Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19653 del 27/08/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 19653 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: CORRENTI VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 20861-2007 proposto da:
UMBRA SRL 80008970545 in persona del
Liquidatore pro tempore DINO SEGOLONI, MONTAGNINI
ARGENTINA MNTRNT38L53F685R, SEGOLONI DINO
SGLDNI35E18L216WW, SEGOLONI LORENA SGLLRN61T62G478G,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO
2013
1302

CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato BELLUCCI
MAURIZIO, rappresentati e difesi dall’avvocato
MIGLIOSI PIETRO;
– ricorrenti contro

Data pubblicazione: 27/08/2013

0.d 143 510 .5
ELECTRON IMPIANTI SRL \rin persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA ANAPO, 20, presso lo studio
dell’avvocato RIZZO CARLA, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ZUCCACCIA NERIO;

avverso la sentenza n. 190/2006 della CORTE D’APPELLO
di PERUGIA, depositata il 01/06/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/05/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
CORRENTI;
udito

l’Avvocato

Carla

RIZZO,

difensore

del

resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

– controricorrente

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione 25.6.1990 Electron Impianti srl conveniva davanti al Tribunale di
Perugia SIU- Società Immobiliare Umbra srl esponendo che il 21.12.1984 aveva
stipulato con Sgarrini Massimo un preliminare per l’acquisto di un quartiere in

“nell’acquisto” al posto di essa attrice, che rinunciava, subentrava la convenuta;
l’atto pubblico era del 29.7.1988 e “considerava anche quanto versato dalla attrice
consegnando allo Sgarrini solo la differenza”.
Chiedeva la condanna della convenuta alla restituzione di lire 15.000.000 con
rivalutazione ed interessi.
La convenuta contestava la domanda che, invece, veniva accolta dal Tribunale, con
sentenza 23.3.2000, decisione confermata dalla Corte di appello di Perugia con
sentenza 190/06 del 1 0 .6.2006, che riteneva sussistente un accordo sul punto,
ammissibile ed attendibile la prova testimoniale, e provato un accollo da parte della
convenuta dell’obbligo del venditore alla restituzione all’attrice dell’acconto versato
e rimasto senza causa.
Ricorrono SIU srl ed i soci Segoloni Dino e Lorena, Montagnini Argentina, con sei
motivi, resiste Electron Impianti srl, che eccepisce il difetto di legittimazione dei
soci.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va esaminata l’eccezione del difetto di legittimazione dei soci
basata sul presupposto che la società, ancorché sciolta e cancellata, non si estingue
fino alla effettiva liquidazione.

Roma al prezzo di lire 50.000.000 versando un acconto di lire 15.000.000; che

Il rilievo è fondato posto che il ricorso è proposto dalla società in liquidazione ed i
soci possono impugnare in caso di cancellazione della società ( S.U. 6070/2013,
6071/2013, 6072/2013).
Col primo motivo si denunziano nullità della sentenza, violazione dell’art. 51 n. 4

Electron Impianti aveva proposto reclamo avverso l’ordinanza ammissiva delle
prove ed il Collegio composto dai dottori Nannarone, Marsili e Ligori aveva
dichiarato l’incapacità a testimoniare del teste Sgarrini Massimo, la causa era stata
poi decisa dal GOA Lorefece ed in appello da un Collegio in cui era relatore lo
stesso dott. Ligori.
Si formula il quesito se il giudice che abbia conosciuto ed istruito la causa in primo
grado, possa essere relatore in appello e se debba astenersi.
Col secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 112 cpc perché la causa petendi
è solo il subingresso nella posizione della Electron ed il giudice non può modificare
i fatti di causa, con relativo quesito.
Col terzo motivo si denunziano violazione dell’art. 2704 cc e dell’art. 116 cpc
perché presupposto dell’accoglimento della domanda è il preliminare della Electron
con Sgarrini col versamento di lire 15.000.00, poi utilizzato dalla SIU, che aveva
corrisposto la differenza, ma l’atto 10.10.1987 non era opponibile ai terzi, con
relativo quesito.
Col quarto motivo si denunziano vizi di motivazione circa l’accordo trilaterale e
l’obbligo della SIU a restituire all’attrice la somma di lire 15.000.000.

cpc e del doppio grado di giurisdizione perché nel giudizio di primo grado la

Col quinto motivo si denunzia violazione degli artt. 2721, 2722 cc, 246 e 116 cpc
attese l’inammissibilità della prova e l’inattendibilità del teste Sgarrini, con relativo
quesito
Col sesto motivo si deduce violazione degli artt. 1277 e 1224 cc circa la condanna a

alla rivalutazione solo se si fornisce la prova del maggior danno.
Le censure non meritano accoglimento.
La prima, come proposta, va rigettata non indicando le norme violate, se non il
generico riferimento all’art. 51 n. 4 cpc ed al giusto processo, omettendo di
considerare che doveva in astratto proporsi ricusazione e che il relatore in appello
non ha partecipato al giudizio di primo grado, deciso dal GOA, ma era relatore in
sede di reclamo al Collegio, con decisione che il ricorrente non ha interesse a
contestare, avendo dichiarato l’incapacità a deporre del teste Sgarrini.
Non si vede, poi, il riferimento al doppio grado di giudizio né sussiste una ipotesi di
nullità della sentenza (Cass. 13.1.1989 n. 116, Cass. 13.8.2001 n. 11070- specifica
sulla partecipazione in sede di reclamo- Corte cost. n. 326/1997 e 193/1998-ord.).
Quanto alle altre censure va premesso che il giudizio di legittimità non può
consistere nella riproposizione di quanto precedentemente dedotto ma deve
specificamente indicare le violazioni di legge od i vizi logici della motivazione.
Il convincimento espresso dal giudice a quo risulta, in effetti, raggiunto
mediante lo svolgimento d’attività interpretativa degli accordi intercorsi..
Ne consegue che i ricorrenti avrebbero dovuto prospettare ogni questione
al riguardo, anzi tutto, in relazione all’attività ermeneutica posta in essere dal
giudice a quo, relativamente a ciascuno degli atti presi in considerazione nella

rivalutazione ed interessi col quesito se si tratti di debito di valuta e se si ha diritto

motivazione della sentenza, con puntuale riferimento ai singoli criteri legali
d’ermeneutica contrattuale, e solo successivamente, una volta idoneamente
dimostrato l’errore nel quale fosse eventualmente incorso al riguardo il detto
giudice, avrebbero potuto procedere ad un’utile prospettazione delle ulteriori

disamina di tali questioni presuppone l’intervenuto accertamento dell’errore
sull’interpretazione della volontà negoziale delle parti alle quali è fatto riferimento
in ricorso, e non può, pertanto, aver luogo ove manchi siffatto previo accertamento
d’un vizio che inficerebbe, sul punto, ab origine l’impugnata pronunzia, costituendo
tale interpretazione il presupposto logico-giuridico delle conclusioni alle quali il
giudice del merito è pervenuto poi sulla base di essa (Cass. 21.7.03 n. 11343,
30.5.03 n. 8809, 28.8.02 n. 12596).
L’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed
obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in
fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di
legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti
dagli artt. 1362 ss. CC, oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi;
pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il
ricorrente per cassazione deve, non solo, come già visto, fare esplicito riferimento
alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme
asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare
in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai
canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di
argomentazioni illogiche od insufficienti.

questioni d’erronea od inesatta applicazione d’altre norme ed istituti, dacché la

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale
profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non
concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel
giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica

motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano
semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di
legittimità (e pluribus, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579,
16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).
Va, comunque, rilevato, in ordine alla seconda censura, che la dedotta
violazione dell’art. 112 cpc imponeva di riportare puntualmente ed analiticamente le
domande ed eccezioni proposte dalle parti, mentre nella specie si deduce che il
Giudice di appello, così come quello di primo grado, ha ritenuto sussistente un
accordo tra la Electron e la SIU, nel senso che questa resasi acquirente
dell’immobile dello Sgarrini, si sarebbe potuta giovare, come aveva poi fatto, del
versamento della somma di lire 15.000.000 che l’attrice aveva effettuato,
confermando l’attività interpretativa, incensurabile per quanto sopra dedotto.
Quanto al terzo motivo, sostanzialmente nuovo, non si comprende il
riferimento all’inopponibilità della scrittura, rispetto alla circostanza che la SIU si
era giovata del versamento della somma.
In ordine al quarto motivo, anch’esso nuovo, è sufficiente osservare che la
censura di vizio di motivazione deve essere intesa a far valere carenze o lacune nelle
argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un
significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie

contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla

ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile
contrasto tra gli stessi; non può, per contro, essere intesa a far valere la non
rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del
merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non si può

stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di
valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al
libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale
convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa; diversamente, il motivo di
ricorso per cassazione si risolverebbe — com’è, appunto, per quello in esame — in
un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del
giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle
finalità del giudizio di legittimità.
Né può imputarsi al detto giudice d’aver omesse l’esplicita confutazione
delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non
ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa
all’esigenza d’adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti — come è
dato, appunto, rilevare nel caso di specie — da un esame logico e coerente di quelle,
tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di
per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo; in altri termini, perché sia rispettata la
prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 n. 4 e degli artt. 115 e
116 CPC, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto
esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli,
ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione

con essa proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi

evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di
esse.
Il quinto motivo contesta la deposizione di Sgarrini Alessandro, padre di
Massimo, ritenuto incapace a testimoniare, ma il relativo quesito riguarda la

dell’accollo che la Corte di appello ricava dalla dichiarazione del venditore nell’atto
pubblico (pagina nove della sentenza)..
Quanto al sesto motivo la questione prospettatavi, in vero, non ha formato
oggetto di trattazione nel giudizio d’appello, secondo quanto risulta dall’esame delle
componenti essenziali dell’impugnata sentenza – conclusioni delle parti riportate
nell’epigrafe ed, inoltre, motivi dell’impugnazione riportati all’inizio della
motivazione; esposizione del fatto; motivazione – contro la quale non è stata
formulata una rituale censura ex art. 112 CPC per omesso esame delle stesse.
Come ripetutamente evidenziato da questa Corte, infatti, l’omessa
pronunzia, quale vizio della sentenza, dev’essere, anzi tutto, fatta valere dal
ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo error in
procedendo e della violazione dell’art. 112 CPC in relazione all’art. 360 n. 4 CPC e
non già con la denunzia della violazione di differenti norme di diritto processuale o
di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 CPC
(Cass. 22.11.06 n. 24856, 14.2.06 n. 3190, 19.5.06 n. 11844, 27.01.06 n. 1755, ma
già 24.6.02 n. 9159, 11.1.02 n. 317, 27.9.00 n. 12790, 28.8.00 n. 11260, 10.4.00 n.
4496, 6.11.99 n. 12366).
Perché, poi, possa utilmente dedursi il detto vizio, è necessario, da un lato,
che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda od un’eccezione

decisione di primo grado sull’ammissione della prova e solo di riflesso la prova

autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le
quali quella pronunzia si rendesse necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali
domanda od eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini nel
ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo del

onde consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primis, la ritualità e la
tempestività della proposizione nel giudizio a quo ed, in secondo luogo, la decisività
delle questioni prospettatevi; ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di
merito, dell’art. 112 CPC, ciò che configura un’ipotesi di error in procedendo per il
quale questa Corte è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo
rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di
legittimità d’esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato
all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio d’autosufficienza del ricorso
per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della
fase di merito, dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita al
giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Cass. 19.3.07 n.
6361, 28.7.05 n. 15781 SS.UU., 23.9.02 n. 13833, 11.1.02 n. 317, 10.5.01 n. 6502).
In definitiva il ricorso va rigettato il ricorso della società in liquidazione e
dichiarato inammissibile quello dei soci, con la conseguente condanna alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso

della società in liquidazione, dichiara

inammissibile quello dei soci e condanna i ricorrenti, in solido, alle spese, liquidate
in euro 2700 di cui 2500 per onorari, oltre accessori.
Roma 15 maggio 2013.

giudizio di secondo grado nel quale l’una o l’altra erano state proposte o riproposte,

il Presidente

DEPOSITATO W4 CANCELLERIA
Roma,

27 A00. 2013

Y)5

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