Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19663 del 03/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 03/10/2016, (ud. 13/05/2016, dep. 03/10/2016), n.19663

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24792/2013 proposto da:

D.F.R. (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PASQUALE TREMITERRA giusta procura speciale del Dott.

Notaio A.T. in (OMISSIS) il (OMISSIS) rep. n.

(OMISSIS);

– ricorrente –

contro

D.F.G., D.F.M., DI.FI.RO., domiciliato ex lege

in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentate e difese dall’avvocato ANTONIO FUSIELLO, DOMENICO

CHIANESE giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

DI.FI.GI.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1664/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/05/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato PASQUALE TREMITERRA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. D.F.R. ha proposto ricorso per cassazione contro D.F.G., D.F.M., Di.Fi.Ro. e Di.Fi.Gi. avverso (a sentenza del 26 aprile 2013, con cui la Corte d’Appello di Napoli ha dichiarato inammissibile il suo appello contro la sentenza del Tribunale di Napoli, Sezione Distaccata di Afragola, la quale, provvedendo sulla domanda, proposta da esso ricorrente, con ricorso del marzo 2010, per ottenere il rilascio ex art. 1810 c.c., di appartamenti goduti a suo dire dalle intimate sue figlie e dei quali era stato comproprietario unitamente alla defunta moglie, l’aveva rigettata, reputando sussistente il comodato per ragioni familiari e non dimostrata una sopravvenuta necessità dell’attore di riacquisire gli immobili, a prescindere dal dedotto intervenuto mutamento della detenzione in compossesso, prospettato dalle figlie convenute per essere subentrate nella quota di comproprietà della madre.

2 La Corte d’Appello ha dichiarato inammissibile l’appello:

a) in quanto la procura notarile sulla base della quale il difensore del D.F. aveva dichiarato di agire, che era quella rilasciata per il primo grado di giudizio e che era stata prodotta in originale all’udienza di discussione del 26 aprile 2013, non risultava estesa al giudizio di appello;

b) non poteva riconoscersi alcuna validità alla dichiarazione dell’appellante allegata nel grado, in quanto egli era analfabeta e sarebbe occorsa invece una procura speciale notarile;

c) l’inammissibilità non risultava sanata, d’altro canto, dalla produzione della nuova procura notarile del 23 aprile 2013, prodotta parimenti nella detta udienza.

3. Al ricorso per cassazione hanno resistito con congiunto controricorso D.F.G., D.F.M., Di.Fi.Ro., mentre non ha svolto attività difensiva Di.Fi.Gi..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c., comma 2, (come modificato dalla L. n. 69 del 2009)”.

Vi si sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto di dichiarare inammissibile l’appello per mancanza di procura, escludendo che a sanare tale mancanza con riferimento al momento del deposito del ricorso in appello non fosse idonea la procura notarile depositata all’udienza del 26 aprile 2013.

L’errore sarebbe stato commesso perchè quella Corte, ancorchè il ricorrente l’avesse prospettato, non aveva considerato che al giudizio, in quanto iniziato in primo grado con ricorso del marzo del 2010, trovava applicazione la nuova disciplina dell’art. 182 c.p.c., comma 2, introdotta dalla L. n. 69 del 2009.

2. Il motivo è fondato.

2.1. Va rilevato in primo luogo che al giudizio è certamente applicabile l’art. 182 c.p.c., comma 2, nel testo novellato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, atteso che, ai sensi dell’art. 58, comma 1, di tale legge esso trovava applicazione ai giudizi instaurati successivamente all’entrata in vigore di detta legge, avvenuta il 4 luglio 2009, e considerato che il riferimento del legislatore all’instaurazione doveva intendersi all’introduzione del giudizio in primo grado. Ciò non diversamente da come sempre si sono interpretate formule simili usate da altre disposizioni transitorie in occasione di altre leggi di riforma del processo civile, valorizzandosi la genericità del riferimento al giudizio come espressiva di intentio legis di non volersi riferire all’introduzione del grado.

2.2. Va considerato, in secondo luogo, che la nuova norma dell’art. 182 c.p.c., comma 2, là dove, fra l’altro, ora prevede che il giudice assegni alle parti un termine perentorio “per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa”, è norma che deve tendenzialmente ritenersi applicabile anche al giudizio di appello, giusta il disposto dell’art. 359 c.p.c..

Infatti, si tratta di una norma dettata nell’ambito della disciplina del procedimento di primo grado davanti al tribunale.

Occorre semmai verificare se tale applicabilità risulti effettiva, posto che l’art. 359 c.p.c., esige che la norma del detto procedimento, per essere applicabile al giudizio di appello non sia incompatibile con le disposizioni del capo secondo del titolo terzo del libro secondo del codice di rito, cioè con le norme che disciplinano il giudizio di appello.

Per converso, va notato che l’art. 359, non fa riferimento alla compatibilità con le disposizioni del capo primo del medesimo titolo, cioè con quelle disciplinatrici delle impugnazioni in generale. Ne consegue che non può essere d’ostacolo all’applicabilità dell’art. 182, al giudizio di appello nessuna delle previsioni del detto capo primo e particolarmente le norme che individuano in modo rigoroso i termini dell’esercizio del diritto di impugnazione.

2.3. Ebbene, nella disciplina del capo secondo vi è certamente una norma con la quale l’applicabilità dell’art. 182 c.p.c., comma 2, con riferimento al disposto relativo alla procura alle liti deve confrontarsi, per saggiare se ed in che termini essa è compatibile: si tratta della norma dell’art. 350 c.p.c., comma 2, la quale obbliga il giudice d’appello a verificare la regolarità della costituzione, alla quale il deposito della procura non è estranea, in quanto l’art. 165 c.p.c., anch’esso applicabile al giudizio di appello, prescrive che la procura debba essere depositata all’atto della costituzione e, quindi, la considera come requisito di regolarità della stessa.

L’interrogativo che ci si deve porre alla stregua dell’art. 359 c.p.c., è allora se il potere di cui all’art. 182, comma 2, e, particolarmente l’assegnazione del termine previsto da tale norma, possa darsi nell’udienza ai sensi dell’art. 350, ancorchè, come si è detto, essa non preveda la concessione di termini per regolarizzare la costituzione.

Il problema dev’essere risolto sulla base dell’applicazione del criterio della compatibilità, indicato dall’art. 359 c.p.c..

In una struttura dell’appello come quella emergente dall’art. 350 c.p.c., comma 2, quel criterio potrebbe suggerire che il secondo comma dell’art. 182 non è compatibile con l’esclusione dell’esistenza di un potere del giudice di invitare a regolarizzare la costituzione concedendo un termine nella detta udienza, potendosi solo ammettere un invito a regolarizzare hic et hinde, cioè in udienza.

Ne conseguirebbe che un ordine di rinnovazione della procura prodotta all’atto della costituzione ma nulla ed ancora più un ordine di provvedere ad ottenere il rilascio di una procura addirittura inesistente (se lo si ritiene ammissibile), non potrebbero essere dati dal giudice dell’appello all’udienza ai sensi dell’art. 350 c.p.c., mentre la rinnovazione del rilascio o il rilascio tramite attività spontanea dell’appellante potrebbero essere possibili fino all’udienza.

La questione, comunque, non deve essere risolta in questa sede, giacchè nel caso di specie è pacifico, risultando dalla sentenza che, avendo avuto luogo un rinvio della prima udienza del giudizio di appello per l’acquisizione del fascicolo del giudizio di primo grado, l’udienza successiva, nella quale venne prodotta la nuova procura notarile, ebbe ancora la consistenza di udienza ai sensi del secondo comma del citato art. 350 c.p.c., per tale dovendo intendersi un’udienza di effettiva trattazione (sul rilievo dell’art. 350, secondo comma, ai fini della regolarizzazione della costituzione in appello si veda ora recentissimamente, Cass. sez. un. n. 16598 del 2016).

2.4. Ai fini dello scrutinio del motivo risulta, poi, irrilevante la questione che è stata discussa ampiamente dalla dottrina dei limiti di applicabilità della norma dell’art. 182 c.p.c., comma 2, ed in particolare al se il potere di cui alla norma sia esercitabile o meno anche nel caso in cui l’atto introduttivo del giudizio sia stato posto in essere in carenza di rilascio della procura, come suggerirebbe il riferimento alla concessione del termine anche nel caso di “mancanza” della procura. Questione che è stata discussa evocando il dato della perdurante vigenza formale dell’art. 125 c.p.c., comma 2, come contrastante con l’idea che il rimedio possa riguardare il caso di mancanza di procura.

Invero, nel caso di specie l’appello, com’è pacifico, era stato posto in essere dal difensore sulla base di una procura alle liti notarile rilasciata per il giudizio di primo grado e non estesa espressamente al giudizio di appello.

Ne consegue che non si verteva in un caso di mancanza della procura, cioè di proposizione dell’atto introduttivo del giudizio di appello in carenza di una procura, bensì sulla base di una procura ad esso non esteso.

Tanto comporta che non sia necessario prendere posizione sul segnalato contrasto nell’esegesi della norma in esame.

Si deve, invece, rilevare che la produzione della nuova procura alle liti all’udienza ai sensi dell’art. 350 c.p.c., comma 2, ha determinato la spontanea sanatoria di un vizio che non era di carenza di procura, bensì di inidoneità e, quindi, nullità della procura di primo grado in concreto spesa dal difensore per giustificare l’esercizio del ministero con la redazione dell’appello e la successiva costituzione.

Il vizio avrebbe potuto essere sanato anche su ordine del giudice d’appello nella stessa udienza, mentre sarebbe da verificare – come s’è sopra adombrato – se il giudice d’appello avrebbe potuto concedere un termine per la produzione di una procura valida oltre quell’udienza. Ma questa questione s’è già veduto che non è nella specie rilevante.

3. Le svolte considerazioni comportano che il motivo debba essere accolto sulla base del seguente principio di diritto: “nel caso in cui l’atto di appello sia stato posto in essere dal difensore sulla base della procura rilasciatagli in primo grado, ancorchè non estesa al grado di appello, si verifica una situazione di nullità della procura che, qualora l’appellante produca una procura estesa a quel grado all’udienza ai sensi dell’art. 350 c.p.c., comma 2, risulta spontaneamente sanata in modo rituale dall’appellante, tenuto conto di quanto prevede l’art. 182 c.p.c., comma 2, nel testo introdotto dalla L. n. 69 del 2009, art. 46. Ne consegue l’erroneità della declaratoria, da parte del giudice di appello, dell’inammissibilità dell’appello per difetto di procura”.

La sentenza impugnata è cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli, comunque in diversa composizione, per l’esame del merito dell’appello.

Il giudice di rinvio provvederà a regolare le spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Rinvia ad altra Sezione della Corte d’Appello di Napoli, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2016

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