Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19663 del 22/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 22/07/2019, (ud. 28/03/2019, dep. 22/07/2019), n.19663

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6846/2016 proposto da:

L.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAPRANICA 95, presso lo studio dell’avvocato MARCELLA ANNA ZAPPIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO MARIO TRAVIA;

– ricorrente –

contro

MONTE PASCHI SIENA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE

II 326, presso lo studio dell’avvocato RENATO SCOGNAMIGLIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO SCOGNAMIGLIO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1461/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 28/12/2015 R.G.N. 595/2013.

Fatto

RILEVATO

Che:

La Corte d’Appello di Messina, con sentenza resa pubblica il 28/12/2015, confermava la pronuncia del giudice di prima istanza che aveva respinto le domande proposte da L.P.A. nei confronti della s.p.a. Banca Monte dei Paschi di Siena, volte a conseguire il risarcimento del danno da mobbing che assumeva di aver risentito per effetto di una serie di comportamenti persecutori posti in essere dalla parte datoriale, disponendo altresì il rigetto della domanda riconvenzionale da quest’ultima proposta, ed intesa ad ottenere il ristoro del danno arrecato da condotte disciplinarmente rilevanti del lavoratore, esitate nel licenziamento intimato per giusta causa il 22.6.94.

La Corte distrettuale argomentava, in estrema sintesi, che la vicenda scrutinata traeva origine dal protesto di tre assegni sottoscritti dal L.. Quanto al primo, si rimarcava che non poteva ipotizzarsi un comportamento dell’istituto che vulnerasse il principio di correttezza e buona fede nell’aver esperito la procedura di protesto, non essendovi prova che avesse ricevuto la denuncia di furto (peraltro in forma orale) dell’assegno – cui era collegata la contestazione della autenticità della firma apposta in calce – prima dell’espletamento della procedura stessa. Ricevuto un assegno privo di fondi ed in mancanza di formale denuncia di furto, la banca era legittimata ad elevare protesto con la causale corrispondente, non essendo ancora a conoscenza della apocrifia della firma del debitore.

Neanche la condotta dell’istituto poteva ritenersi illegittima per aver elevato il protesto prima della scadenza del termine ultimo previsto dal R.D. n. 1736 del 1933, art. 32, dovendo attivarsi prontamente in caso di mancanza di provvista, a tutelare la posizione dei terzi in buona fede eventuali possessori del titolo.

Quanto al secondo ed al terzo protesto, pur ritenuti non legittimamente elevati, la Corte deduceva la carenza di prova del danno che il L. assumeva di aver subito, sia sotto il profilo della reputazione professionale, sia sotto il profilo del danno alla salute.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione L.P.A. sulla base di tre motivi.

Resiste la società intimata con controricorso, spiegando nel contempo ricorso incidentale sostenuto da unico motivo.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia omesso esame del fatto relativo alla comunicazione immediata del furto dell’assegno da parte del L., nonchè violazione e falsa applicazione R.D. n. 1736 del 1933, art. 46,artt. 1175,1375 c.c., artt. 1176,1218,2073,2059 c.c..

Ci si duole che la Corte di merito abbia tralasciato di considerare taluni dati istruttori, acquisiti in sede penale, dai quali era emerso come il medesimo ricorrente avesse tempestivamente comunicato all’azienda la notizia della sottrazione del primo assegno che sarebbe stato poco dopo protestato, ribadendosi la tesi già accreditata nel giudizio di merito, in ordine alla insussistenza di alcun obbligo per la banca di procedere alla levata del protesto appena acquisita la notizia della carenza di provvista.

2. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione artt. 2043,2059 c.c., in relazione art. 2727 c.c., nonchè omesso esame di fatti decisivi. Nell’iter motivazionale seguito dai giudici del gravame, sarebbe mancata la disamina delle circostanze decisive emerse in sede penale, già stigmatizzata con il primo motivo, escludendo poi la configurabilità di un danno risarcibile per carenza di prova, nella assenza di alcuna valutazione di una serie di elementi indiziari, idonei a definire la prova del danno patrimoniale e non patrimoniale risentito per effetto dell’illegittimo comportamento assunto dalla parte datoriale.

3. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono inammissibili.

Ed invero, al di là della non consentita promiscuità della tecnica redazionale adottata, che vede la contemporanea deduzione di violazione di plurime disposizioni di legge nonchè di vizi di motivazione, dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità (vedi da ultimo Cass. 23/10/2018 n. 26874), deve rilevarsi che mediante la denuncia del vizio di violazione di legge, in realtà il ricorrente lamenta principalmente una erronea valutazione dei dati istruttori acquisiti che, se rettamente apprezzati, avrebbero dovuto suffragare la fondatezza del diritto azionato, così trasfondendo in un vizio motivazionale.

Preme rilevare al riguardo, che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. ex plurimis, Cass. 11/1/2016 n. 195, Cass. 16/7/2010 n. 16698).

Sotto tale aspetto, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (vedi ex aliis, Cass. 4/7/2017 n. 16467).

Nello specifico deve rilevarsi che la Corte di merito – come fatto cenno nello storico di lite – ha proceduto ad un accertamento in concreto del materiale istruttorio versato in atti valutando il peso probatorio delle specifiche acquisizioni, ed escludendo in base ad esse, sia la tempestività della denunzia di furto del primo assegno; sia la dimostrazione del pregiudizio derivante dalla illegittimità del protesto elevato in relazione agli altri due assegni, per la carenza in termini di probabilità, di prova del danno arrecato alla attività commerciale del coniuge, che si adduceva cessata per le precarie condizioni economiche del ricorrente ascrivibile alla revoca di autorizzazioni ed affidamenti bancari; sia la prova del danno biologico, essendo emerso che la patologia denunciata e ritenuta correlata ai fatti di causa, era già presente anteriormente ai fatti di causa. La pronuncia impugnata non risponde, quindi, ai requisiti della motivazione apparente ovvero della illogicità manifesta che avrebbero giustificato il sindacato in questa sede di legittimità.

L’espletato accertamento investe pienamente la quaestio facti, e rispetto ad esso il sindacato di legittimità si arresta entro il confine segnato dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 7 aprile 2014.

4. La terza critica concerne la violazione e falsa applicazione art. 2909 c.c.. Si chiede che venga riaffermata l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto dall’istituto di credito e respinta dal giudice del gravame, avente ad oggetto i danni cagionati dal comportamento colposo del dipendente nel corso del rapporto di lavoro, a causa del giudicato formatosi con la sentenza n. 26819/2008 della Suprema Corte, che nel giudizio relativo alla illegittimità del licenziamento intimato al L., aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno formulata dalla parte datoriale.

5. Il motivo è inammissibile.

Ed invero, s’impone innanzitutto l’evidenza del difetto di specificità della censura, per violazione del principio prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, in ragione dell’omessa trascrizione dell’invocato giudicato esterno, oggetto di eccezione, nemmeno per la parte d’interesse, oltre che dell’omessa specifica indicazione della sua sede di produzione, con palese inibizione a questa Corte della possibilità di esame della questione devoluta (Cass. 13/12/06 n. 26627; Cass. 16/7/14, n. 16227; Cass. 8/3/18, n. 5508).

Nè può, sotto altro versante, sottacersi il palese difetto di un interesse del ricorrente concreto ed attuale alla proposizione della censura (vedi Cass. 8/6/17 n. 14279), avendo la Corte di merito rigettato l’appello incidentale per difetto di prova del danno.

Il ricorso principale sotto ogni profilo, si presenta, pertanto, inammissibile.

6. Con unico motivo la s.p.a. Banca Monte dei Paschi di Siena denuncia violazione o falsa applicazione art. 2697 c.c., anche in relazione art. 1223 c.c. e art. 115 c.p.c., comma 1, per erronea esclusione della domanda risarcitoria della banca.

L’Istituto lamenta che la Corte di merito abbia erroneamente rigettato la domanda risarcitoria formulata dalla banca quale conseguenza del comportamento del dipendente, nonostante i fatti che avevano giustificato il licenziamento fossero stati accertati con efficacia di giudicato, sul rilievo che nessuna prova fosse stata fornita in ordine alle perdite patrimoniali allegate quale conseguenza del comportamento assunto dal dipendente.

Si deduce che i fatti addebitati al dipendente avevano riguardato essenzialmente aperture di credito e negoziazioni di assegni per cassa, tipicamente funzionali ad accordare disponibilità creditizie alla clientela, che, poste in essere in violazione di disposizioni aziendali e di regole di diligenza, avevano determinato rilevantissime esposizioni creditorie dell’istituto verso clientela inaffidabile ed illegittimamente affidata dal L..

7. Il motivo presenta evidenti profili di inammissibilità.

Anche questo motivo mediante la censura di violazione di legge, tende ad inficiare una statuizione di merito emessa dalla Corte distrettuale in tema di scrutinio del quadro probatorio definito in prime cure, non consentito nella presente sede.

La Corte aveva espresso al riguardo, un giudizio sul danno che l’Istituto di credito deduceva di avere subito, in termini di mera potenzialità e non di attualità, con statuizione che non risponde al requisito della assoluta omissione o della irredimibile contraddittorietà, che avrebbero potuto giustificare un sindacato in sede di legittimità secondo i limiti tracciati dal novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In definitiva entrambi i ricorsi non si sottraggono alla declaratoria di inammissibilità.

La situazione di reciproca soccombenza giustifica la compensazione fra le parti delle spese inerenti al presente giudizio di legittimità.

Essendo stati entrambi i ricorsi proposti successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte dichiara inammissibili entrambi i ricorsi. Compensa fra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale ed il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2019

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