Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19652 del 27/08/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 19652 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 19075-2007 proposto da:
Q- ~ht_ -(2/42-163
MASSIMO FREGNANP(non in proprio ma quale procuratore
generale della sig.ra ALLEPUZ SYLVIE ODETTE PAULETTE,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DEGLI
AMMIRAGLI 119, presso lo studio dell’avvocato FASSARI
OSVALDO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato MORI PIERGIOVANNI;
– ricorrente contro

IACHELLI MARIA ROSA CHLMRS43P02B572W, MAGNANI AURELIO
MGNRLA34S12G789Q, elettivamente domiciliati in ROMA,

Data pubblicazione: 27/08/2013

CORSO TRIESTE 149, presso lo studio dell’avvocato
TONINI ANDREA, rappresentati e difesi dall’avvocato
CIPRIANI MASSIMO con procura speciale n.8255 del
6/6/2012;
– resistenti con procura –

di FIRENZE, depositata il 12/01/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/05/2013 dal Consigliere Dott. FELICE
MANNA;
udito l’Avvocato Giulia ROMANELLI,

con delega

depositata in udienza dell’Avvocato Piergiovanni
MORI, difensore del ricorrente che si riporta agli
atti depositati e ne chiede accoglimento;
udito l’Avvocato CIPRIANI Massimo, difensore dei
resistenti che ha chiesto inammissibilità del ricorso
per procura generica a margine del ricorso e si
riporta agli atti depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
..

Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

avverso la sentenza n. 8/2007 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Sylvie Odette Paulette Allepuz, acquirente per il prezzo dichiarato di lire
45.000.000 di un appartamento posto in Cantagallo, fraz. Rocca Cerbaia,
conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Prato i venditori, Aurelio

danno e alla riduzione del prezzo ai sensi degli artt. 1480 e 1489 c.c.,
lamentando che l’immobile presentava lesioni varie ed era stato ristrutturato
in violazione delle norme urbanistiche vigenti.
I convenuti resistevano in giudizio.
Nell’accogliere la domanda il Tribunale azzerava il prezzo della vendita e,
ad un tempo, condannava i convenuti al risarcimento del danno, che liquidava
in € 81.016,07, di cui €3.098,74 per spese di locazione sostenute aall’attrice.
Tale sentenza era parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Firenze,
adita dai Magnani-Iachelli, che riduceva il prezzo di vendita di E 9.761,04 e
limitava il risarcimento del danno a 3.098,74 per le sole spese di locazione di
un’abitazione diversa.
La Corte territoriale, giudicata abnorme la soluzione cui era pervenuta la
sentenza di primo grado, che in accoglimento di un’actio quanti minoris
aveva azzerato il prezzo di vendita e riconosciuto un danno pari alla
differenza fra questo e la spesa stimata dal c.t.u. come necessaria per le
riparazioni, riteneva fondato l’assunto degli appellanti per cui i due rimedi
non erano cumulabili fra loro. Di conseguenza, regolava la fattispecie
mediante l’applicazione degli artt. 1490-1492 c.c., in luogo dell’art. 1489 c.c.,
invocato dalla parte appellata.

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Magnani e Maria Rosa Iachelli, per sentirli condannare al risarcimento del

Per la cassazione di tale sentenza ricorre Massimo Fregnani, nella sua
qualità di procuratore generale di Sylvie Odette Paulette Allepuz.
Gli intimati hanno depositato unienrnente procura speciale, con autentica
notarile, al proprio difensore, e partecipato alla discussione.

1.

Col primo motivo è dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver

la Corte d’appello escluso che la res vendita fosse gravata da oneri,
escludendo così l’applicazione dell’art. 1489 c.c., senza che contro la sentenza
di primo grado fosse stato formulato sul punto uno specifico motivo
d’impugnazione, volto a contestare l’applicazione della predetta norma
sostanziale.
Formula, pertanto, il seguente quesito di diritto ex art. 366-bis c.p.c.
(applicabile ratione temporis al presente giudizio): “in conseguenza di quanto
sopra (…) si chiede alla Corte di Cassazione Ill.ma se non incorra in vizio di
ultrapetizione il giudice d’appello che estenda il proprio esame a parti della
decisione di primo grado che non siano state specificamente censurate
dall’appellante con specifici motivi d’appello”.
1.1. – Il motivo è manifestamente inammissibile per difetto d’interesse.
Entrambe le previsioni normative prospettate in causa (l’art. 1489 c.c.
ovvero il binomio normativo degli artt. 1490-1492 c.c.) comportano la
medesima garanzia consistente nella riduzione del prezzo. E dunque discettare
di ultrapetizione relativamente alla soluzione prescelta dalla Corte territoriale,
in nessun caso produrrebbe in parte qua un effetto rescindente della sentenza
impugnata.

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MOTIVI DELLA DECISIONE

2. – Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 342 e 339 c.p.c.
per genericità dei motivi d’appello; dell’art. 112 c.p.c. perché la Corte
territoriale, senza specifica impugnazione sul punto, ha riformato la sentenza
di primo grado escludendo che l’attrice avesse diritto alla riduzione del prezzo

motivazione, per non aver la stessa Cui Le specificato in accoglimento di quale
motivo d’appello abbia riformato la sentenza impugnata.
Segue il quesito: “si chiede alla Corte di Cassazione Ill.ma se non incorra
in vizio di ultrapetizione il giudice d’appello che estenda il proprio esame a
parti della decisione di primo grado che non siano state specificamente
censurate dall’appellante con specifici motivi d’appello”.
2.1. – Il motivo è inammissibile per l’inidoneità del quesito di diritto, il
quale pone un interrogativo giuridico che mira a captare una soluzione di
necessità logica favorevole alla parte ricorrente, attraverso l’artificio dialettico
di dare per presupposto un fatto processuale — l’omessa censura da parte degli
appellanti del cumulo di riduzione del prezzo e risarcimento del danno da vizi
della res

contrario alla realtà. Tale censura, invece, è stata formulata

nell’atto d’appello, come si ricava dalla lett. C della relativa citazione così
come riportata a pag. 12 del ricorso, mediante la contestazione
dell’applicabilità dell’art. 1440 c.c., ritenuta dal Tribunale (v. pag. 8 sentenza
di primo grado). Infatti, in quella occasione gli appellanti ebbero a sostenere
(sempre secondo quanto riporta la stessa parte odierna ricorrente) che: “Il
Magistrato estensore motiva la sua decisione per la riduzione del prezzo e il
risarcimento del danno sull’esistenza di una ” omissis … ipotesi di colpa e
di dolo incidente ex art. 1440 c.c. … omissis “. L’art. 1440 c.c. prevede
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e alla somma corrispondente all’eliminazione dei vizi; e il vizio di

che: “se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è
valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il
contraente in mala fede risponde dei danni”. Durate l’istruzione probatoria
nulla è stato svolto al fine di dimostrare la colpa, il dolo incidente e/o mala

Quanto sopra dimostra, altresì, l’inconsistenza della connessa censura di
vizio motivazionale, peraltro formulata in senso puramente retorico.
3. – Col terzo mezzo d’annullamento parte ricorrente deduce, in relazione
all’art. 360, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 1483, 1484 e 1489 c.c., in
quanto la loro applicazione alla fattispecie è stata esclusa dalla Corte
d’appello nonostante fosse stato accertato che l’immobile era stato
ristrutturato in difformità dalla concessione edilizia. Allega, inoltre, l’omessa
motivazione, in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., circa l’esclusione
dell’esistenza di oneri sulla cosa venduta, accertati invece dal Tribunale, la
conseguente non applicazione dell’art. 1489 c.c., e il mancato esame di un
documento “rilevante” ai fini della decisione.
3.1. – Per molteplici ragioni, anche tale motivo è inammissibile.
3.1.1. – In primo luogo, non si comprende se il ricorrente contesti in
definitiva la violazione di legge o il vizio di motivazione, il che contrasta col
requisito di specificità del mezzo, ai sensi dell’art. 366, n. 4 c.p.c
3.1.2. – In secondo luogo, anche a isolare l’una censura dall’altra e ad
esaminarle separatamente, va rimarcato che la prima difetta del quesito di
diritto ex art. 366-bis c.p.c., e la seconda è inammissibile perché ha per
oggetto non un fatto in senso storico o normativo, ma l’applicazione di una
norma piuttosto che di un’altra. A tale ultimo riguardo è sufficiente ricordare
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fede degli odierni appellanti”.

che il vizio di motivazione, denunciabile come motivo di ricorso per
cassazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., può concernere esclusivamente
l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della
controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme

questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia pure senza fornire alcuna
motivazione o fornendo una motivazione inadeguata, illogica o contraddittoria
— la Corte di Cassazione, nell’esercizio del potere correttivo attribuitole
dall’art. 384, secondo comma, c.p.c., deve limitarsi a sostituire, integrare o
emendare la motivazione della sentenza impugnata (Cass. S.U. n. 28054/08;
conforme, Cass. n. 5595/03).
3.1.3. – Oltie a ciò, il motivo è inammissibile anche perché, nella sentenza
di primo grado, all’affermazione del fatto che l’immobile era stato costruito in
difformità della concessione non è seguita la liquidazione del relativo danno,
avendo il Tribunale limitato il risarcimento alle spese di eliminazione dei vizi,
come quantificate dal c.t.u., e a quelle per l’affitto (rectius, locazione) di una
diversa abitazione nel periodo d’inagibilità dell’immobile (v. pag. 9 della
sentenza di primo grado). Ne deriva che il fatto controverso, ove mai
individuabile nella difformità della ristrutturazione dell’immobile alienato
rispetto alla concessione edilizia, difetta del requisito di decisività per rilevare
quale oggetto di un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c.
4. – Il quarto motivo lamenta la violazione degli artt. 1490, 1492 e 1494
c.c. e il vizio motivazionale sulla riduzione del prezzo e sull’esclusione del
diritto dell’attrice ad essere risarcita con la corresponsione delle somme
necessarie ad eliminare i vizi dell’immobile.
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giuridiche, giacché — ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le

Il motivo termina col seguente quesito: “… si chiede alla Corte di
Cassazione Ill.ma se il principio di diritto per cui l’azione per la riduzione del
prezzo e quella per il risarcimento del danno spettanti al compratore a norma
degli artt. 1492 e 1494 c.c. sono entrambe finalizzate a ristabilire il rapporto

compratore medesimo nella situazione economica in cui si sarebbe trovato se
il bene fosse stato immune da vizi, non determini la conseguenza che se le
spese per la eliminazione dei vizi sono superiori al prezzo corrisposto per
l’acquisto le spese medesime devono essere comunque integralmente
riconosciute al compratore”.
5. – Il quinto motivo reitera il precedente mezzo, con l’aggiunta della
dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., e del vizio di motivazione in merito al
diritto della parte odierna ricorrente di ottenere il pagamento delle spese
necessarie all’eliminazione dei difetti dell’immobile alienato.
Segue il que.::o (così testualmente espresso): “… se dal principio per il
quale l’azione di riduzione del prezzo e l’azione per il risarcimento del danno
non coperto dalla prima, spettanti al compratore a norma degli artt. 1492 e
1494 c.c., siano rivolte a ristabilire il rapporto di corrispettività fra prestazione
e controprestazione, nonché a porre il compratore medesimo nella situazione
economica in cui si sarebbe trovato se il bene fosse stato immune da vizi non
ne consegua che detta riduzione va apportata con una diminuzione del prezzo
pattuito corrispondente alla percentuale di disvalore della cosa derivante
dall’esistenza dei vizi, e che il danno va quantificato nella differenza fra gli
utili rispettivamente ricavabili dalla concreta utilizzazione della medesima,
nelle diverse situazioni, ottimale e deficitaria”.
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di corrispettività tra prestazione e wntroprestazione, nonché a porre il

6. – I due motivi, da esaminare congiuntamente per il tema comune cui
ineriscono, sono infondati.
Giova premettere che — contrariamente a quanto parte ricorrente mostra di
opinare — la pretesa di pagamento di una somma pari alle spese necessarie per

del danno, ma di esatto adempimento, in quanto è diretta a far ottenere
all’acquirente esattamente l’utilità che egli si riprometteva di conseguire dal
contratto, e noli il suo equivalente monetario. In tal caso, la corresponsione di
una somma di denaro in luogo della mancata consegna di una res immune da
vizi, non compensa un utile economico la cui menomazione non sia altrimenti
rimediabile, ma costituisce l’adempimento indiretto di un’obbligazione di fare
volta a far conseguire all’acquirente il risultato contemplato nel contratto;
sicché è necessario domandarsi se una siffatta azione di esatto adempimento
sia compatibile con lo schema legale della vendita.
In ordine a ciò, la recente giurisprudenza di questa Corte si è espressa a
S.U. nel senso che in tema di compravendita, la disciplina della garanzia per
vizi si esaurisce negli artt. 1490 ss. c.c., che pongono il venditore in una
situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo
all’iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla
sua caducazione mediante l’esperimento, rispettivamente, della actio quanti

minoris o della actio redhibitoria. Ne consegue che il compratore non dispone
— neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica — di un’azione
“di esatto adempimento” per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi
della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di
legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o
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eliminare i vizi della cosa venduta costituisce domanda non di risarcimento

qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene
(Cass. S.U. n. 19702/12, cui è seguita Cass. n. 1269/13).
A tale precedente occorre dare continuità, non essendovi ragioni per
promuovere un ripensamento delle sezioni unite di questa Corte, ai sensi

7. – La reiezione del quarto e del quinto motivo assorbe l’esame della sesta
censura, che denuncia la violazione degli arti 1490, 1492, 1494 e 1226 c.c.,
in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., nonché il vizio di motivazione, ai sensi del
n. 5 della norma da ultimo citata, in merito alla riduzione del prezzo, che
secondo il ricorrente avrebbe dovuto essere commisurata ad una somma non
inferiore a quelía necessaria ad eliminare i vizi dell’immobile.
7.1. – Né ha pregio quanto ulteriormente sostenuto (19 1 ricorrente
nell’ambito di detto motivo, ossia che la riduzione del 30% del valore
dell’immobile sarebbe stata suggerita dal c.t.u. “dando per scontato che
venissero preventivamente eseguite le opere di eliminazione dei vizi” (v. pag.
39 del ricorso); tesi, quest’ultima, che corrisponde all’ultima parte del quesito,
ove si chiede se: “… la riduzione del prezzo conseguente alla presenza di vizi
nel bene compravenduto possa essere inferiore al costo necessario per
l’eliminazione dei vizi stessi” (la prima parte del quesito non è rilevante
perché si esaurisce nella mera ed incontroversa esegesi dell’art. 1492 c.c.).
Il brano della relazione del c.t.u. riportato sul punto (/oc. ull. cit.) non
comprova affatto l’assunto del ricorrente. L’ausiliario ha giustificato la
riduzione del 30% del valore dell’immobile in quanto, “pur ritenendo che i
vizi e i difetti riscontrati possono essere ovviati con le opere anzi descritte, è
tuttavia innegabile che il valore di mercato di un immobile in tali condizioni
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dell’art. 374, 3 0 comma c.p.c.

subisca una sensibile riduzione essendo assai più ridotto il numero di persone
disponibili all’acquisto e comunque solo ad un prezzo sensibilmente inferiore
rispetto all’effettivo valore di mercato”. Il costrutto sintattico di tipo
concessivo adoperato (“pur ritenendo…, è tuttavia innegabile”) lascia

non è dimostrata alcuna crisi di logicità interna alla motivazione della
sentenza impugnata, nel rifarsi alla relazione del c.t.u. per quantificare la
riduzione di valore della res vendita.
8. – In conclusione il ricorso va respinto.
9. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della
parte ricorrente.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condaiina la parte ricorrente alle spese, che
liquida in E 3.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CPA come per
legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile
della Corte Suprema di Cassazione, il 15.5.2013.

intendere, semmai, l’esatto contrario di quanto afferma parte ricorrente, sicché

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