Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19658 del 21/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/09/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 21/09/2020), n.19658

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21759/2012 R.G. proposto da:

CORBO M. S.n.c. di M.E. e C., con sede in (OMISSIS), C.F.

(OMISSIS);

M.E., C.F. (OMISSIS), res. in (OMISSIS);

M.A., C.F. (OMISSIS);

tutti rapp.ti e difesi, giusta procure speciali in calce al ricorso,

dall’Avv. Alessandra Mari del Foro di Roma, elett. dom.ti presso il

di lei studio in Roma, P.zza di Santa Anastasia n. 17;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale per legge è

dom.ta in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

Sez. 6 – n. 160/2011/02, depositata il 06/07/2011, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 marzo 2019

dal Consigliere Luigi Nocella.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti ricorsi la S.n.c. Corbo M. di M.E. e C. ed i suoi soci M.E. ed M.A. proponevano innanzi alla CTP di Roma, per quanto di rispettivo interesse, impugnazione avverso i seguenti atti: avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Roma (OMISSIS), in esito a verifica generale dell’anno 2002 riassunta in PVC consegnato alla parte il 18.11.2004, recuperava a tassazione dalla Società maggiori IRES, IRAP ed IVA, ed irrogava le conseguenti sanzioni;

– avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Roma (OMISSIS), in esito alla medesima verifica, recuperava a tassazione dalla Società maggiori ritenute su compensi a lavoratori dipendenti, ed irrogava le conseguenti sanzioni;

– avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Roma (OMISSIS), in esito alla medesima verifica generale, recuperava a tassazione dal socio M.E. maggior IRPEF, ed irrogava le conseguenti sanzioni;

– avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Roma (OMISSIS), in esito alla medesima verifica generale, recuperava a tassazione dal socio M.A. maggior IRPEF, ed irrogava le conseguenti sanzioni;

– cartelle di pagamento nn. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) emesse dalla GERIT S.p.a, concessionaria per la riscossione, in esecuzione dei ruoli formati sulla base dei rispettivi accertamenti impugnati.

Nel costituito contraddittorio con entrambi gli Enti intimati, costituita la sola Agenzia delle Entrate, a seguito di riunione di tutti i giudizi, la CTP, con sentenza n. 414/21/08, respingeva tutti i ricorsi. Quindi, con la pronuncia oggetto della presente impugnazione, la CTR del Lazio ha respinto l’appello della Società, confermando la sentenza appellata e compensando le spese di lite anche d’appello.

In particolare il giudice d’appello, premessi richiami ai principi generali in tema di presupposti per l’accertamento con metodo induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, ha affermato che nel caso di specie l’Amm.ne ha applicato tale metodo legittimamente, avendo “indicato specificamente le gravi, numerose e ripetute irregolarità contabili che, così come confermato dai Giudici di prime cure, ha reso inattendibili nel loro complesso…le scritture stesse…”; quindi, facendo riferimento diretto alle risultanze del PVC, ha analizzato le irregolarità di tenuta dei libri matricola, partendo dal dato sospetto della totale assenza di dipendenti in carico nel periodo dal 2.1 al 5.3.2002, poi corroborato mediante i rilievi in tema di automobili e telefonini utilizzati, tempistica degli interventi effettuati anche nel periodo suddetto e distanze tra i luoghi degli stessi, rilievi in gran parte fondati anche sui report redatti dagli operatori ed acquisiti al processo; ha poi illustrato le gravi irregolarità di tenuta del libro giornale, dal quale non risultava redatto l’inventario, e le gravi discrasie tra rimanenze iniziali e finali e tra queste e quelle riportate nel modello Unico 2003, non conciliabili proprio per l’assenza dell’inventario; ed ancora i contrasti tra le scritture del conto banca e le operazioni risultanti dall’estratto del conto corrente societario; ancora le anomalie del conto cassa, sul quale erano stati rilevati saldi passivi in vari periodi dell’esercizio, nonchè gravi incoerenze dei dati di pagamento di varie fatture, l’assenza del piano dei conti, vanamente richiesto dai verificatori, la mancata esibizione di un intero blocchetto di ricevute e la non completa redazione del registro dei beni ammortizzabili ed altre irregolarità di minore rilevanza sistemica. Alla stregua di tutti tali elementi ha concluso che l’accertamento era stato legittimamente strutturato e motivato, e che nessuna delle obiezioni della contribuente si era rivelata fondata, anche a seguito del contraddittorio amministrativo.

La Corbo M. s.n.c. ed i suoi soci ricorrono per la cassazione di tale sentenza, con atto notificato a mezzo posta il 3.10.2012, fondato su tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha notificato in data 19 novembre 2012 controricorso, concludendo per il rigetto del ricorso.

Nella camera di consiglio del 27.11.2019, all’esito della relazione del cons. Nocella, la Corte ha deciso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti deducono nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed ai principi costituzionali che garantiscono il giusto processo, per carenza assoluta di motivazione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4; infatti i ricorrenti, dopo aver prodotto i testi raffrontati delle pagg. 1-7 della sentenza impugnata da un lato e delle pagg. 1-8 della memoria difensiva in appello dell’Agenzia delle Entrate, rilevano che i testi sono assolutamente ed integralmente coincidenti, escluse pochissimi e marginalissimi passi che sono stati evidenziati per più immediata percepibilità.. Sostengono i ricorrenti che tale metodo di motivazione, oltre a denotare un atteggiamento di non effettiva terzietà del Giudice, come tale censurato in pronunce della Sezione Disciplinare del CSM, implicherebbe un mancato esame delle censure d’appello, con conseguente omessa diretta valutazione delle fonti di prova pur richiamate nell’apparente motivazione.

La censura è infondata.

Poichè il testo della motivazione della sentenza impugnata contiene specifici ed analitici riferimenti a circostanze di fatto, alla stregua delle quali è stata fornita risposta adeguata e coerente, ancorchè non condivisa dai ricorrenti, alle censure articolate con l’atto d’appello; risposta che la CTR ha esplicitamente ancorato al PVC, definito “ben motivato, circostanziato e preciso”, e le cui possibili lacune hanno costituito oggetto del terzo motivo di ricorso; è da escludere assolutamente che la censurata motivazione possa integrare un vizio di omesso esame dell’atto d’appello, ancor meno della documentazione probatoria richiamata (PVC), e quindi di violazione dei diritti di difesa dei ricorrenti emendabile ai sensi dell’invocato art. 360 c.p.c., n. 4.

Nè in questa sede, salvo concorrenti circostanze di fatto da far valere con la strumento della ricusazione, può integrare la dedotta causa di nullità un uso improprio, ancorchè censurabile disciplinarmente, della tecnica motivazionale, essendo comunque onere della parte ricorrente evidenziare e censurare gli specifici vizi o carenze della motivazione rilevanti al fine di integrarla.

In via di estrema sintesi, se resta valido il principio generale della liceità e validità di una motivazione per relationem alla sentenza impugnata o ad altri atti acquisiti al processo, a fortiori non può ritenersi eluso l’obbligo motivazionale quando il Giudice riporti parzialmente o integralmente il contenuto di un atto di parte mostrando di averne consapevolmente recepito il contenuto a fondamento della propria decisione, come nella specie è avvenuto sia per la specificità delle questioni trattate, sia perchè la CTR, in uno dei pochi passi non riprodotti, ha esplicitamente ancorato il contenuto delle successive argomentazioni a circostanze deducibili dal PVC, consapevolmente assunto quale fonte di riscontro delle stesse (cfr. nel medesimo senso Cass. sez. VI-I ord. 7.11.2016 n. 22562).

Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti deducono nullità della sentenza, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione delle medesime norme, per aver la CTR omesso di esaminare e motivare sulle singole censure articolate nell’atto d’appello, delle quali non aveva dato sostanzialmente alcun conto.

Il motivo è inammissibile per carenza del requisito dell’autosufficienza ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6. Invero per un verso la mancanza di una pur sintetica narrativa dei motivi d’appello non comporta per sè sola il mancato esame degli stessi, tanto più che nella specie la motivazione della sentenza d’appello si fonda su argomenti estremamente analitici e puntuali riguardanti tutti gli aspetti di merito controversi; per altro verso nell’articolare il motivo i ricorrenti non hanno riportato, neppure nelle parti essenziali, le censure proposte con l’appello, impedendo così alla Corte di verificare, senza far ricorso alla ricerca negli atti del processo, se la motivazione ne abbia effettivamente obliterato una o più d’una (cfr. Cass. sez. V ord. 4.10.2018 n. 24340; Cass. sez. II 9.08.2018 n. 20694 appunto in tema di omessa indicazione del contenuto delle questioni e degli atti processuali nei quali sono state dedotte non solo tra i motivi d’appello ma anche nelle fasi precedenti; Cass. sez. I 13.05.2016 n. 9888; Cass. sez. II 20.08.2015 n. 17049; Cass. sez. V 4.04.2013 n. 8312; Cass. sez. V 22.01.2013 n. 1435; Cass. sez. III 30.04.2010 n. 10605).

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa censure articolate nell’atto d’appello per evidenziare la violazione da parte della CTP dei principi in tema di ripartizione dell’onere della prova e per confutare la sussistenza dei presupposti per l’accertamento induttivo. Sotto il primo profilo i ricorrenti riportano i motivi d’appello riguardanti la pretesa insussistenza dei motivi per ritenere inattendibili le scritture contabili, desunti da circostanze prive di rilievo ed a loro volte prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza e la conseguente violazione dell’art. 2727 c.c.; quindi passano ad evidenziare una serie di circostanze fattuali sulle quali la CTR non avrebbe motivato o avrebbe motivato contraddittoriamente, in particolare quelle relative alle carenze del libro matricola relative ai dipendenti iscritti nel periodo dal 2 gennaio al 5 marzo 2002.

Va subito detto che la sentenza ha correttamente enunciato i principi che regolano i presupposti che consentono all’Amm.ne di procedere all’accertamento con il metodo induttivo (pagg. 1-2), affermando che nella specie tali presupposti si sarebbero verificati e sono stati enunciati sia nel PVC, a pagg. 7-14, sia nelle controdeduzioni dell’Ufficio in primo grado; in particolare la CTR ha evidenziato (a tacere di altre minori discrasie o carenze) la gravità sia della vistosa lacuna di presenza di dipendenti nel periodo indicato (procedendo a trattare degli elementi induttivi dai quali tale lacuna assume connotati di gravità e precisione), sia delle ragguardevoli discordanze delle consistenze delle rimanenze finali e quelle iniziali (tali da stravolgere totalmente l’entità del risultato d’esercizio), entrambe non coincidenti con quelle indicate nel Modello Unico 2003, non raccordate neppure a mezzo di scritture di rettifica, ed aggravate dall’impossibilità di procedere a controllo analitico per la mancata redazione dell’inventario, violazione quest’ultima che, secondo costante orientamento di questa Corte, sarebbe di per sè sola sufficiente a giustificare il ricorso all’accertamento col metodo induttivo, per la particolare importanza di tale documento al fine di ricostruire fedelmente i flussi economici dell’impresa; ed ancora dalle decisive incongruenze del conto cassa, risultato negativo per varie migliaia di Euro per diversi periodi dell’anno, e dalle discordanze delle annotazioni di detto conto con le operazioni registrate sul conto corrente della Società (non sanate neppure dalla tardiva produzione di altri mastrini di conto non resi disponibili nel corso della verifica).

A fronte di tale consistentissimo coacervo di elementi di inattendibilità, incidenti su una vasta gamma di settori contabili nevralgici, ma che, ancorchè considerati singolarmente, sarebbero stati ciascuno sufficiente a giustificare il ricorso al metodo induttivo, i ricorrenti sviluppano doglianze concernenti soltanto la pretesa insussistenza o insignificanza della lacuna documentale relativa al libro matricola, contestando le singole argomentazioni pur analiticamente svolte dalla CTR a pagg. 3-4 della sentenza.

Dall’analisi della motivazione emerge pertanto che alcuna censura circa omessa e/o contraddittoria o insufficiente motivazione possa essere ritenuta fondata in merito alla circostanza, questa sì decisiva, della sussistenza dei presupposti per procedere all’accertamento con il metodo induttivo, tenuto altresì conto del fatto che il ricorso tace sulla gran parte dei molteplici elementi sintomatici dell’inattendibilità complessiva delle stesse; e che pertanto le prove circa tali profili di inattendibilità si trasformano in elementi presuntivi utilizzabili al fine di ricostruire l’effettivo volume d’affari, in difetto di prova contraria, il cui onere grava, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, sulla Società accertata e sui suoi soci.

Ma anche in punto di significatività induttiva delle omesse annotazioni sul libro paga e matricola, lungi dal potersi discutere di omessa motivazione (giacchè la CTR le enuncia e le supporta con affermazioni intrinsecamente ed estrinsecamente logiche e coerenti), gran parte delle critiche sviluppate nel motivo non solo si concentrano sulla valutazione del “peso induttivo” degli elementi presi in considerazione dal Giudice d’appello, e non già alla coerenza intrinseca o alla pertinenza degli stessi, ma sono anche smentite nella loro complessiva pertinenza logica e probatoria dall’enunciazione e richiamo, anche qui analitico e coerente, che la CTR fa ai “report” di interventi effettuati in una serie di giornate in località diverse e sulla compatibilità degli stessi con il numero di automobili e cellulari in dotazione alla Società ed al personale. In presenza di tali concrete ed esplicitate motivazioni, le censure dei ricorrenti si risolvono in una pretesa di rivalutazione nel merito delle fonti di prova già analiticamente e coerentemente apprezzate dal Giudice del merito, come tale inammissibile anche sotto il profilo di censura (art. 360, n. 5), invocato dai ricorrenti.

Pertanto il ricorso, infondato in tutti i suoi motivi, deve essere rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione in favore dell’Agenzia controricorrente delle spese di questa fase, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso in favore dell’Agenzia delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2020

 

 

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