Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19650 del 16/09/2010

Cassazione civile sez. I, 16/09/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 16/09/2010), n.19650

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.D.V., D.D.D., D.D.I.,

D.D.S., D.D.L. e D.D.R.,

quali eredi di Q.M., domiciliati in Roma, Piazza

Cavour, presso la cancelleria della Corte di cassazione,

rappresentati e difesi dall’avv. Marra Maria Teresa per procura in

atti;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore;

– intimata –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma in data 25 settembre

2006, nella causa iscritta al n. 53817/05 Ruolo affari diversi;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21 aprile 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, dott. RUSSO Rosario Giovanni, che nulla ha

osservato.

 

Fatto

LA CORTE

Rilevato che:

1. è stata depositata in cancelleria relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata all’avvocato dei ricorrenti; D.D.V., D.D. D., D.D.I., D.D.S., D.D. L. e D.D.R., quali eredi di Q.M. deceduta il (OMISSIS), hanno proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 25 settembre 2006, con il quale la Corte di appello di Roma ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore dei ricorrenti della somma di Euro 1.600,00, a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di un processo instaurato davanti al Tar Campania con ricorso del 31 ottobre 1996, definito in primo grado con sentenza 25 gennaio 1999, impugnata con appello del 12 febbraio 2000, a cui ha fatto seguito sentenza del Consiglio di Stato in data 8 febbraio 2005; la Presidenza intimata non ha svolto difese;

la Corte di appello di Roma ha accolto la domanda nella misura di Euro 1.600,00, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo ritenuto ragionevole la durata del giudizio di primo grado, protrattosi per poco più di due anni, e stabilito la durata ragionevole del giudizio di appello in tre anni, superata nella specie nella misura di due anni, senza alcun addebito alla parte;

2. i ricorrenti censurano il decreto impugnato, proponendo due motivi di ricorso, con i quali lamentano:

la mancata applicazione dello standard fissato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo quanto alla determinazione del termine ragionevole di durata del giudizio di primo grado e di quello di appello; la determinazione dell’indennizzo per il danno non patrimoniale – stabilito comunque in misura inferiore ai parametri europei (pari ad Euro 1.000,00/1.500,00) – con riferimento soltanto agli anni di ritardo e non all’intera durata del processo; la mancata liquidazione del bonus di Euro 2.000,00 da riconoscersi per le controversie in materia assistenziale (primo motivo); la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (secondo motivo);

3. il secondo motivo, da esaminarsi per primo per ragioni di priorità logica, è manifestamente infondato, in quanto, secondo l’orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte, il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (Cass. S.U. 2004/1338); in termini analoghi è il principio enunciato dalla Corte costituzionale, che ha affermato che al giudice nazionale spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme; qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilita della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire la stessa Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1 (sentenze n. 348 e 349 del 2007); resta pertanto escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria;

3.1. è invece fondata la censura di cui al primo motivo, nei termini qui di seguito precisati, limitatamente ai criteri per la determinazione del termine di durata ragionevole del processo;

infatti, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, pur essendo possibile individuare degli “standard” di durata media ragionevole per ogni fase del processo, quando quest’ultimo si sia articolato in vari gradi e fasi, agli effetti dell’apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, occorre avere riguardo all’intero svolgimento del processo medesimo, dall’introduzione fino al momento della proposizione della domanda di equa riparazione, dovendosi cioè addivenire ad una valutazione sintetica e complessiva dell’unico processo da considerare nella sua complessiva articolazione; non rientra, pertanto, nella disponibilità della parte riferire la sua domanda ad uno solo dei gradi di giudizio, optando per quello nell’ambito del quale si sia prodotta una protrazione oltre il limite della ragionevolezza (Cass. 2005/28864; 2007/18720; 2008/23506); inoltre, poichè non può essere addebitato all’Amministrazione della giustizia il segmento temporale, utilizzato dalla parte per l’esercizio di un diritto, eccedente quello strettamente necessario, non va computato nella durata complessiva del procedimento il tempo intercorrente tra la pronuncia impugnata e la proposizione dell’impugnazione per la parte eccedente quella corrispondente al tempo trascorso fino alla comunicazione dell’avvenuto deposito della decisione maggiorato di quello corrispondente al termine previsto per lo specifico mezzo di gravame (Cass. 2010/11033);

3.2. nel caso di specie, il decreto impugnato – tenendo conto della durata ragionevole di ogni singola fase processuale, senza avere riguardo all’intero svolgimento del processo e senza addivenire ad una valutazione sintetica e complessiva dell’unico processo da considerare nella sua complessiva articolazione, e trascurando di considerare, ai fini della determinazione della durata complessiva del processo, il tempo intercorrente tra la pronuncia impugnata e la proposizione dell’impugnazione, secondo il criterio in precedenza enunciato – non si è uniformato ai principi di diritto sopra considerati e deve essere pertanto sul punto annullato;

4. non meritano invece accoglimento le ulteriori censure formulate dai ricorrenti, in quanto non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);

inoltre, ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, deve aversi riguardo al solo periodo eccedente il termine ragionevole di durata e non all’intero periodo di durata del processo presupposto.

Nè rileva il contrario orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, poichè il giudice nazionale è tenuto ad applicare le norme dello Stato e, quindi, il disposto dell’art. 2, comma 3, lett. a) della citata Legge; non può, infatti, ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dei criteri di determinazione della riparazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, attraverso una disapplicazione della norma nazionale, avendo la Corte costituzionale chiarito, con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti, essendo piuttosto configurabile come trattato internazionale multilaterale, da cui derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma non l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, “omisso medio”, per tutte le autorità interne (Cass. 2008/14);

5. il ricorso merita pertanto accoglimento nei limiti in precedenza enunciati e il decreto impugnato deve essere annullato con rinvio della causa, per un nuovo esame dell’originario ricorso per equa riparazione, ad altro giudice”, individuato nella Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie nei termini di cui in motivazione il primo motivo e rigetta il secondo. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2010

 

 

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