Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19650 del 27/08/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 19650 Anno 2013
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FLAMMINI GINO (C.F.: FLM GNI 36D15 D210Q) e VAGNONI FIORELLA
(C.F.: VGN FLL 49C41 C210P), elettivamente domiciliati in Roma, via Monte Zebio n. 37, presso lo studio dell’Avvocato Marcello Furitano, dal quale sono rappresentati e difesi giusta
procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti contro

0-(5N 2 Y °144 5)
PASTICCERIA GARDEN DI CASTELLETTI BRUNO & C. S.N.C., in persona del legale rappresentante pro-tempore,

rappresentata e di-

fesa, giusta procura speciale in calce al controricorso,
dall’Avvocato Renato Olivieri, elettivamente domiciliata pres-

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Data pubblicazione: 27/08/2013

so lo studio dell’Avvocato Roberto Mandolesi in Roma, via Paolo Emilio n. 34;

controricorrente

avverso la sentenza n. 503 della Corte d’appello di Ancona del

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica
del 18 aprile 2013 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
sentito per la ricorrente l’Avvocato Cecilia Furitano, con
delega;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Sergio Del Core, che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 18 febbraio 2004 il Tribunale di Fermo
,
rigettava la domanda proposta da Flamini Gino, Flamini Oreste,
Vagnoni Fiorella e Vagnoni Renata, di condanna della Pasticceria Garden di Castelletti Bruno & C. s.n.c. all’arretramento
e, quindi, alla demolizione dell’ampliamento dell’edificio
realizzato da detta società in violazione delle distanze legali minime fissate dal P.R.G. del Comune di Cupramarittima.
I soccombenti proponevano appello sostenendo
l’inapplicabilità della normativa di cui alla legge della Regione Marche n. 31 del 1979 – la quale consente ampliamenti in
deroga ai P.R.G. con l’unico obbligo di mantenere una distanza

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10 settembre 2005.

minima di tre metri tra i fabbricati – perché in contrasto con
l’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, il quale fissa una distanza minima di metri dieci tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Gli appellanti assumevano, infatti, che nel

lere le prime.
La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza resa pubblica
mediante deposito il 10 settembre 2005, rigettava
l’impugnazione sulla base del rilievo secondo cui, nella gerarchia delle fonti normative, non poteva darsi una relazione
di supremazia delle leggi statali rispetto a quelle regionali
e che comunque una simile supremazia non poteva riconoscersi a
un decreto ministeriale, trattandosi di fonte di tipo secondario.
Per la cassazione di questa sentenza proponevano ricorso
Flamini Gino e Vagnoni Fiorella sulla base di due motivi, illustrati da memoria; resisteva, con controricorso, l’intimata
Pasticceria Garden di Castelletti Bruno & C. s.n.c.
Con ordinanza n. 29756 del 2011, questa Corte riteneva rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. l), e terzo comma, Cost., la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, secondo
comma, della legge della Regione Marche 4 settembre 1979, n.
31, art. 1, comma 2; disponeva la sospensione del processo e

conflitto tra norme statali e norme regionali dovessero preva-

la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Decisa la questione di legittimità costituzionale con sentenza n. 6 del 2013, la causa è stata nuovamente fissata per

vista della quale la resistente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e
falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 873 e
907 cod. civ., nonché dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968,
in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., sostenendo
in particolare che la disposizione di cui all’art. 9 del sopra
citato d.m. fissi un principio generale – in forza del quale
la distanza minima tra pareti ed edifici antistanti è di minimo metri dieci – che non potrebbe essere derogato in senso riduttivo da una legge regionale.
Sempre riguardo a tale punto, ritenuto decisivo per la definizione della controversia, i ricorrenti lamentano altresì
la carenza di motivazione in relazione all’art. 360, n. 5,
cod. proc. civ.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano violazione
e falsa applicazione della legge della Regione Marche n. 31
del 1979, nonché carenza e contraddittorietà della motivazione
su un punto decisivo della controversia, in relazione, rispettivamente, ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. In par-

la discussione alla pubblica udienza del 18 aprile 2013, in

ticolare i ricorrenti, in primo luogo, affermano che la legge
regionale non potrebbe derogare alle scelte operate dal Comune
il quale sarebbe titolare del potere primario ed esclusivo in
materia edilizia; in secondo luogo, sostengono che la normati-

quella delle distanze legali minime, e cioè afferirebbe alla
tematica delle barriere architettoniche.
3. Con riferimento al primo motivo di ricorso, questa Corte
ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, secondo comma, della legge della Regione Marche 4 settembre 1979, n. 31,
nella parte in cui consente che gli ampliamenti di cui al primo coma (concernenti edifici aventi impianto edilizio preesistente, compresi nelle zone di completamento con destinazione
residenziale previste dagli strumenti urbanistici generali comunali approvati, relativamente alle case a un piano fuori
terra e alle costruzioni che, avuto riguardo alla struttura
edilizia esistente e agli edifici circostanti, presentano evidenti caratteristiche di non completezza) possano essere realizzati, nei limiti di cui al successivo art. 2, anche in deroga alle distanze e/o al volume stabiliti per le suddette zone territoriali omogenee dal d.m. 2 aprile 1968, n. 1444.
3.1. Con sentenza n. 6 del 2013, la Corte costituzionale ha
dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 1, secondo comma, della legge della Regione Marche 4 settembre 1979,

va regionale richiamata riguarderebbe altra materia rispetto a

n. 31. In particolare, la Corte costituzionale ha rilevato che
la norma regionale, consentendo espressamente ai Comuni di derogare alle distanze minime fissate nel d.m. n. 1444 del 1968,
senza rispettare le condizioni stabilite dall’art. 9, ultimo

roghe siano inserite in appositi strumenti urbanistici, a garanzia dell’interesse pubblico relativo al governo del territorio, ha inciso nella materia «ordinamento civile», riservata
alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. La detta
disposizione, infatti, autorizza i Comuni ad «individuare gli
edifici» dispensati dal rispetto delle distanze minime e quindi introduce una deroga che non risulta ancorata all’esigenza
di realizzare la conformazione omogenea dell’assetto urbanistico di una determinata zona, ma può riguardare singole costruzioni, anche individualmente considerate. Tale procedura
non è dunque conforme al principio per cui la legislazione regionale che interviene in materia di distanze legali è legittima solo in quanto persegue chiaramente finalità di carattere
urbanistico, rimettendo l’operatività dei suoi precetti a
«strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed
unitario di determinate zone del territorio»; né il vizio può
ritenersi insussistente in ragione dell’art. 2, quarto comma,
della legge regionale impugnata, che intende conferire a tale
procedura «efficacia di piano particolareggiato»,
zi,

ex lege. An-

attraverso tale autoqualificazione, il legislatore regio-

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_

comma, del medesimo decreto ministeriale, che esige che le de-

nale pretende di attribuire gli effetti tipici degli strumenti
urbanistici a un procedimento che non ne rispecchia la sostanza e le finalità. L’attribuzione, per via legislativa, della
qualifica formale di piano particolareggiato ad una procedura

permette di derogare caso per caso alle regole sulle distanze
tra edifici, non offre alcuna garanzia che la legge regionale
persegua quelle finalità pubbliche di governo del territorio
che, sole, possono giustificare l’esercizio di una competenza
legislativa regionale in un ambito strettamente connesso alla
competenza statale in materia di «ordinamento civile».
3.2. Venuta meno la possibilità di ritenere la legittimità
del fabbricato di parte resistente fondata sulla disposizione (
regionale dichiarata costituzionalmente illegittima, il primo
motivo del ricorso deve essere accolto, atteso che è incontestata la violazione della distanza di cui all’art. 9 d.m. n.
1444 del 1968 e che la fonte normativa in base alla quale
quell’intervento è stato ritenuto legittimo dalla Corte
d’appello è stata dichiarata illegittima.
4. Non possono essere condivise le argomentazioni svolte
dalla contro ricorrente nella memoria depositata in prossimità
dell’udienza di discussione.
In particolare, ai fini della valutazione dei limiti di operatività della dichiarazione di illegittimità costituzionale
della disposizione della legge della Regione Marche rilevante

che del piano urbanistico non ha le caratteristiche, perché

nel caso di specie, deve osservarsi che, nella giurisprudenza
di questa Corte, costituisce principio consolidato quello per
cui «le sentenze di accoglimento di una questione di legittimità costituzionale pronunciate dalla Corte costituzionale

consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente
esaurito, potendosi, in proposito, legittimamente ritenere “esauriti” i soli rapporti rispetto ai quali si sia formato il
giudicato, ovvero sia decorso il termine prescrizionale o decadenziale previsto dalla legge» (Cass. n. 10958 del 2010); in
particolare, si è affermato che «le pronunce di accoglimento
del giudice delle leggi – dichiarative di illegittimità costituzionale – eliminano la norma con effetto

ex tunc, con la

conseguenza che essa non è più applicabile, indipendentemente
dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, perché l’illegittimità costituzionale ha per presupposto l’invalidità originaria
della legge – sia essa di natura sostanziale, procedimentale o
processuale – per contrasto con un precetto costituzionale,
fermo restando il principio che gli effetti dell’incostituzionalità non si estendono esclusivamente ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato
o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi
verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni

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hanno effetto retroattivo, con l’unico limite delle situazioni

non direttamente investite, nei loro presupposti normativi,
dalla pronuncia d’incostituzionalità» (Cass. n. 20381 del
2012; Cass. n. 16450 del 2006).
Orbene, è del tutto irrilevante, ai fini che qui interessa-

effetti prodotti dalla norma dichiarata illegittima si sarebbero irrevocabilmente prodotti per effetto del rilascio della
concessione sulla base della disposizione poi dichiarata illegittima, non avendo la detta concessione formato oggetto di
impugnazione dinnanzi al giudice amministrativo.
In contrario, deve osservarsi che ciò che rileva nel presente giudizio non è la legittimità della concessione sulla
base della quale la controricorrente ha realizzato
l’intervento edilizio contestato dagli odierni ricorrenti,
quanto la pendenza di un giudizio, la cui decisione dipende
dall’applicazione della disposizione dichiarata incostituzionale, avente ad oggetto la denunciata violazione delle norme
sulle distanze e quindi l’accertamento della lesione del diritto soggettivo dei ricorrenti alla osservanza delle distanze
legali; e, sul punto, certamente non può ritenersi che sia intervenuto alcun accertamento irrevocabile, costituendo
l’accertamento della violazione delle distanze, con conseguente lesione del diritto soggettivo dei ricorrenti alla loro osservanza, l’oggetto del presente giudizio.

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no, la circostanza, dedotta dalla controricorrente, che gli

D’altra parte, le concessioni edilizie sono rilasciate con
salvezza dei diritti dei terzi, sicché risulta del tutto irrilevante la circostanza che la concessione non sia stata impugnata: finché sulla affermata lesione del diritto soggettivo –

dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione di legge sulla cui base è stata rilasciata la concessione edilizia ed è stato eseguito l’intervento edilizio, spiega
tutta la sua efficacia e comporta l’accoglimento del motivo di
ricorso per cassazione con il quale si lamenti la violazione
della normativa in tema di distanze.
5. In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere
accolto, con conseguente assorbimento del secondo. Ciò comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla
Corte d’appello di Ancona che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame del gravame alla luce della intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 1, secondo comma, della legge della Regione Marche n. 31 del 1979.
Al giudice del rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il

secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le
spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione.

lamentata dai ricorrenti – non si sia formato il giudicato, la

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 18 a-

prile 2013.

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