Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19646 del 16/09/2010

Cassazione civile sez. I, 16/09/2010, (ud. 23/03/2010, dep. 16/09/2010), n.19646

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.R., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa

dall’avv. MARRA Alfonso Luigi per procura in atti;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli, n. 1458 cron., in

data 21 marzo 2007, nel procedimento iscritto al n. 1747/06 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23 marzo 2010 dal relatore, cons. Stefano Schiro’;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale, Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso chiedendo che

la Corte, in gradato subordine, con ordinanza disponga la trattazione

del ricorso in pubblica udienza, difettando l’evidenza decisoria che

legittima il rito camerale; con sentenza accolga il ricorso medesimo,

nella parte in cui lamenta la mancata applicazione del criterio di

computo della riparazione economica quale dettato dalla Corte di

Strasburgo; con ordinanza, previa delibazione della non manifesta

infondatezza e della rilevanza della sollevata questione di

legittimita’ costituzionale, sospenda il giudizio e trasmetta gli

atti alla Corte Costituzionale, affinche’ esamini, in punto di

criterio di calcolo dell’equa riparazione, la compatibilita della L.

n. 89 del 2001, art. 2 con l’art. 111 Cost., comma 2, e art. 117

Cost., in rapporto all’art. 6 della Convenzione per i diritti

dell’uomo, come interpretato dalla Corte di Strasburgo.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

LA CORTE:

A) rilevato che e’ stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione, comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

“IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

RITENUTO CHE:

1. M.R. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 21 marzo 2007, con il quale la Corte di appello di Napoli ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in suo favore della somma di Euro 4.375,00, a titolo di indennizzo per il superamento in primo grado del termine di ragionevole durata di un processo, instaurato davanti al Tar Campania per una controversia in materia di pubblico impiego con ricorso in data 23 febbraio 1998, ancora pendente;

1.1. la Presidenza intimata non ha svolto difese;

OSSERVA:

2. la Corte di appello di Napoli ha accolto la domanda nella misura di Euro 4.375,00, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo superiore di circa cinque anni e dieci mesi a quella ragionevole, determinata in tre anni, e liquidato l’indennizzo nella misura di Euro 750,00 circa per ogni anno di ritardo, in mancanza di qualsiasi attivita’ sollecitatoria da parte del ricorrente, compensando altresi’ integralmente le spese processuali in considerazione della mancata opposizione all’accoglimento della domanda da parte della Presidenza intimata;

3. parte ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo nove motivi di ricorso, con i quali lamenta:

3.1. la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, con la formulazione del seguente quesito di diritto: la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 65, par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU? (primo motivo);

3.2. il calcolo dell’equo indennizzo solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa, e non all’intera durata del giudizio (secondo motivo);

3.3. l’inosservanza, con vizio di motivazione, dei parametri europei ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale (terzo e quarto motivo);

3.4. il mancato riconoscimento, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e senza motivazione, del bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura della controversia attinente a questione inerente a rapporto lavoro (quinto, sesto e settimo motivo);

3.5. la illegittima compensazione, con vizio di motivazione, delle spese processuali, malgrado l’accoglimento della domanda a cui avrebbe dovuto seguire la condanna alle spese della parte soccombente (ottavo e nono motivo);

4. il primo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito formulato e’ del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;

4.1. il secondo motivo appare manifestamente infondato, in quanto, e’ vincolante per il giudice nazionale, il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a) ai sensi del quale e’ influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597; 2008/14);

4.2. il terzo e il quarto motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, nella liquidazione del danno non patrimoniale, il giudice nazionale, pur non potendo ignorare i criteri applicati in casi simili dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha comunque facolta’ di apportare, motivatamente e non irragionevolmente, le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, le quali, peraltro, non possono fondare la decisione di liquidare somme che non siano in relazione ragionevole con quella – tra i 1000,00 e i 1500,00 Euro – accordata dalla predetta Corte negli affari consimili (Cass. 2006/24356; 2007/2254); nella specie, la Corte di appello si e’ attenuta a tali principi, facendo riferimento ai parametri CEDU ed applicando in misura ragionevole, una contenuta riduzione in ragione della mancanza di qualsiasi attivita’ sollecitatoria da parte del ricorrente;

4.3. il quinto, sesto e settimo motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto non puo’ ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non puo’ derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);

4.4. appaiono altresi’ manifestamente infondate le censure sulla parziale compensazione delle spese processuali (ottavo e nono motivo), in quanto per effetto del richiamo operato dalla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 4, nel giudizio per l’equa riparazione della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo trovano applicazione le norme del codice di rito (Cass. 2004/23789;

2007/14053) e a norma dell’art. 92 c.p.c. il giudice puo’ compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti, se vi e’ soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati in motivazione; nella specie, la Corte di merito ha motivato la compensazione parziale delle spese processuali, facendo riferimento alla mancata opposizione alla domanda da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri; inoltre parte ricorrente con un unico motivo ha dedotto genericamente sia la mancanza, che l’insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione, in violazione dell’obbligo di formulare le censure (e quindi anche i quesiti di diritti e i momenti di sintesi ex art. 366 bis c.p.c.) in modo rigoroso e preciso, secondo le regole di chiarezza indicate dell’art. 366 bis c.p.c. applicabile alla fattispecie ratione temporis, (Cass. 2008/9470), evitando doglianze multiple e cumulative (Cass. 2008/5471), cosi’ da non ingenerare incertezze in sede di formulazione e di valutazione della loro ammissibilita’ (Cass. 2008/2652); parte ricorrente non ha neppure illustrato le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, attraverso un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ e da evitare che all’individuazione di dette ragioni possa pervenirsi solo attraverso la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo e all’esito di un’attivita’ di interpretazione svolta dal lettore (Cass. S.U. 2007/20603; Cass. 2007/16002; 2008/8897);

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilevi formulati ai punti 4., 4.1., 4.2., 4.3. e 4.4., si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che il Pubblico Ministero ha formulato le conclusioni scritte precisate in epigrafe e che la ricorrente non ha depositato memoria; ritenuto altresi’ che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione ex art. 380 bis c.p.c., escluse quelle di cui al terzo e quarto motivo, relative alla liquidazione del danno non patrimoniale, in quanto la determinazione di detto danno nella misura di Euro 750,00 per ogni anno di durata non ragionevole, stabilita dal giudice di merito in cinque anni e dieci mesi, e’ inferiore in misura non ragionevole ai parametri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e di questa Corte;

B1) osservato inoltre che, con riferimento alle conclusioni del Pubblico Ministero, questa Corte, con orientamento costante, ha espresso il principio, in base al quale, in tema di equa riparazione conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, la valutazione equitativa dell’indennizzo a titolo di danno non patrimoniale e’ soggetta, per specifico rinvio contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2 all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali (resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848), al rispetto delle Convenzione medesima, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo (la cui inosservanza configura violazione di legge), e, dunque, per quanto possibile, deve conformarsi alle liquidazioni effettuate in casi similari dalla predetta Corte europea, la quale (con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004) ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno la base di partenza per la quantificazione di tale indennizzo. La precettivita’, per il giudice nazionale, di tale indirizzo – precettivita’ peraltro non assoluta e inderogabile, alla stregua di quanto osservato in seguito – non concerne tuttavia anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo:

mentre, infatti, per la CEDU l’importo come sopra quantificato va moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e non per ogni anno di ritardo), per il giudice nazionale e’, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale e’ influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Detta diversita’ di calcolo, peraltro, non tocca la complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilita’ di tale norma con gli impegni internazionale assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2) (Cass. 2005/8568;

2006/9175; 2007/23844; 2008/1354);

B2) considerato altresi’ che questa Corte ha ancor piu’ recentemente affermato che “In tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, e’ manifestamente infondata la questione di costituzionalita’ della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), nella parte in cui stabilisce che, al fine dell’equa riparazione, rileva soltanto il danno riferibile al periodo eccedente il termine di ragionevole durata, non essendo ravvisabile alcuna violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, in riferimento alla compatibilita’ con gli impegni internazionali assunti dall’Italia mediante la ratifica della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle liberta’ fondamentali. Infatti, qualora sia sostanzialmente osservato il parametro fissato dalla Corte EDU ai fini della liquidazione dell’indennizzo, la modalita’ di calcolo imposta dalla norma nazionale non incide sulla complessiva attitudine della legislazione interna ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto in argomento, non comportando una riduzione dell’indennizzo in misura superiore a quella ritenuta ammissibile dal giudice europeo; diversamente opinando, poiche’ le norme CEDU integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello subcostituzionale, dovrebbe valutarsi la conformita’ del criterio di computo desunto dalle norme convenzionali, che attribuisce rilievo all’intera durata del processo, rispetto al novellato art. 111 Cost., comma 2, in base al quale il processo ha un tempo di svolgimento o di durata ragionevole, potendo profilarsi, quindi, un contrasto dell’interpretazione delle norme CEDU con altri diritti costituzionalmente tutelati” (Cass. 2009/10415);

ritenuto pertanto che le conclusioni del Pubblico Ministero debbano essere disattese in quanto difformi dagli enunciati principi, pienamente condivisi dal collegio, che meritano conferma in questa sede, non essendo stati addotti nuovi argomenti che inducano ad un riesame della questione;

B3) osservato che le argomentazioni che precedono conducono alla dichiarazione d’inammissibilita’ del primo motivo, al rigetto del secondo, quinto, sesto e settimo motivo e all’accoglimento del terzo e quarto motivo, assorbiti gli altri, con conseguente annullamento del decreto impugnato in ordine alla censura accolta;

considerato che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; che in particolare, determinato, secondo il non censurato accertamento del giudice del merito, in cinque anni e dieci mesi il periodo di durata non ragionevole, il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; che, secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato, e purche’ detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversita’ di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; ritenuto che tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086; 2010/819);

che nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente l’indennizzo di Euro 5.083,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri;

B2) ritenuto che le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352), compensate per la meta’ quelle del giudizio di cassazione in conseguenza dell’accoglimento parziale del ricorso, con distrazione delle stesse in favore del difensore della ricorrente dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il primo motivo; rigetta, il secondo, il quinto, il sesto e il settimo motivo. Accoglie il terzo e il quarto motivo, assorbiti gli altri.

Cassa il decreto impugnato in ordine ai motivi accolti e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di M.R. della somma di Euro 5.083,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda.

Condanna inoltre la Presidenza soccombente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 873,00, di cui Euro 378,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonche’ di quelle del giudizio di cassazione, compensate per la meta’, che si liquidano per l’intero in Euro 525,00 di cui Euro 425,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore della ricorrente, avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.

Cosi’ deciso in Roma, il 23 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2010

 

 

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