Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19668 del 16/09/2010

Cassazione civile sez. III, 16/09/2010, (ud. 17/06/2010, dep. 16/09/2010), n.19668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 6735/2009 proposto da:

G.R., G.G., M.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CASSIODORO 19, presso lo

studio dell’avvocato PANSADORO Alessandro, che li rappresenta e

difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

IMPRESA EDILE ALESSANDRINI FEDERICO & C. Snc in Persona dei

soci e

legali rappresentanti sigg.ri A.F., A.

S., L.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

G. NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato RAUSEO Nicoletta, che

li rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1839/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

25.1.08, depositata il 05/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/06/2010 dal Consigliere Relatore “Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito per i ricorrenti l’Avvocato Carmine Di Zenzo (per delega avv.

Alessandro Pansadoro) che si riporta agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. VINCENZO

MARINELLI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto

di ragione.

La Corte, letti gli atti depositati:

 

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1. Con ricorso notificato il 19 marzo 2009 G.G., G. R. e M.A. hanno chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 5 novembre 2008 dalla Corte d’Appello di Bologna che, pronunciando in sede di rinvio, aveva confermato la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno rigettando la loro domanda finalizzata ad ottenere il trasferimento della proprietà di un immobile.

Gli intimati. Impresa Edile Alessandrini Federico & C, A. F., L.R. e A.S., hanno resistito con controricorso.

2. I tre motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella dei 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Con il primo motivo i ricorrenti adducono omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio correlata alla qualifica di coltivatori diretti in relazione alla identificazione del terreno.

La censura, prospettata esclusivamente sotto il profilo del vizio di motivazione dell’art. 360 c.p.c., ex n. 5, si sviluppa con ampi riferimenti alle risultanze processuali, nei cui confronti non sempre viene rispettato il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (in particolare per quanto riguarda i contratti indicati), e si conclude con un momento di sintesi che, anzichè dare ragione delle rispettivamente denunciate omissioni, insufficienze e contraddittorietà motivazionali, postula una diversa ricostruzione dei fatti e una conseguente valutazione difforme da quella adottata dalla Corte territoriale.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 31. Con esso censurano la sentenza impugnata per avere ritenuto particolarmente significativa la loro mancata iscrizione negli elenchi dei contributi agricolo unificati, sottovalutando le risultanze testimoniali. La censura, formalmente prospettata sotto il profilo della violazione di legge, in realtà contesta un apprezzamento di fatto della Corte territoriale e, infatti, si conclude con un quesito che non postula l’enunciazione di un principio di diritto fondato sulla norma indicata, ma chiede alla Corte di compiere una verifica nel merito della correttezza della sentenza impugnata, peraltro trascurandone la motivazione.

Infatti la Corte territoriale, premessi correttamente i principi giuridici che regolano la materia, ha spiegato che i ricorrenti non avevano provato la qualità all’epoca – di coltivatori diretti. A tal fine ha esaminato tutte le risultanze processuali, rilevando l’assenza di certificazioni amministrative, l’inefficacia probatoria della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà proveniente dalla parte interessata, la genericità assoluta e l’insufficienza delle dichiarazioni testimoniali, la circostanza che tutti svolgessero un’altra attività e la mancata iscrizione SCAU. Come risulta dalla sintesi che precede, quest’ultimo elemento è stato inserito in un più vasto quadro probatorio che la Corte territoriale, con apprezzamento non censurabile, ha ritenuto contrario alla loro tesi.

Il terzo motivo ipotizza omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla qualificazione urbana del fabbricato.

Anche questa censura viene prospettata con esclusivo riferimento all’art. 366 c.p.c., n. 5 e implica valutazioni di merito. A prescindere da qualsiasi altra considerazione è determinante il rilievo che la doglianza risulta priva dell’indispensabile requisito della decisività, poichè la negata qualità di coltivatori diretti esclude in radice il loro diritto di riscatto.

4.- La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti;

Entrambe le parti hanno presentato memorie e i ricorrenti hanno chiesto d’essere ascoltati in Camera di consiglio;

Le argomentazioni addotte dai ricorrenti con la memoria si attestano sulla valutazione della prova testimoniale e sulla identificazione delle particelle ancora oggetto di controversia, cioè trattano questioni che non possono essere risolte senza compiere un’indagine non consentita in sede di legittimità e, per contro, non affrontano il tema della inidoneità dei quesiti;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380 bis e 385 cod, proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.800,00, di cui Euro 1.600,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2010

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