Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19666 del 22/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 22/07/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 22/07/2019), n.19666

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25559/2014 proposto da:

T.M., e C.M.C., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA FORNOVO 3, presso lo studio dell’avvocato

PAOLO SPERDUTI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MATILDE GIAMMARCO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del

Ministro pro tempore, DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO DI PESCARA,

in persona del legale rappresentante pro tempore, entrambi

rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui. Uffici domiciliano in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 605/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 19/06/2014 R.G.N. 780/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/04/2019 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PAOLO SPERDUTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di L’Aquila, sezione per le controversie di lavoro e previdenza, con sentenza del 19 giugno 2014, ha confermato la pronuncia del giudice del lavoro di primo grado che aveva respinto le opposizioni ad ordinanze ingiunzioni emesse dall’allora Direzione Provinciale del Lavoro di Pescara nei confronti di T.M. e C.M.C., oltre che di M.F., per violazioni della disciplina legislativa relativamente alla gestione di rapporti di lavoro intrattenuti dalla K.G.R.M. Srl.

2. La Corte, per quanto qui interessa in ordine alla posizione del T. e della C., ha considerato che dall’istruttoria espletata era emerso che tutti i testimoni escussi li avevano indicati come amministratori di fatto della società.

Ha escluso la violazione del principio del ne bis in idem, essendo stata fatta una corretta applicazione nella specie del principio di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 5, essendo stati i fatti imputati “sia agli amministratori formalmente nominati, che a quelli di fatto esercenti l’attività imprenditoriale”, “essendo poi le violazioni riferite a momenti di commissione diversi ed a lavoratori anche diversi, ovvero agli stessi lavoratori ma per diverse tipologie di infrazioni”.

Pertanto ravvisando “più azioni od omissioni comportanti diverse infrazioni” la Corte ha anche escluso l’applicabilità della L. n. 689 del 1981, art. 8, previsto per i soli casi di concorso formale, “cioè quando il medesimo soggetto con una sola azione od omissione commette più infrazioni”.

3. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso T.M. e C.M.C. con 5 motivi cui hanno resistito il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali e la Direzione Territoriale del lavoro di Pescara con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto per avere la Corte territoriale adita con citazione in appello disposto, con ordinanza del 18 marzo 2014, il mutamento del rito sul presupposto che la sentenza di primo grado era stata pronunciata dal giudice del lavoro per cui la causa doveva proseguire con il rito previsto dalle controversie di lavoro innanzi alla sezione della Corte tabellarmente competente. Si sostiene la violazione “del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge stante il contrasto con il regime proprio del giudizio di appello in tema di opposizione a sanzioni amministrative”.

Con il secondo mezzo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 426 c.p.c., “nella parte in cui, in violazione del diritto di difesa, è stato disposto il mutamento del rito ordinario in rito speciale senza alcuna concessione di termini per l’eventuale integrazione dell’atto introduttivo mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria”.

2. I due motivi, congiuntamente esaminabili per connessione, non meritano accoglimento.

Rileva, infatti, il principio più volte enunciato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui l’individuazione del mezzo d’impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va effettuata in base alla qualificazione giuridica del rapporto controverso adottata dal giudice nel provvedimento stesso, a prescindere dalla sua esattezza (Cass. S.U. n. 1914 e n. 3467 del 1994); principio di ultrattività del rito cui è stata data continuità, in tema di impugnazioni, ribadendo che la proposizione dell’appello deve conformarsi alle forme del rito seguito in primo grado (Cass. n. 25553 del 2016; Cass. n. 144 del 2015, Cass. n. 12990 del 2010).

L’individuazione del rito applicabile in appello (rilevante anche ai fini del giudizio sulla tempestività dell’impugnazione: v. Cass. n. 23052 del 2017) è stata dunque effettuata nella specie dalla Corte territoriale sulla base del dato incontestato che la sentenza di primo grado era stata pronunciata dal giudice del lavoro del Tribunale di Pescara, indipendentemente dalla circostanza che tale scelta, peraltro attuata dagli stessi ricorrenti con gli atti introduttivi del giudizio, fosse esatta o meno.

Pertanto non può neanche parlarsi di mutamento del rito quanto piuttosto di prosecuzione del processo nelle forme prescritte in ossequio al principio di ultrattività del rito, non essendo quindi neanche necessario, come invocato da parte ricorrente, adottare i provvedimenti previsti dall’art. 426 c.p.c., atteso che il “cambiamento del rito in appello” è regolato dall’art. 439 c.p.c. e in tale grado sono già intervenute le decadenze a carico delle parti, costituite o contumaci, sicchè non è ravvisabile la stessa “ratio” sottesa alle prescrizioni di cui all’art. 426 c.p.c. (cfr. Cass. n. 27340 del 2018).

3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto “in relazione all’art. 114 c.p.c. (ndr. così nel testo) sulla corretta valutazione della prova acquisita all’incarto processuale; inesistente motivazione sul fatto decisivo per il giudizio (qualità amministratore di fatto)”.

Con il quarto mezzo si denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 5 (violazione del principio del ne bis in idem)”. Si sostiene che nella specie si sarebbe verificata “l’applicazione duplicata dello stesso trattamento sanzionatorio per la stessa fattispecie violata in capo al medesimo soggetto”.

4. I motivi sono congiuntamente esaminabili in quanto affetti dal medesimo vizio che ne determina l’inammissibilità.

Infatti con essi, anche laddove solo formalmente si prospettano violazioni di legge, nella sostanza si contestano gli accertamenti dei fatti così come conformemente ricostruiti dai giudici del merito cui tale compito spetta, senza che l’apprezzamento del materiale istruttorio possa essere sindacato in questa sede di legittimità.

Invero con il terzo motivo si contesta il convincimento espresso dai giudici del merito circa l’attribuzione della qualità di amministratori di fatto al T. ed alla C., che la Corte di Appello ha tratto dalle deposizioni testimoniali assunte, non inficiate da sentenza emessa in altro giudizio, che pure è stata valutata – e quindi non se ne è omesso l’esame – ma ritenuta non tale da mutare il convincimento espresso.

Parimenti il quarto motivo, che invoca il vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 3, afferma un fatto diverso da quello narrato nella sentenza impugnata, secondo la quale “le violazioni (sono) riferite a momenti di commissione diversi ed a lavoratori anche diversi, ovvero agli stessi lavoratori ma per diverse tipologie di infrazioni”. Tuttavia, come noto, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (tra le molteplici, Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007). Sicchè il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata perchè è quella che è stata operata dai giudici del merito; al contrario, laddove si critichi la ricostruzione della vicenda storica quale risultante dalla sentenza impugnata, come nella specie, si è fuori dall’ambito di operatività dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e la censura è attratta inevitabilmente nei confini del sindacabile esclusivamente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione tempo per tempo vigente, vizio che appunto postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti.

5. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 5 ed art. 8, comma 2, per “errata applicazione del principio dell’illecito continuato in ambito di previdenza e assistenza obbligatoria”.

Si sostiene che, laddove della L. n. 689 del 1981, art. 8, comma 2, deroga alla limitazione imposta dal comma 1 in caso di violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, dovrebbe ricomprendere “anche quelle attinenti alla materia del collocamento quali sono quelle oggetto di applicazione nel caso di specie”.

La censura, in disparte l’inammissibilità derivante dal suo carattere di novità non essendo precisato nel motivo quando ed in che modo la questione sia stata sollevata nel giudizio, non può comunque trovare accoglimento.

In diritto la Corte territoriale ha correttamente richiamato il principio che esclude l’applicabilità della disciplina della continuazione, in quanto l’unificazione di più violazioni di diverse disposizioni o della stessa disposizione riguarda l’ipotesi in cui la pluralità delle stesse discende da una sola azione od omissione (concorso formale di violazione) e non opera nell’ipotesi in cui le condotte risultino distinte (concorso materiale di violazioni) (in questo senso, ex plurimis, Cass. n. 17073 del 2007; Cass. n. 3343 del 1999; Cass. n. 10636 del 1998; Cass. n. 7160 del 1997).

Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto nel motivo, “la materia del collocamento al lavoro certamente è estranea all’ambito della materia previdenziale e assistenziale, cosicchè, alle violazioni amministrative ad essa inerenti, non è applicabile la L. n. 689 del 1981, art. 8, comma 2, nel testo di cui al D.L. 2 dicembre 1985, n. 688, art. 1 sexies (convertito, con modifiche, dalla L. 31 gennaio 1986, n. 11), che ha introdotto l’istituto della continuazione con riguardo ad una pluralità di violazioni amministrative – della stessa o di diverse norme di legge – in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, poste in essere, anche in tempi diversi, in esecuzione di un medesimo disegno” (da ultimo, in termini, v. Cass. n. 10775 del 2017; in precedenza Cass. n. 16620 del 2003);

5. Conclusivamente il ricorso va rigettato, con spese liquidate secondo soccombenza in favore delle amministrazioni controricorrenti difese dall’Avvocatura Generale dello Stato.

Occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2019

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