Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19667 del 16/09/2010

Cassazione civile sez. III, 16/09/2010, (ud. 17/06/2010, dep. 16/09/2010), n.19667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 4435-2009 proposto da:

B.S., C.R., elettivamente, domiciliati

in ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato

BRIZZOLARI MAURIZIO, rappresentati e difesi dall’avvocato PAOLINI

PAOLO EMILIO, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

L.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 109,

presso lo studio dell’avvocato VOLPETTI ENRICO, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARTINI ROBERTO, giusta mandato e procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

CA.CL.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1058/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del

17.6.08, depositata il 17/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/06/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito per i ricorrenti l’Avvocato Maurizio Brizzolari (per delega

avv. Paolo Emilio Paolini) che si riporta ai motivi del ricorso;

udito per la controricorrente l’Avvocato Enrico Volpetti (per delega

avv. Roberto Martini) che si riporta agli scritti e deposita nota

spese.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. VINCENZO

MARINELLI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

La Corte, Letti gli atti depositati:

 

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 12 febbraio 2009 C.R. e B.S. hanno chiesto la cassazione della sentenza, notificata il 15 dicembre 2008, depositata in data 17 luglio 2008 dalla Corte d’Appello di Firenze che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Siena, aveva trasferito alcuni immobili a L.L..

Costei ha resistito con controricorso, mentre l’altra intimata, Ca.Cl., non ha espletato attività difensiva.

2 – Il ricorso è tempestivo, essendo a tal fine sufficiente la notifica nei termini all’altra intimata Ca.Cl., ma è inammissibile poichè la formulazione dei quattro motivi non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 366- bis c.p.c..

Quanto alla prima norma, è orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3 n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità.

In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

Quanto alla seconda norma, occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, l’art. 366 bis c.p.c. va interpretato nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della Legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto della L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7 e L. 26 maggio 1965, n 590, art. 8. La censura, che non rispetta il disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6 con riferimento al contratto all’origine della controversia, attiene al tema dell’esercizio del diritto di prelazione nell’ipotesi di vendita di un complesso di terreni attigui tra loro e confinanti solo in parte con il fondo del coltivatore diretto. Il quesito finale si rivela inappropriato poichè da per scontata una situazione di fatto, cioè che i diversi terreni non costituiscano unità colturale, nell’ambito della quale ogni terreno sia privo di propria autonomia coltivatrice – che implica un apprezzamento di merito risolto in maniera difforme dalla Corte territoriale, la quale ha fatto leva sulla modesta estensione del terreno e sulla sua insufficienza per qualsivoglia attività agricola.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il tema è appunto quello della non autosufficienza del terreno.

La censura, che non rispetta il disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6 con riferimento alla menzionata C.T.U., implica una disamina di merito, non consentita al giudice di legittimità e risulta priva del momento di sintesi formulato secondo i criteri sopra enunciati.

Con il terzo motivo si ipotizza violazione e/o falsa applicazione (non meglio specificate come se si trattasse di sinonimi) del combinato disposto della L. 3 maggio 1892, n. 203, artt. 31 e 34, comma 1, lett. b. Si assume che la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto cessato al sesto anno successivo al termine dell’annata agraria il rapporto mezzadrile tra la Ca. e i coniugi C.M. e R.A., sul presupposto che il podere de quo non costituisse unità produttiva insufficiente.

La doglianza non rispetta il dettato dell’art. 366 c.p.c., n. 6 nei riguardi dei documenti indicati e si rivela (adde: non) autosufficiente poichè i ricorrenti non spiegano quale sia la ragione giuridica che li legittimi a censurare una statuizione che non li riguarda direttamente. D’altra parte anche il motivo in esame si basa su una questione di fatto (la sufficienza produttiva o meno del terreno) che non può essere diversamente risolta in questa sede.

Il quesito finale prescinde totalmente dai necessari riferimenti al caso concreto e alla motivazione della sentenza impugnata e, quindi, si connota di astrattezza assoluta.

Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il tema è quello dell’affermata natura obiettivamente agricola del compendio compravenduto. Anche questa censura argomenta circa la C.T.U. in relazione alla quale non è stato rispettato l’onere processuale posto dall’art. 366 c.p.c., n. 6. Essa implica apprezzamenti non consentiti in sede di legittimità e risulta priva di un momento di sintesi idoneo.

4 – La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

I ricorrenti hanno presentato memoria; entrambe le parti hanno chiesto d’essere ascoltate in camera di consiglio;

Le argomentazioni addotte dai ricorrenti con la memoria non adducono a diversa statuizione restando confermati la violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 la inidoneità dei quesiti, il carattere fattuale delle censure;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2010

 

 

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