Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19647 del 09/07/2021

Cassazione civile sez. I, 09/07/2021, (ud. 28/05/2021, dep. 09/07/2021), n.19647

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18352/2019 r.g. proposto da:

C.J., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocato Gabriella

Chieffì, presso il cui studio elettivamente domicilia in Potenza,

alla via Pretoria n. 63;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, ope legis, dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, alla Via dei Portoghesi

n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI POTENZA depositata il

20/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/05/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pubblicata il 20 novembre 2018, la Corte di appello di Potenza ha respinto il gravame promosso da C.J. contro l’ordinanza resa, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 dal Tribunale di quella stessa città il 17 dicembre 2017, reiettiva della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale o il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

1.1. In particolare, quella corte: i) ha evidenziato, sotto il profilo del riconoscimento dello status di rifugiato, che l’appellante “…non indica in cosa consiste la grave violazione dei diritti umani fondamentali nel caso concreto;

non indica in cosa si realizzi l’atto di persecuzione nel caso concreto; non allega, infine, a quale dei motivi indicati dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 8 gli atti di persecuzione siano riconducibili”; ii) ha negato la sussistenza dei presupposti per e altre forme di protezione invocate dall’impugnante, anche in ragione della inattendibilità dei fatti narrati da quest’ultimo e dell’assenza di sue situazioni di vulnerabilità.

2. Avverso la menzionata sentenza, C.J. ricorre per cassazione affidandosi a quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.. Resiste, con controricorso, il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva pregiudizialmente il Collegio che i documenti allegati alla memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. del ricorrente esulano dal perimetro di cui all’art. 372 c.p.c., sicché non se ne terrà conto ai fini della decisione perché inammissibili.

2. Con il primo motivo è dedotta la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 e 112 c.p.c.”, per avere la corte distrettuale espressamente negato il riconoscimento dello status di rifugiato benché nessuna domanda in proposito fosse stata formulata dall’appellante.

2.1. Una siffatta doglianza non merita accoglimento, posto che la corte potentina, pur avendogliela negata, ha comunque valutato una forma di protezione che, ove ne fossero stati sussistenti i presupposti di legge, si sarebbe rivelata comunque più favorevole per quest’ultimo. Alteris verbis, quel giudice, ove vi fossero stati i presupposti del rifugio, certamente poteva mutare il nomen juris e riconoscerlo, ma l’indagine fattuale svolta lo ha escluso (cfr., in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 4288 del 2021).

3. Gli altri motivi denunciano, rispettivamente:

Il) “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – Omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio relativo alla condizione di pericolosità ed alla situazione di violenza generalizzata esistente in (OMISSIS). Omissione della motivazione anche in relazione alla vicenda personale del ricorrente. La corte di appello doveva valutare l’attuale situazione socio politica del Paese di provenienza del migrante sia all’epoca dei fatti narrati per constarne l’attendibilità delle dichiarazioni rese in Commissione nonché l’attuale situazione del Paese di provenienza del migrante. Il giudice come su riportato ha fatto riferimento, ai fini della protezione sussidiaria ed al permesso di soggiorno per motivi umanitari, a delle fonti non attuali ovvero al rapporto del Segretariato Generale dell’ONU sulle attività nell’Ufficio delle Nazioni Unite nell’Africa occidentale e nel Sahel del 23 giugno 2016, rapporto sul terrorismo in Nigeria 2015, del Dipartimento federale degli Stati Uniti pubblicato il 2 giugno 2016, non provvedendo ad aggiornare l’attuale situazione geo-politica del villaggio di (OMISSIS) in (OMISSIS)”. Si lamenta il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria;

III) “Violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3”, ascrivendosi alla corte lucana la violazione dei criteri di legge per la valutazione dell’attendibilità del appellante;

IV) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – Il Tribunale (rectius: la corte di appello) ha errato a non applicare al ricorrente la protezione ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonché del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19 che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo Paese di origine o che ivi possa correre gravi rischi”. Si censura il diniego di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

3.1. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perché connesse, sono inammissibili, risolvendosi, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di violazione di legge o di vizio motivazionale, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, da un lato, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 16700 del 2020); dall’altro, che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (formalmente invocato dal C. con il secondo motivo), nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (e qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 20 novembre 2018), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni (cfr. Cass. n. 395 del 2021, in motivazione; Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 4477 del 2021, in motivazione; Cass. n. 395 del 2021, in motivazione, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).

3.2. In proposito, infatti, è sufficiente rimarcare che: i) la corte potentina, sul punto confermando l’assunto del giudice di prime cure, ha escluso che la vicenda descritta dal ricorrente (essersi allontanato dal proprio Paese di origine per il timore di essere ucciso dagli appartenenti alla gang (OMISSIS) dopo essere rimasto involontariamente coinvolto in una lite tra questi ed un gruppo antagonista nel corso di una festa) – peraltro ritenuta pure non credibile dal tribunale e dalla stessa corte – fosse riconducibile ad una vicenda persecutoria suscettibile di giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato o che potesse configurarsi una ipotesi di rischio di danno grave individualizzato D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. a) e b). Tali conclusioni si rivelano ampiamente coerenti con il suddetto parametro normativo, rendendo, così, irrilevante, su questi specifici aspetti, l’effettiva situazione socio politica della sua zona di provenienza. Quanto, poi, a quella stessa protezione invocata giusta la lett. c) del medesimo articolo, la sentenza impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica dell'(OMISSIS), in (OMISSIS), Paese di provenienza del richiedente, ha compiutamente indicato le fonti utilizzate (da ritenersi sufficientemente aggiornate in rapporto alla data di deliberazione della pronuncia oggi impugnata) ed ha escluso che sia caratterizzato dalla presenza di un conflitto armato (che, ricorda questo Collegio, va intesa alla stregua di quanto recentemente sancito da Cass. n. 5675 del 2021) generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante. Va solo rimarcato che, come recentemente chiarito da Cass. n. 29056 del 2019, l’eventuale omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (country of origin information) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poiché, in tal caso, l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio. Nella specie, però, non vi è prova alcuna, né è stato specificamente dedotto dal ricorrente, di aver sottoposto all’attenzione della corte distrettuale fonti diverse da quelle richiamate da quest’ultima. E’ opportuno ricordare, infine, che l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” che sia causa, per il richiedente, di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr. Cass. n. 7713 del 2020; Cass. n. 30105 del 2018); ii) la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 4387 del 2021; Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex multis, Cass. n. 4387 del 2021, in motivazione; Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – con il rispetto dei puntuali oneri di allegazione sanciti da Cass., SU, n. 8053 del 2014, qui rimasti inosservati – come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (tutte fattispecie qui insussistenti), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 4387 del 2021; Cass. n. 18550 del 2020; Cass. n. 17539 del 2020; Cass. n. 3340 del 2019); iii) la censura attinente al diniego di protezione umanitaria, astrattamente riconoscibile ratione temporis (cfr. Cass., SU, n. 29459 del 2019), è inammissibilmente tesa a sollecitare, sul punto, una diversa valutazione fattuale rispetto a quella operata dalla corte lucana, la quale ha escluso la sussistenza di situazione di vulnerabilità del ricorrente anche in rapporto alle concrete condizioni socio politiche del suo Paese di provenienza. La stessa, peraltro, manca della necessaria allegazione sia della specifica vulnerabilità personale di quest’ultimo sia delle concrete condizioni di vita nel Paese di origine da valutare comparativamente al livello di integrazione raggiunto in Italia. Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte richiede, infatti, il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale (cfr. Cass. n. 23778/2019; Cass. n. 1040/2020; Cass. n. 24026 del 2020), escludendo che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari possa essere riconosciuto solo in considerazione della situazione di svantaggio economico o di povertà estrema del richiedente asilo (cfr. Cass. n. 24904 del 2020), oppure del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza del richiedente – poiché si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, bensì quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti (cfr. Cass. 17072 del 2018, 9304 del 2019) – né considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018; Cass. n. 630 del 2020; Cass. n. 24026 del 2020).

4. Il ricorso, dunque, va respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna C.J. al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 28 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2021

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