Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19654 del 27/08/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 19654 Anno 2013
Presidente: FELICETTI FRANCESCO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 22499/07) proposto da:
Avv. BRACCIALE REGINA (C.F. BRC RGN 64A56 E472C), rappresentata e difesa, in
forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Ferdinando Bracciale ed
elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Giovanna Magnarelli, in Roma, Via E.
Bassini, n. 15; – ricorrente contro
– intimato Dott. SABATELLO UGO;
2.,‘
Avverso il decreto n. 845/06 del Tribunale di Latina, depositato il 12 giugno 2007 e non
notificato.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12 giugno 2013 dal

Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
1

ito\

Data pubblicazione: 27/08/2013

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Aurelio Golia, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’avv. Regina Bracciale proponeva opposizione avverso il decreto di liquidazione di spese
e compenso del c.t.u. emesso in data 18 settembre 2006, dal Giudice Istruttore del

c.t.u. Dott. Ugo Sabatello la complessiva somma di euro 4.267,13, di cui euro 2.500,43 per
vacazioni ed euro 1.766,70 per spese, oltre iva, ponendola provvisoriamente a carico delle
parti in solido.
Il Tribunale di Latina, con ordinanza depositata il 12 giugno 2007 (e non notificata),
dichiarava l’inammissibilità della formulata opposizione in ordine ai motivi principali e la
rigettava nel resto.
L’avv. Regina Bracciale ha proposto ricorso per cassazione, articolato in dieci motivi
(illustrati, in prossimità dell’udienza pubblica, da memoria difensiva ex art. 378 c.p.c.).
L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione e
falsa applicazione dell’art. 170 D.P.R. n. 115/02, in relazione all’art. 111 Cost e all’art. 360
n. 2 e ultimo comma, per incompetenza del Giudice che ha pronunziato il decreto oggetto
del ricorso. La stessa, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile alla
fattispecie, risultando l’ordinanza impugnata pubblicata il 12 giugno 2007), ha formulato il
seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se il Presidente della seconda sezione
del Tribunale è competente a decidere sull’opposizione al provvedimento di liquidazione di
un c.t.u., emesso da un Giudice di altra sezione (nella fattispecie della prima sezione)”.

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art.
168 D.P.R. n. 115/02, in relazione all’art. 111 Cost., all’art. 156, comma secondo, c.p.c. e
2

Tribunale di Latina designato per la causa n. 333/03, con il quale era stata liquidata al

all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per omessa motivazione del decreto di liquidazione della
parcella del c.t.u., formulando il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se il
provvedimento del G. I. di liquidazione della parcella del c.t.u. privo di motivazione (come
nella fattispecie) è nullo per carenza di un requisito indispensabile per il raggiungimento
dello scopo e per violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c.”.

168 D.P.R. n. 115/02, in relazione all’ad. 111 Cost., all’ad. 156, comma secondo, c.p.c. e
all’ad. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., per omessa motivazione circa la liquidazione delle spese in
euro 1.766,70, formulando il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se la
parcella del professionista nominato dal G. I. quale collaboratore del c.t.u., debba essere
liquidata dal G. I. o possa essere autoliquidata dal detto collaboratore e inserita dal c.t.u.
come spesa viva nella sua parcella e liquidata dal G. I. come spesa viva, senza necessità
di motivazione (come nella fattispecie) e se in tal caso consegue la nullità della
liquidazione del compenso”.

4. Con il quarto motivo la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione
dell’ad. 168 D.P.R. n. 115/02, in relazione all’ad. 111 Cost., agli artt. 3, 24 e 111, comma
secondo, Cost., all’ad. 101 c.p.c. e all’ad. 6 della Convenzione di Roma dei Diritti
dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali del 4.11.50, resa esecutiva con la L. n. 848/55,
nonché all’ad. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per violazione di legge e per omessa motivazione.
Ella ha posto il seguente quesito di diritto:

“dica la Suprema Corte se l’omessa

verbalizzazione delle dichiarazioni rese dalle persone interpellate dal c.t.u. e da questi
utilizzate per rispondere ai quesiti (come nella fattispecie) determini violazione del principio
del contraddittorio, la conseguente nullità della relazione peritale e la conseguente nullità
della liquidazione del compenso da parte del Giudice”.

5. Con il quinto motivo la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione
dell’ad. 168 D.P.R. n. 115/02, in relazione all’ad. 111 Cost., agli artt. 3, 24 e 111, comma
3

3. Con il terzo motivo la ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione dell’ad.

secondo, Cost., all’art. 101 c.p.c. e all’ad. 6 della Convenzione di Roma dei Diritti
dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali del 4.11.50, resa esecutiva con la L. n. 848/55,
nonché all’ad. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per violazione di legge e per omessa motivazione.
Ella ha posto il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se il comportamento del
c.t.u. che impedisca alla parte, per di più anche difensore, di intervenire ad un’operazione

del contraddittorio e determini la nullità della relazione del c.t.u. e della liquidazione del
compenso da parte del Giudice, tanto più quando soltanto la parte per la sua conoscenza
diretta dei fatti oggetto dell’operazione peritale poteva svolgere proficua attività difensiva,
non esercitabile invece dall’altro codifensore e dal c.t.u. di parte privi di quella conoscenza
diretta (come nella fattispecie)”

6. Con il sesto motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’ad.
168 D.P.R. n. 115/02, in relazione all’ad. 111 Cost., agli artt. 3,24 e 111, comma secondo,
Cost., all’ad. 101 c.p.c. e all’ad. 6 della Convenzione di Roma dei Diritti dell’Uomo e delle
Libertà Fondamentali del 4.11.50, resa esecutiva con la L. n. 848/55, nonché all’ad. 360,
nn. 3 e 5 c.p.c., per violazione di legge e per omessa motivazione. Essa ha formulato il
seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se la mancata trascrizione di una
cassetta audiovisiva avente ad oggetto l’audizione di un minore, richiesta dal Giudice nei
quesiti (come nella fattispecie) realizzata nel corso della consulenza, costituisca violazione
del contraddittorio e determini la nullità della relazione del c.t.u.. e della liquidazione del
compenso da parte del Giudice, tanto più quando il risultato di detta audizione è rilevante
ai fini della risposta ai quesiti”.

7. Con il settimo motivo la ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione
dell’ad. 168 D.P.R. n. 115/02, in relazione all’ad. 111 Cost., agli adt. 3, 24 e 111, comma
secondo, Cost., all’ad. 101 c.p.c. e all’ad. 6 della Convenzione di Roma dei Diritti
dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali del 4.11.50, resa esecutiva con la L. n. 848/55,
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peritale il cui esito è stato utilizzato dal c.t.u. per rispondere ai quesiti costituisca violazione

nonché all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per violazione di legge e per omessa motivazione.
Ella ha formulato il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se violi il
contraddittorio il c.t.u. che contrariamente al vero avalla la tesi del suo collaboratore di
aver eseguito test e prove rilevanti ai fini della risposta ai quesiti (come nella fattispecie)
determinando la nullità della relazione del c.t.u. e la nullità del provvedimento di

8. Con l’ottavo motivo ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 168 D.P.R. n.
115/02, in relazione all’art. 111 Cost., agli artt. 3, 24 e 111, comma secondo, Cost., all’art.
101 c.p.c. e all’art. 6 della Convenzione di Roma dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali del 4.11.50, resa esecutiva con la L. n. 848/55, nonché all’art. 360, nn. 3 e
5, c.p.c., per violazione di legge e per omessa motivazione. La stessa ha formulato il
seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se l’omissione del c.t.u. circa l’esito dei
questionafi, essenziali per la risposta ai quesiti, consegnati alle parti costituisca vulnus al
materiale probatorio che determina la violazione del contraddittorio e la nullità della
relazione del c.t.u. e conseguentemente la nullità del provvedimento di liquidazione del
compenso da parte del Giudice”.

9. Con il nono motivo la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art.
168 D.P.R. n. 115/02, in relazione all’art. 111 Cost., agli artt. 3,24 e 111, comma secondo,
Cost., all’art. 101 c.p.c. e all’art. 6 della Convenzione di Roma dei Diritti dell’Uomo e delle
Libertà Fondamentali del 4.11.50, resa esecutiva con la L. n. 848/55, nonché all’art. 360,
nn. 3 e 5 c.p.c., per violazione di legge e per omessa motivazione. Ella ha formulato il
seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se il divieto imposto ad una parte di
ottenere la presenza di un proprio professionista specializzato alle operazioni effettuate da
professionista specializzato indicato dal c.t.u. e autorizzato dal Giudice determini la
violazione del contraddittorio; conseguentemente la nullità della relazione del c.tu. che

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liquidazione del compenso da parte del Giudice”.

abbia utilizzato la relazione del collaboratore specializzato; e conseguentemente determini
la nullità del provvedimento di liquidazione del compenso da parte del Giudice”.
10. Con il decimo ed ultimo motivo la ricorrente ha prospettato la violazione e falsa
applicazione dell’ad. 168 D.P.R. n. 115/02 in relazione all’ad. 111 Cost., e all’ad. 360 nn. 3
e 5 c.p.c., per violazione di legge e per omessa motivazione, prospettando il seguente

dal Giudice anche quando l’opera del c.t.u. non sia conforme all’incarico, non sia
rispondente ai quesiti e sia viziata da macroscopica incongruenza, palese illogicità,
assurdità de/tessuto pseudo-argomentativo, non senso”.
11. Rileva il collegio, in via assolutamente preliminare, che il ricorso è da ritenere
inammissibile per violazione del requisito prescritto, a pena di inammissibilità, dall’ad. 366,
comma 1, n. 3), c.p.c., ovvero per difetto assoluto dell’esposizione sommaria dei fatti della
causa.
Infatti, occorre evidenziare che, di seguito all’indicazione delle parti del giudizio e degli
estremi della sentenza impugnata (con il richiamo dell’indice dei documenti trascritti nella
seconda parte dell’atto), non risulta riportata, nel ricorso, alcuna autonoma esposizione
sommaria dei fatti del procedimento, passandosi, immediatamente, all’indicazione dei
motivi dedotti a sostegno dello stesso ricorso, con lo svolgimento delle inerenti doglianze.
Orbene, va osservato che il requisito enucleato nel n. 3 del 1° corna dell’ad. 366 c.p.c. è,
certamente, tra i più importanti tra gli elementi di forma-sostanza che connotano il ricorso
per cassazione, anche in relazione alla imprescindibile osservanza del c.d. principio di
sufficiente specificità del ricorso stesso, per come ora positivizzato, sul piano normativo,
nel n. 6 del medesimo art. 366, 1° comma, c.p.c. (come introdotto dall’ad. 5, comma 1, del
D. Lg.s n. 40 del 2006, “ratione temporis”applicabile nella specie), al quale deve
necessariamente raccordarsi.

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quesito di diritto: ” dica la Suprema Corte se la nota spese del c.t.u. debba essere liquidata

La giurisprudenza di questa Corte ha, essenzialmente, rilevato che, ai fini del
soddisfacimento dell’esposizione di tale requisito, si prospetta sufficiente che nel ricorso
sia trascritta, ancorché in forma sintetica ma congrua, la parte espositiva della sentenza
impugnata, mediante l’evidenziazione degli elementi indispensabili per una precisa
cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e

(cfr. Cass. 16 giugno 2004, n. 11338; Cass. 13 marzo 2003, n. 3747; Cass. 12 ottobre
2001, n. 12599; Cass., S.U., 13 febbraio 1998, n. 1513).
In sostanza, ai fini della sussistenza del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di
causa, prescritto a pena di inammissibilità per il ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c.,
è necessario che nel contesto dell’atto di impugnazione si rinvengano gli elementi
indispensabili perché il giudice di legittimità possa avere, senza dover ricorrere ad altre
fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, una chiara e completa
visione dell’oggetto dell’impugnazione, dello svolgimento del processo e delle posizioni in
esso assunte dalle parti (v., da ultimo, Cass. 9 marzo 2010, n. 5660; Cass. 27 marzo
2009, n. 7460, e Cass. 12 giugno 2008, n. 15808); in altri termini, è necessario che dal
contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e
processuale, sufficiente per intendere correttamente il significato e la portata delle critiche
rivolte alla pronuncia oggetto di impugnazione, non potendosi distinguere, in funzione
della menzionata sanzione dell’inammissibilità, fra esposizione del tutto omessa ed
esposizione insufficiente (cfr., ad es., Cass., S.U., 18 aprile 2006, n. 11635 e Cass. 24
luglio 2005, n. 16315). E’ stato, in particolare, precisato che, in virtù della stretta
interconnessione che sussiste tra i requisiti di cui ai nn. 3 e 4 dell’articolo in discorso, il
ricorso per cassazione è inammissibile ove dalla sua lettura non sia possibile desumere
una sufficiente conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, al fine di comprendere il
significato e la portata delle critiche rivolte alla sentenza impugnata, come nell’ipotesi in
7

delle posizioni assunte dalle altre parti, senza necessità di porre riferimento ad altre fonti

cui non vengano adeguatamente riportate né la “ratio decidendi” della pronuncia del
giudice, né le ragioni di fatto e di diritto che sostenevano le rispettive posizioni delle parti
nel giudizio di merito (v., da ultimo, Cass. 5.2.2009, n. 2831).
Alla stregua di tali principi consegue che deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per

cassazione — come quello in questione – in cui manchi completamente l’esposizione dei

mancanza non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il
ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla
motivazione del provvedimento censurato, né mediante l’esame della narrativa contenuta
nel controricorso (o nell’eventuale ricorso incidentale), ostandovi il principio di autonomia
del ricorso per cassazione (v. Cass. 31 gennaio 2007, n. 2097).
La sanzione processuale dell’inammissibilità è, quindi, direttamente conseguente, nel
caso di specie, all’omessa esposizione sommaria dei fatti della causa, alla quale non può
certamente sopperirsi con l’implicito richiamo “per relationem” a quanto risultante dal
provvedimento impugnato, perché, altrimenti, la praticabilità di una tale impostazione del
ricorso si risolverebbe, in sostanza, in una elusione della specifica prescrizione stabilita
dall’art. 366, 1° comma, n. 3), c.p.c. e, quindi, in una vanificazione della correlata sanzione
testuale dell’inammissibilità.
Deve, perciò, trovare conferma in questa sede l’affermazione del principio reiterato dalla
giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini della sussistenza del requisito
dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto a pena di inammissibilità per
il ricorso per cassazione dal citato art. 366, 1° comma, n. 3), c.p.c., è necessario che
nel contesto dell’atto di impugnazione si rinvengano gli elementi indispensabili
perché il giudice di legittimità possa avere, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti
del processo, ivi compresa la sentenza impugnata (ovvero altro provvedimento
oggetto del ricorso), una chiara e completa visione dell’oggetto dell’impugnazione,
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fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato, precisandosi che tale

dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti; è,
quindi, indispensabile, in altri termini, che dal contesto del ricorso sia possibile
desumere, in modo autonomo ed adeguato, una conoscenza del “fatto”, sostanziale
e processuale, sufficiente per intendere correttamente il significato e la portata
delle critiche rivolte alla pronuncia oggetto di impugnazione, con la conseguenza

dichiarato inammissibile.
12. In definitiva, alla stregua delle esposte ragioni, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile, con conseguente preclusione dell’esame delle proposte censure e senza
che occorra adottare alcuna statuizione sulle spese giudiziali della presente fase di
legittimità, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso nella camera di consiglio della 2″ Sezione civile in data 12 giugno 2013.

che, in difetto di detta esposizione o in caso di sua inidoneità, il ricorso deve essere

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