
Siracusa. Nella resistenza dell'appellato Condominio in entrambi i giudizi di appello (poi
riuniti), la Corte di appello di Catania, con sentenza n. 1145 del 2011 (depositata il 9
agosto 2011), rigettava ambedue i gravami formulati nell'interesse della Socomart s.r.I.,
che condannava anche alle spese del secondo grado. A sostegno dell'adottata decisione
la Corte etnea, quanto ai motivi di gravame riconducibili alle pretese creditorie della stessa
appellante, rilevava che, in effetti, la s.r.l. Socomart aveva avanzato in appello una
2 n. 622 del 2004 il Tribunale di Siracusa rigettava la domanda proposta dalla s.r.l. domanda nuova, siccome riferita ad una diversa "causa petendi" rispetto alla domanda
formulata in primo grado, che riguardava soltanto il riconoscimento ed il pagamento del
saldo dei lavori oggetto di appalto, nel mentre, nel giudizio di gravame, risultava essere
stata dedotta una richiesta di pagamento riconducibile a lavori ulteriori eseguiti ai sensi
dell'art. 1661 c.c. .Con riferimento ai motivi attinenti alla riconosciuta responsabilità della confermava la sentenza impugnata sia con riguardo alla qualificazione di tali vizi che
integravano gravi difetti rilevanti ex art. 1669 c.c. sia in ordine alla riconducibilità degli
stessi in capo alla medesima s.r.l. Socomart.
Avverso la richiamata sentenza di appello (notificata il 27 settembre 2011) ha proposto
ricorso per cassazione (notificato il 23 novembre 2011 e depositato il 6 dicembre 2011) la
s.r.l. Socomart, basato su un solo motivo. Si è costituito in questa fase con controricorso
l'intimato Condominio di via Po, 22, di Siracusa, che ha instato, in via principale, per
l'inammissibilità del ricorso e, in via gradata, per il suo rigetto.
Con il motivo dedotto la ricorrente ha denunciato — ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3,
c.p.c. - la violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., sul presupposto della
prospettata erroneità della valutazione compiuta dalla Corte di appello catanese nel
ritenere che essa ricorrente avesse proposto in appello una domanda nuova rispetto a
quella formulata in primo grado e, quindi, come tale inammissibile.
In particolare, la società ricorrente, con la formulata doglianza, ha inteso dedurre che la
domanda proposta in primo grado dinanzi al Tribunale di Siracusa aveva ad oggetto la
legittima richiesta della stessa di ottenere il maggior compenso per gli ulteriori lavori
eseguiti, sottolineando che il contratto di appalto (nel quale era previsto il prezzo a corpo)
doveva essere interpretato alla stregua del pedissequo capitolato di appalto, onde il
prezzo a corpo avrebbe dovuto essere riferito soltanto alle misure ed alle tipologie dei
lavori previsti in contratto; pertanto, esso sarebbe dovuto rimanere invariabile solo per quei
3 stessa società appaltatrice per vizi e difetti nelle opere eseguite, la Corte territoriale lavori espressamente contabilizzati, previsti e richiesti inizialmente, ma non anche con
riferimento ai lavori maggiori ed ulteriori rispetto a quelli contrattuali, eseguiti in corso
d'opera su precisa richiesta e commissione del direttore dei lavori incaricato dal
Condominio appaltante. Alla stregua di detta prospettazione, quindi, la società ricorrente
ha inteso evidenziare che la domanda poi effettivamente proposta in appello (peraltro cure) non aveva comportato l'inserimento di nuovi elementi costitutivi né l'ampliamento del
tema di indagine, così come non aveva comportato la necessità, seppur in astratto, di
effettuare ulteriori indagini istruttorie.
Rileva il relatore che il motivo svolto dalla ricorrente sia da ritenersi manifestamente
infondato, con la conseguente definibilità del ricorso nelle forme di cui all'art. 380 bis c.p.c.
Diversamente da quanto dedotto dalla ricorrente, la Corte catanese ha, con motivazione
logica ed adeguatamente argomentata (corrispondente alle risultanze degli atti processuali
ed, oltretutto, non specificamente censurata), posto in risalto come la s.r.l. Socomer, a
fronte della domanda proposta in primo grado diretta all'ottenimento della condanna del
Condominio di via Po, 22, di Siracusa al pagamento della somma dovuta a saldo per
l'appalto dei lavori di restauro eseguiti nell'edificio condominiale, alla quale la società
attrice si era direttamente richiamata in sede di precisazione di conclusioni (ponendo
riferimento alle causali spiegate nell'atto introduttivo), aveva, con l'atto di appello,
formulato la diversa domanda relativa all'accertamento del diritto di essa società al
compenso per i maggiori lavori eseguiti sul medesimo edificio ai sensi e per gli effetti
dell'art. 1661 c.c. .
Sulla scorta di tali emergenze e del raffronto tra la domanda formulata in primo grado
(riconfermata in sede di precisazione delle conclusioni e senza che potesse assumere
alcuna rilevanza il riferimento tardivamente dedotto nella comparsa conclusionale anche al
diverso titolo previsto dall'art. 1661 c.c., oltretutto non accolto dal giudice di prime cure) e
4 specificata nella comparsa conclusionale di primo grado, considerata dal giudice di prime quella, invece, avanzata in appello, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto (in
sintonia con la giurisprudenza di questa Corte, anche in relazione al regime previgente
dell'art. 345, comma 1, c.p.c., applicabile, nella specie, "ratione temporis"), che la s.r.l.
Socomer fosse incorsa (come, del resto, tempestivamente eccepito dalla difesa del
Condominio appellato) nella violazione del divieto della proposizione di nuove domande in riferibile ad una diversa "causa petendi" rispetto a quella sulla quale era stata fondata la
domanda di primo grado, consistita nella richiesta di un'integrazione del prezzo sulla base
di una specifica interpretazione del contratto di appalto (diversa da quella sostenuta dal
Condominio appellato) e, quindi, nella richiesta di condanna al pagamento del saldo del
prezzo assunto come pattuito.
In tal senso, quindi, la Corte etnea si è conformata all'indirizzo consolidato di questa Corte
(cfr., tra le tante, Cass. n. 4593 del 2000; Cass. n. 12258 del 2002; Cass. n. 27890 del
2008 e, da ultimo, Cass. n. 2201 del 2012) secondo cui si ha domanda nuova inammissibile in appello - per modificazione della "causa petendi" quando il diverso titolo
giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su
presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il
mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo
tema di indagine e di decisione, alteri l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della
controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca
essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si é svolto in quella sede il
contraddittorio. Si è, inoltre, precisato che tale "mutatio libelli" va rilevata d'ufficio dal
giudice di secondo grado (e, in mancanza, in sede di legittimità), poiché il divieto di
proporre domande nuove in appello costituisce una preclusione all'esercizio della
giurisdizione ed il suo mancato rispetto, integrando, altresì, violazione dei principi del
doppio grado di giurisdizione e del contraddittorio é violazione di norma di ordine pubblico
5 appello, siccome quella formulata, nella fattispecie, in sede di gravame era univocamente (sulla scorta di tale principio, ad es., Cass. n. 5120 del 2001 ha ritenuto, proprio con
riferimento all'appalto, che costituisse una domanda nuova, rispetto a quella dedotta in
primo grado avente ad oggetto l'istanza di pagamento del saldo del corrispettivo
concordato con il contratto di appalto, la richiesta di pagamento degli acconti maturati in
corso d'opera; a maggior ragione, perciò, deve considerarsi come domanda fondata su che, a fronte di una domanda formulata in primo grado per l'ottenimento del saldo del
prezzo pattuito con il contratto di appalto stipulato, faccia riferimento alla richiesta dei
lavori formulata in relazione all'art. 1661 c.c.).
In definitiva, in virtù delle esposte argomentazioni, avendo la sentenza impugnata deciso
la questione di diritto dedotta con il ricorso in modo conforme alla giurisprudenza di questa
Corte senza che siano stati offerti elementi per mutare il pregresso orientamento (cfr.
Cass., S.U., ord., n.19051/2010), si deve ritenere che sembrano emergere le condizioni, in
relazione al disposto dell'art. 380 bis, comma 1, c.p.c. (e con riferimento alla correlata
norma di cui all'art. 375, n. 5, c.p.c.), per poter pervenire al possibile rigetto totale del
proposto ricorso per sua manifesta infondatezza».
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, avverso la quale, peraltro, la memoria difensiva depositata
nell'interesse della ricorrente, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., non apporta alcuna ulteriore
argomentazione idonea confutare la relazione stessa;
ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente — in virtù del principio della soccombenza — al pagamento delle
spese del presente giudizio, liquidate nei sensi di cui in dispositivo, sulla scorta dei nuovi
parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140
(applicabile nel caso di specie in virtù dell'art. 41 dello stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012).
6 una diversa "causa petendi" — e, quindi, inammissibile in appello, in quanto nuova - quella P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in complessivi euro 1.800,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre
accessori nella misura e sulle voci come per legge. di Cassazione, in data 18 giugno 2013. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema