Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19653 del 24/07/2018

Civile Sent. Sez. U Num. 19653 Anno 2018
Presidente: CANZIO GIOVANNI
Relatore: SCARANO LUIGI ALESSANDRO

Data pubblicazione: 24/07/2018

SENTENZA

sul ricorso 13541-2017 proposto da:

A.A.
– ricorrente contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI GELA;
– intimati avverso la sentenza n. 37/2017 del CONSIGLIO NAZIONALE
FORENSE, depositata il 4/04/2017.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
24/10/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.
RICCARDO FUZIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 4/4/2017 il C.N.F.

ha dichiarato

inammissibile, per tardività, il gravame interposto dall’avv. A.A. in relazione alla decisione del C.O.A. di Gela del 12/5/2014
irrogativa della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio
dell’attività professionale per la durata di mesi 3.
Avverso la suindicata decisione del C.N.F. lo A.A. propone
ora ricorso per cassazione affidato a 2 motivi.
Gli intimati C.O.A. di Gela e Procuratore Generale presso la
Corte Suprema di Cassazione non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1° motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 3 L. n.
241 del 1990, in riferimento all’art. 360, 1° n. 3, c.p.c.
Si duole che la pronunzia di 10 grado non recasse ( anche )
l’indicazione dei termini di relativa impugnazione.

Ric. 2017 n. 13541 sez. SU – ud. 24-10-2017

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PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE,

Lamenta essere stata tale decisione emessa quando il nuovo
regolamento n. 2 del 21/2/2014 avente ad oggetto il procedimento
disciplinare era stato già emanato sicché, pur se non ancora vigente,
tale circostanza fonda la fattispecie dell’«errore scusabile», atteso
che «il ricorrente ha erroneamente ritenuto applicabile il nuovo

piuttosto che … quello di cui all’art. 50, comma 2, del R.D.L. n.
158/1933», a fortiori in quanto «l’art. 26 del nuovo procedimento
disciplinare stabilisce che “il dispositivo deve indicare il termine entro
cui ricorrere innanzi al C.N.F.”, lasciando così intendere che trattasi di
requisito importante la cui omissione può indurre in errore il soggetto
interessato».
Con il 2° motivo denunzia «eccesso di potere – violazione del
principio del favor rei».
Si duole non essersi considerato che l’«indubbia natura
afflittiva>> delle sanzioni disciplinari «deve … indurre
all’applicazione del principio del “favor rei”, atteso che la retroattività
piena ed incondizionata della legge abrogatrice è in realtà giustificata
da un’esigenza di parità sostanziale di trattamento riconducibile alla
disposizione di cui all’art. 3 della Cost.», e che la giurisprudenza di
legittimità ha d’altro canto affermato che «le norme del nuovo
codice si applicano anche ai procedimenti in corso al momento della
sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato, avendo l’art.
65, comma 5, della L. n. 247/2012 recepito il criterio del “favor rei” in
luogo del criterio del tempus regit actum», non potendo «non
rilevarsi come vi sia stata una successione di discipline nel tempo sia
per ciò che concerne il Codice Deontologico Forense, sia per ciò che
concerne la regolamentazione del procedimento disciplinare»,
essendo pertanto suo «diritto … vedersi riconosciuta la disciplina …
più favorevole».
Il ricorso è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c.

Ric. 2017 n. 13541 sez. SU – ud. 24-10-2017

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termine d’impugnazione di cui al regolamento n. 2 del 21/02/2014

Con la L. n. 247 del 2014 ( recante “Nuova disciplina
dell’ordinamento della professione forense ) il C.N.F. è stato delegato
ad emanare il nuovo Codice Deontologico Forense [ art. 3, commi 3 e
5, art. 35, comma 1 lett. d), art. 65, comma 5 ].
Il C.N.F. ha adottato il nuovo Codice Deontologico Forense con

G.U. n. 241 del 16 ottobre 2014 ed entrato in vigore il 15/12/2014.
Ai sensi dell’art. 50, comma 5, del Titolo V ( Il Procedimento
disciplinare ) della L. n. 247 del 2012 il C.N.F. ha successivamente
altresì adottato il Regolamento n. 2 del 21 febbraio 2014 ( recante
“Procedimento disciplinare ), divenuto vigente il 10 gennaio 2015 ( v.
Cass., Sez. Un., 3/11/2017, n. 26148; Cass., Sez. Un., 26/9/2017, n.
22358 ), e successivamente modificato ( con delibera assunta nella
seduta amministrativa del 24 marzo 2017 ) a far data dal 7 maggio
2017.
Come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, la L. n. 247
del 2012 all’art. 65 ( rubricato “Disposizioni transitorie” ), comma 5
(interamente dedicato all’emanando nuovo codice deontologico),
dispone che l’«entrata in vigore del codice deontologico determina
la cessazione di efficacia delle norme previgenti anche se non
specificamente abrogate. Le norme contenute nel codice deontologico
si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento
della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato» ( v.
Cass., Sez. Un., 18/4/2018, n. 9558; Cass., Sez. Un., 16/2/2015, n.
3023 ).
Si è da queste Sezioni Unite osservato che, nel fissare il
momento di transizione dall’operatività del vecchio a quella del nuovo
Codice Deontologico, la nuova legge professionale espressamente
regola ( a tale stregua prevenendo le incertezze interpretative
manifestatesi in occasione di precedenti successioni di norme
deontologiche ) la successione nel tempo delle norme dell’allora

Ric. 2017 n. 13541 sez. SU – ud. 24-10-2017

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Regolamento n. 1 del 2014, approvato il 31/1/2014, pubblicato nella

vigente e di quelle dell'(anora) emanando nuovo codice deontologico
(e delle ipotesi d’illecito e delle sanzioni da esse rispettivamente
contemplate) improntandola al criterio del favor rei ( v. Cass., Sez.
Un., 16/2/2015, n. 3023 ).
Si è al riguardo altresì posto in rilievo che tra le principali

Forense presenta la (ancorché non assoluta, certamente tendenziale)
tipicizzazione degli illeciti e la predeterminazione delle sanzioni
correlativamente applicabili.
Si è per altro verso sottolineato che la norma di cui al
suindicato art. 65 è volta a regolare la successione tra le norme del
vecchio e del nuovo Codice deontologico, e quindi delle fattispecie
incriminatrici e delle correlative sanzioni di natura amministrativa
applicabili, laddove per gli istituti regolati da fonte diversa dal Codice
deontologico, e in particolare dalla legge, «resta operante il criterio
generale dell’irretroattività delle norme in tema di sanzioni
amministrative», attesa la scelta discrezionale del legislatore volta
a «potenziare l’efficacia dissuasiva della sanzione, eliminando per il
trasgressore ogni aspettativa di evitare la sanzione grazie a possibili
mutamenti legislativi ( Corte cost. 20 luglio 2016, n. 193 )» ( così
Cass., Sez. Un., 18/4/2018, n. 9558).
Va in argomento ulteriormente precisato che nel dettare la
disciplina transitoria stabilendo che si applicano le norme più
favorevoli per l’incolpato anche ai procedimenti in corso al momento
della sua entrata in vigore, l’art. 65, comma 5, L. n. 247 del 2012 fa
espresso e specifico riferimento alle norme del nuovo Codice
Deontologico Forense ( Regolamento C.N.F. n. 1 del 2014 ), e non
anche a quelle del Regolamento C.N.F. n. 2 del 2014 ( recante
“Procedimento disciplinare” ).
Ne consegue che erroneamente l’odierno ricorrente invoca
l’applicazione nella specie ( anche ) della norma di cui all’art. 33

Ric. 2017 n. 13541 sez. SU – ud. 24-10-2017

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innovazioni rispetto a quello previgente il nuovo Codice Deontologico

Regolamento C.N.F. n. 2 del 2014 sul Procedimento disciplinare, in
base al principio del favor rei.
Quest’ultimo si applica infatti, come detto, solamente alle
norme del Codice Deontologico Forense, laddove trattandosi di atto
come nella specie d’impugnazione la norma applicabile avente ad

proposizione, in applicazione del principio tempus regit actum, invero
richiamato nelle stesse premesse del Regolamento C.N.F. n. 2 del
2014 mediante il riferimento all’art. 65, comma 1, L. n. 247 del 2012.
A tale stregua, il termine ( perentorio ) d’impugnazione della
decisione del C.O.A. di Gela in argomento era quello stabilito dalla
previgente disciplina ( tra l’altro ormai decorso al momento
dell’entrata in vigore -oltre 6 mesi dopo- del Codice Deontologico
Forense ).
Pertanto, non già -come sostenuto dall’odierno ricorrentequello di 30 giorni dalla data di notifica della decisione ex art. 33
Regolamento CNF 21 febbraio 2014 n. 2, bensì quello di 20 giorni ex
art. 50, 2° co., r.d.l. n. 158 del 1933 all’epoca ( ancora ) vigente.
Termine che, come indicato nell’impugnata sentenza, in
considerazione anche «del periodo di sospensione feriale dal 1°
Agosto al 15 Settembre e che l’ultimo giorno cadeva di sabato» è
venuto nel caso a scadere lunedì 29/9/2014.
Correttamente il gravame è stato pertanto nell’impugnata
sentenza dal C.N.F. ( che allorquando pronunzia in materia
disciplinare è un giudice speciale istituito con d.lgs. Igt. 23 novembre
1944, n. 382, e tuttora legittimamente operante giusta la previsione
della VI disp. transitoria della Costituzione: v. Cass., Sez. Un.,
23/3/2005, n. 6213, e da ultimo, Cass., Sez. Un., 3/11/2017, n.
26148 ) ritenuto tardivamente proposto.
Non può infine sottacersi che non viene nel caso in rilievo
l’istituto della scusabilità dell’errore con riferimento all’individuazione

Ric. 2017 n. 13541 sez. SU – ud. 24-10-2017

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oggetto i relativi termini è quella vigente al momento della sua

del termine d’impugnazione nella specie applicabile, non rinvenendosi
( anche in considerazione della mancata relativa deduzione da parte
dell’odierno ricorrente nel rispetto dei requisiti a pena
d’inammissibilità richiesti all’art. 366,

10 co. n. 6, c.p.c. ), atti o

circostanze positive tali da ingenerare in capo all’odierno ricorrente la

L. n. 247 del 2012, dovendo per converso trovare al riguardo
applicazione il diverso principio di autoresponsabilità.
Non è a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio
di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La corte dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115,
come modif. dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Roma, 24/10/2017

Il Consigliere estensoreIl/Pr9sidente

suesposta erronea convinzione sul significato della norma ex art. 65

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