Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19671 del 22/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 22/07/2019, (ud. 23/05/2019, dep. 22/07/2019), n.19671

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20933/2018 proposto da:

D.S., e B.D., domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato RENATA PEPE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ASCEA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 14, presso lo

studio dell’avvocato MASSIMO DI CELMO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 144/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 04/05/2018 R.G.N. 1043/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/05/2019 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

udito l’Avvocato ALESSANDRO TOZZI per delega RENATA PEPE;

udito l’Avvocato MASSIMO DI CELMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 4 maggio 2018) rigetta il reclamo proposto da D.S. e B.D. avverso la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania n. 331/2017, che ha respinto l’opposizione dei reclamanti all’ordinanza di rigetto del ricorso contro il licenziamento senza preavviso intimato agli stessi dal Comune di Ascea.

La Corte d’appello di Salerno, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il primo giudice ha ritenuto legittima la risoluzione del rapporto da parte del Comune di Ascea perchè fondata sulle sentenze n. 562 e n. 563 del 2016 del TAR Campania – Salerno che hanno annullato gli atti della procedura concorsuale indetta dal Comune stesso per l’assunzione part-time a tempo indeterminato di due vigili urbani (categoria C) avendo rilevato la violazione del principio dell’anonimato delle prove espletate e della trasparenza per inidonea conservazione degli elaborati, affermando che l’annullamento della graduatoria determinava la nullità dei contratti di lavoro dei ricorrenti (vincitori del concorso) perchè stipulati in violazione dell’art. 97 Cost.;

b) la procedura concorsuale in oggetto è stata annullata dalla P.A. nell’esercizio di un’attività ricognitiva delle decisioni del giudice amministrativo e non di un potere autoritativo – per violazione dell’art. 97 Cost., sotto il principale profilo del mancato rispetto del principio dell’anonimato – derivante dalla richiesta sottoscrizione da parte dei concorrenti di ogni pagina degli elaborati – che non è derogabile e che comporta che la procedura stessa deve ritenersi affetta da nullità assoluta operante ab origine, con caducazione di tutti gli atti collegati che hanno trovato nella procedura annullata un antecedente necessario;

c) quanto al risarcimento del danno, da Cass. 8 febbraio 2007, n. 2771 si desume che la situazione giuridica soggettiva dei reclamanti va ricondotta alla figura dell’interesse pretensivo ma il correlato onere probatorio non è stato adeguatamente soddisfatto non essendo la perdita del posto (per annullamento del concorso) circostanza sufficiente a fondare la responsabilità della P.A., occorrendo la prova che l’interessato si trovava in una situazione soggettiva destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole del concorso, se questo si fosse svolto regolarmente;

d) inoltre nulla è stato eccepito in ordine alla violazione del principio della trasparenza che, come rilevato dal giudice amministrativo, ha caratterizzato le diverse fasi della procedura per inidonea conservazione degli elaborati.

2. Il ricorso di D.S. e B.D. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, il Comune di Ascea.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I – Profili preliminari.

1. Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dal Comune e basata sull’assunto secondo cui il ricorso non sarebbe conforme all’art. 366 c.p.c., n. 3, principalmente perchè non conterrebbe “il minimo accenno alla posizione difensiva che il Comune di Ascea ha assunto nei pregressi gradi di giudizio” e sarebbe anche privo dell’esposizione, ancorchè sintetica, delle argomentazioni poste a fondamento della sentenza impugnata.

1.1. L’eccezione deve essere respinta.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, la suddetta disposizione del codice di rito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte ai provvedimento impugnato (Cass. 22 settembre 2003, n. 14001; Cass. 29 agosto 2011, n. 17719; Cass. 9 novembre 2011, n. 23346).

In altri termini, per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dell’art. 366 c.p.c., n. 3, non è necessario che l’esposizione dei fatti costituisca una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi di ricorso, nè occorre una narrativa analitica o particolareggiata che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata, ma è sufficiente – ed, insieme, indispensabile – che dal contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto” sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (Cass. 28 agosto 2004, n. 16360; Cass. SU 18 giugno 2006, n. 11653).

1.2. Nella specie il ricorso, attraverso la sua premessa in fatto e la successiva chiare esposizione dei motivi consente di intendere agevolmente la vicenda processuale sottoposta all’attenzione di questa Corte.

Pertanto è da escludere che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile per la suddetta ragione.

II – Sintesi dei motivi di ricorso.

2. Il ricorso è articolato in due motivi.

2.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione delle seguenti disposizioni: art. 1418 c.c.; art. 1429 c.c., comma 4; D.P.R. n. 487 del 1994, art. 14, comma 6 e art. 18-bis; D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 2.

Si sostiene che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, si desumerebbe che l’annullamento della procedura concorsuale per vizi di illegittimità della stessa non determina ipso iure l’inefficacia degli eventuali contratti di lavoro stipulati, in quanto tali contratti sono viziati da annullabilità e non da nullità ex art. 1418 c.c..

Nella specie la procedura concorsuale è stata dichiarata illegittima per violazione – non in concreto, ma in astratto del principio dell’anonimato di cui al D.P.R. n. 487 del 1994, art. 14, comma 6, principio che per gli enti locali non ha carattere imperativo ai sensi del successivo art. 18-bis dello stesso D.P.R. ma è di “mero indirizzo”, pertanto alla fattispecie sarebbe disciplinata dall’art. 1429 c.c., n. 4 e non dall’art. 1418 c.c. e art. 97 Cost., quest’ultima applicabile nei casi di assenza di una procedura concorsuale e non di una procedura concorsuale viziata.

Di conseguenza, la P.A. non ha il potere di risolvere “in tronco” il rapporto di lavoro, con atto di mera ricognizione della sentenza del Giudice amministrativo.

La Corte territoriale è giunta erroneamente ad una diversa conclusione, richiamando in modo fallace Cass. n. 19626 del 2015, che smentisce la tesi del Giudice di appello.

2.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione delle seguenti disposizioni: artt. 1218,2043,1175 e 1375 c.c.; D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 2 e 63.

Si rileva che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, per la disciplina dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, rimanda alle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e, nella specie la P.A. con la redazione di un bando di concorso illecito ha violato i principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., incorrendo in una responsabilità di tipo contrattuale ex art. 1218 c.c., con quel che ne consegue in ordine all’onere probatorio.

Si tratta, quindi, di una responsabilità per colpa che ha causato un vulnus al diritto soggettivo perfetto dei ricorrenti – derivante dall’avvenuto superamento del concorso seguito dalla stipulazione del contratto di lavoro che, al momento della risoluzione del rapporto, era già entrato nel patrimonio degli interessati.

Non si tratta quindi di una responsabilità di tipo extracontrattuale da violazione di un interesse pretensivo, come si legge nella sentenza impugnata, interesse configurabile nel diverso caso in cui si lamenti la mancata adozione di un atto autoritativo da parte della P.A.

III – Esame delle censure.

3. L’esame congiunto dei motivi porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso per l’assorbente ragione secondo cui i ricorrenti non hanno censurato la ratio decidendi – autonoma e idonea a sorreggere la decisione della sentenza impugnata relativa alla affermata sussistenza della violazione del principio della trasparenza dell’azione della PA – derivante dall’art. 97 Cost. – a causa dell’inidonea conservazione degli elaborati.

Trova quindi applicazione il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, l’omessa impugnazione di una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (vedi, per tutte: Cass. 5 ottobre 1973, n. 2499; Cass. SU 8 agosto 2005, n. 16602; Cass. SU 29 maggio 2013, n. 7931; Cass. 11 febbraio 2011, n. 3386; Cass. 27 maggio.2014, n. 11827).

IV – Conclusioni.

4. In sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 (cento/00) per esborsi, Euro 5500,00 (cinquemilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2019

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