Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19645 del 04/08/2017

Cassazione civile, sez. II, 04/08/2017, (ud. 21/06/2017, dep.04/08/2017),  n. 19645

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso per revocazione 2521-2016 proposto da:

I.E.M., rappresentato e difeso per procura in calce

al ricorso dall’Avv. PIERO GUIDO ALPA, elettivamente domiciliato

presso il suo studio in ROMA Piazza B. CAIROLI 6;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI COLLEPASSO, rappresentato e difeso per mandato a in calce

al controricorso dall’Avv. GIANFRANCO MASSA e PIETRO QUINTO,

elettivamente domiciliato in ROMA V. DE CAVALIERI 11, presso lo

studio dell’Avv. ALESSANDRO FERRI;

– controricorrente –

nonchè

I.A.V., IN.AN.,

IN.AN.VA., A.I. in proprio e quale esercente la

responsabilità genitoriale sul minore I.L.V.,

I.L., P.E.M., rappresentati e difesi

per mandato a margine del controricorso dall’Avv. ANTONIO LEZZI,

domiciliati in ROMA preso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrenti incidentali –

nonchè

IMMOBILIARE SANT’EMILIANO S.r.l., M.V.G.,

M.V.C., I.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n 26613/2014 della CORTE DI CASSAZIONE,

depositata il 17/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente principale e dal Comune di

Collepasso.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Nella sentenza impugnata di questa Corte n. 26613/2014 i fatti di causa sono così riassunti:

“1- Con atto di citazione notificato il 9.4.96 I.E., dichiarando di agire in proprio, “per gli obblighi di restituzione e rendiconto dell’eredità beneficiata del defunto genitore avv. I.L.” nonchè quale procuratore della propria madre V.G., conveniva avanti al Tribunale di Lecce, il Comune di COLLEPASSO, la srl Immobiliare SANT’EMILIANO, e M.V.C., deducendo che: a) il proprio defunto genitore, avv. I.L. era stato amministratore dei beni della moglie V.G. costituiti in dote nel 1937, in occasione del loro matrimonio, quindi sotto la vigenza del c.c. del 1865, art. 1389 c.c. e ss.; b) il comune convenuto aveva acquistato dall’avv. I.L., quale amm.re unico della srl Immobiliare Sant’Emiliano, il castello baronale della famiglia V. con annesso parco, facente parte dei beni dotali della madre e quindi inalienabili, a lei pervenuto, insieme ad altri cespiti, a seguito dell’atto di transazione del 13.12.1964 intercorso tra lo stesso avv. I.L., per conto della moglie, e M.C.V., con riguardo ad una causa tra i medesimi intercorsa relativa alla successione del conte V.C., zio di V.G. e padre adottivo di M.V.C.. Precisava a tal riguardo, che non si era però proceduto, in esecuzione della suddetta transazione, al formale trasferimento a V.G. dei beni a lei assegnati, che anzi, al fine di sottrarli al vincolo dotale, gli stessi beni erano stati fittiziamente intestati alla ricordata srl Immobiliare Sant’Emiliano e che altresì, in tale prospettiva, era stata successivamente stipulata nel 1968 (rogito notaio F. del 26.1.1968) un seconda transazione, con la quale solo una piccola parte dei beni contemplati nella precedente transazione del 1964, era stata trasferita a V.G.; mentre per i restanti beni, M.V.C. aveva conferito all’avv. I.L. procura speciale irrevocabile. A questa transazione del 1968 erano seguiti i rogiti con i quali M.V.C. aveva venduto il predetto castello baronale ed altri suoli siti in Collepasso all’indicata società Immobiliare Sant’Emiliano, mentre quest’ultima, (con rogito Pl. 12.10.87)

aveva venduto al Comune di Collepasso il menzionato castello baronale; l’avv. I.L., infine, con scrittura privata senza data aveva ceduto gratuitamente allo stesso comune di Collepasso, alcuni terreni, poi trasformati in strade o opere di urbanizzazione da parte dello stesso ente locale. Tutto ciò premesso, e rilevata l’inalienabilità di detti beni per effetto del vincolo dotale regolato dal codice del 1865, chiedeva l’attore che il giudice adito, previo accertamento dell’inalienabilità del castello baronale e dei suoli annessi, trasformati in strade dal Comune, previa declaratoria della nullità dei rogiti e della procura speciale sopra richiamati, e in specie, del contratto di vendita riguardante il castello di cui al rogito Pl. del 12.10.87; nonchè della cessione dei suoli da parte dell’avv. L. al Comune con l’indicata scrittura privata senza data; condannasse il comune convenuto alla restituzione alla V. del castello e dei suoli, oltre al risarcimento del danno, o, in subordine, in caso d’impossibilità della restituzione, al pagamento della somma corrispondente al valore attuale dei beni stessi. Si costituiva il comune di Collepasso deducendo: che, non essendo stata prodotto il menzionato atto di transazione del 1964, mancava la prova che i beni rivendicati facessero parte del patrimonio dotale di V.G.; di rivestire comunque la qualità di terzo in buona fede per avere acquistati i beni stessi da coloro che, sulla base della pubblicità immobiliare, risultavano essere i proprietari; che in ogni caso i beni erano usucapiti ex art. 1159 c.c.. Si costituivano la convenuta società, nonchè M.V.C. che si diceva estraneo alla vicenda. Successivamente, a seguito del decesso di V.G., l’attore I.E. interveniva quale successore a titolo universale della madre; il tribunale quindi, con ordinanza del 4.2.2004 disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri eredi, V.I.E., G. ed A.. Di essi si costituiva il solo V.I.A. che aderiva alle conclusioni di I.E., chiedendo però che i beni in questione fossero attribuiti alla comunione ereditaria.

2 – Il Tribunale quindi, su istanza dell’attore, condannava il Comune al pagamento della provvisionale di Euro 350.000.00 ex art. 186 bis c.p.c.; quindi, con sentenza non definitiva del 20-23 sett. 2005 dichiarava: la nullità per violazione del vincolo dotale degli atti di alienazione relativi ai beni immobili oggetto del giudizio, condannando il Comune convenuto al risarcimento del danno corrispondente al valore venale dei suoli ceduti.

Secondo il tribunale, in base alla normativa del codice 1865 applicabile nella fattispecie, tutti i beni presenti e futuri di V.G. in quanto costituiti in dote erano inalienabili ed imprescrittibili; che detti cespiti erano entrati a far parte del patrimonio dotale in forza della più volte ricordata transazione del 1964: da qui la nullità di tutti i successivi trasferimenti in quanto contrastanti con le indicare disposizioni in tema d’inalienabilità dei beni dotali.

Quanto al difetto di prova di tale contratto traslativo, osservava il primo giudice che esso era stato richiamato e riprodotto nel ricorso per sequestro giudiziario e relativo provvedimento di accoglimento emesso dal Presidente del Tribunale di Lecce, da cui dunque poteva desumersi la prova dell’accordo transattivo in questione; rilevava comunque che i limiti della prova in materia di contratti con forma scritta ad substantiam, operava “esclusivamente quando il contratto fosse invocato quale fonte di diritti ed obblighi tra le parti contraenti, e non anche quale semplice fatto storico influente sulla decisione”, come nel caso in esame in cui la transazione non era stata invocata per farne derivare l’invalidità degli atti di vendita o cessione effettuati in favore di terzi”.

3 – Avverso tale sentenza proponeva appello principale in Comune di Collepasso con atto notificato a tutte le altre parti. Sempre nel corso del giudizio di primo grado il tribunale, con ordinanza del 23-27 gennaio 2007, emessa ai sensi dell’art. 186 quater c.p.c., su istanza dell’avv. I.E., condannava il Comune a rilasciare in favore di questi quale erede di V.G., il castello baronale ed il terreno di pertinenza, il tutto sulla scorta della sentenza non definitiva che aveva dichiarato la nullità del contratto di compravendita per notaio Pl. del 12.10.1987. Il comune rinunciava alla relativa sentenza e proponeva appello; costituitisi gli appellati, l’adita Corte d’Appello di Lecce, con ordinanza del 6-10 giugno del 2008, disponeva la riunione dei processi; quindi con sentenza n. 41/10, depos. il 1.2.2010 rigettava l’appello avverso la sentenza non definitiva; accoglieva quello avverso l’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. e per l’effetto rigettava la domanda proposta da I.E.; compensava le spese processuali.

4 – La corte salentina, accogliendo uno dei motivi di gravame, riteneva che la transazione del 1964, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, non rappresentava un semplice fatto storico ininfluente sulla decisione, ma costituiva la base della pretesa degli originari attori, che poteva ricevere accoglimento solo nell’ipotesi in cui il castello baronale fosse rientrato tra i beni “presenti e futuri” facenti parte della dote di V.G.. Ciò posto riteneva che tale transazione non era stata mai prodotta o esibita in giudizio, per cui il castello in questione non poteva ritenersi rientrare nell’indicato patrimonio dotale, per cui doveva affermarsi la piena validità degli atti traslativi attraverso i quali l’immobile era pervenuto al Comune. Riteneva invece che le aree cedute al Comune dall’avv. I.L. con scrittura privata senza data, facessero parte dei beni dotali, sottoposti al regime di imprescrittibilità e non usucapibilità prevista dal c.c. del 1865 quanto alle doti costituite prima del 1.7.1939, in relazione alla previsione di cui all’art. 118 disp. att. c.c. (“Gli atti di costituzione in dote aventi ad oggetto beni futuri, stipulati prima del 1 luglio del 1939, conservano la loro efficacia anche rispetto ai beni che pervengano alla moglie dopo tale data”).

5 – Per la cassazione della sentenza ricorreva I.E.M. sulla base di 4 censure; resisteva con controricorso il Comune di Collepasso che formula altresì appello incidentale articolato su 8 motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.; gli altri intimati V.I.A., gli eredi del defunto V.G.C., I.G. e I.L., quali eredi di I.E., propongono controricorso nonchè ricorso incidentale condizionato.

B) N.R.G. 16419/13 – E. I. – Comune di Collepasso ed altri.

1 – La causa iscritta al N. 16419/13 RG si riferisce ad altra sentenza non definitiva della medesima Corte d’Appello di Lecce (la n. 400/13) pronunciata tra le stesse parti nell’ambito del processo in esame, promosso da I.E., con atto di citazione notificato il 9.4.96 contro il Comune di Collepasso ed altri. I fatti come narrati sub A) costituiscono dunque il comune necessario presupposto anche di questa causa.

Ovviamente è diverso l’oggetto della 2 decisione della corte salentina, il quale – come dalla stessa precisato (a pag. 26 sent.) – è costituito:

a) dalla ulteriore domanda di risarcimento del danno che sarebbe derivato a parte attrice dalla dichiarata nullità degli atti di trasferimento dell’immobile sito in Collepasso di cui alla precedente sentenza della Corte d’appello n. 41/2010, pure gravata da ricorso per cassazione;

b) dalla domanda di nullità degli atti di trasferimento oggetto dell’atto di cessione volontaria effettuato, in favore del Comune di Collepasso da I.L., per conto della moglie V.G., con la scrittura privata senza data e la conseguente domanda di restituzione e/o di risarcimento del danno.

2 – Ciò premesso, va precisato che il Tribunale di Lecce con ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. in data 20.1.2009, provvedendo sull’istanza di provvisionale formulata dall’avv. I.E. in ordine alla richiesta di risarcimento dei danni subiti, per effetto della nullità degli atti di trasferimento di cui si è detto – danni ritenuti corrispondenti al valore venale del suolo edificatorio – condannava il Comune di Collepasso al risarcimento del danno da occupazione usurpativa delle superfici del suolo destinato dallo stesso comune per la realizzazione della sede stradale, condannandolo al pagamento della provvisionale in favore del medesimo I.E. di Euro 550.000,00. Avverso tale ordinanza il Comune – previa rinunzia alla successiva sentenza – proponeva appello e ne chiedeva la riforma. Si costituivano gli appellati ed intervenivano volontariamente in giudizio gli eredi di V.I.G., che proponeva appello incidentale; a seguito del decesso di I.E. si costituivano in prosecuzione I.G., per sè e quale procuratrice generale di I.L., questi ultimi quali componenti della comunione ereditaria ed eredi dell’avv. I.E..

3 – La Corte distrettuale pertanto non definitivamente pronunciandosi sull’appello proposto dal Comune di Collepasso con atto di citazione notif. in data 12.3.2009 avverso la predetta ordinanza con valore di sentenza emessa ex art. 186 quater c.p.c. in data 20.1.2009 e sull’appello incidentale proposto da V.I.A. e I.G., per sè e quale e quale procuratrice generale di I.L., questi ultimi quali componenti della comunione ereditaria ed eredi dell’avv. I.E., così disponeva:

a) accoglieva l’appello principale del Comune e per l’effetto revocava l’impugnata sentenza; b) accoglieva in parte l’appello incidentale proposto da V.I.A. e I.G. e per l’effetto dichiarava che i crediti per cui è causa, relativi ai suoli ivi specificati, dovevano essere attribuiti alla Comunione ereditaria della defunta V.G.; c) dichiarava infine la nullità per violazione del vincolo dotale della scrittura privata senza data, di cessione a titolo gratuito dei suoli ivi contemplati, dall’avvocato I.L. al Comune di Collepasso; d) condannando conseguentemente quest’ultimo al risarcimento del danno corrispondente al valore venale dei suoli ivi descritti; disponeva quindi con separata ordinanza per il prosieguo del giudizio per stabilire l’entità delle somme da liquidare.

4 – Avverso la predetta sentenza ricorre per cassazione I.E.M. sulla base di 4 mezzi; l’intimato Comune resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale articolato in 4 mezzi, illustrati da memoria; resistono altresì con controricorso: V.I.A., In.An., V.I.F., A.I. anche per conto del figlio minore I.L. V. nonchè I.L. nato il (OMISSIS); i medesimi formulano ricorso incidentale condizionato (all’accoglimento del motivo sub 4 del ricorso principale di I.E.):

2. La Corte con la sentenza oggi gravata, dopo avere disposto la riunione dei ricorsi, così provvedeva in dispositivo:

“Confermata la riunione dei ricorsi; A) per quanto concerne la causa N.R.G. 22427/10: a) rigetta il ricorso principale proposto da I.E.; b) accoglie il 1 motivo del ricorso incidentale del Comune di Collepasso, rigetta il 4 motivo, dichiarando assorbiti i rimanenti; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato degli altri eredi V. – I.;

B) per quanto concerne la causa N.R.G. 16419/13: a) rigetta il ricorso principale formulato da I.E.; b) accoglie il 2 motivo del ricorso incidentale formulato dal comune di Collepasso, assorbiti gli altri; c) dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato proposto da: V.I.A., In.An., V.I.F., A.I. per sè e per il figlio minore V.I.L. nonchè I.L. (nato (OMISSIS)).

C) Cassa le sentenze impugnate in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce;

D) Dichiara sussistere in relazione al ricorso principale del giudizio n. 16419/13 i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13.”.

3. Nella motivazione quanto al ricorso principale di I.E., e specificamente in merito al primo motivo, riteneva infondata la censura secondo cui la Corte salentina avrebbe frainteso l’oggetto della domanda (il thema decidendum) da lui proposta, che non era qualificabile come domanda di rivendica dei beni dotali, quanto piuttosto come azione di nullità di atti in frode alla legge in conseguenza di sottrazione dei beni gravati da vincolo dotale.

A tal fine si sosteneva che alla Corte d’Appello sarebbe sfuggito che la nullità degli atti compiuti da I.L. discendeva da una dedotta frode alla legge, ed in tale prospettiva la transazione del 1964 veniva in considerazione non quale titolo della pretesa azionata, ma quale fatto storico che entrava a comporre la vicenda in esame del giudice di merito.

Secondo la Corte era invece evidente che l’attore aveva proposto una revindica contro il Comune e non un’azione di responsabilità del mandatario contro I.L.. Invero originariamente era stata proposta un’azione di nullità degli atti di disposizione compiuti da I.L. per inalienabilità dei beni che ne costituivano l’oggetto in considerazione della loro natura dotale, sul presupposto che gli stessi fossero effettivamente entrati nel patrimonio di V.G.. In tale prospettiva dunque la transazione del 1964 non costituiva un semplice fatto storico, ma l’antecedente logico – giuridico per l’eventuale accoglimento della domanda.

Quanto al secondo motivo, con cui il ricorrente denunziava l’insufficiente e contraddittoria motivazione, con riguardo alla prova della sottrazione dei beni al vincolo dotale, secondo la sentenza oggetto di revocazione, la corte d’appello invero aveva dato ampia ed adeguata spiegazione della conclusione cui è pervenuta, secondo la quale non vi era prova di tale transazione, in quanto mai prodotta e non vi era traccia in atti, nè era stata mai esibita nelle cause scaturite dall’atto di citazione del 1961, nè dal ricorso per sequestro giudiziario del 1966.

In relazione al terzo motivo, secondo cui parte attrice non avrebbe avuto l’onere di produrre il titolo incrementativo del proprio patrimonio dotale (nella specie costituto dalla transazione del 1964) non essendo stata parte di tale contratto, ma solo beneficiaria dei suoi effetti, osservava che, se la domanda di V.G. fosse consistita nel far dichiarare la nullità dei contratti con i quali si era disposto invalidamente dei beni dotali, su di essa necessariamente avrebbe dovuto gravare l’onere della prova che tali beni fossero pervenuti nel suo patrimonio.

In ordine al 4 motivo, con il quale era dedotta la nullità della sentenza o, in alternativa, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte distrettuale dichiarato inammissibile, in quanto integrante appello incidentale tardivo, la domanda degli altri eredi di V.G. di vedersi attribuito il richiesto risarcimento del danno conseguente all’impossibilità da parte del comune di restituire i suoli perchè irreversibilmente trasformati in strade, rilevava che la doglianza era chiaramente inammissibile per carenza d’interesse da parte del ricorrente.

Diversa sorte aveva invece il ricorso incidentale del Comune di Collepasso.

Infatti, disatteso il quarto motivo, con il quale si contestava la giurisdizione del G.O., trattandosi di una vicenda di pretesa occupazione acquisitiva anteriore all’entrata in vigore della L. n. 205 del 2000 che aveva devoluto la sua cognizione ala giurisdizione esclusiva del G.A., riteneva invece fondato il primo motivo con il quale si sosteneva l’inesistenza del titolo di proprietà dei beni in questione in capo alla V..

A tal fine si riteneva che appariva dunque illogico e contraddittorio l’accoglimento della domanda di condanna del Comune per quanto riguarda i suoli ceduti, che avevano anch’essi titolo nella ricordata transazione del 1964. Infatti non si comprendeva, dalla scarna motivazione del giudice di appello, quale titolo d’acquisto dei beni in questione fosse lecito desumere dalle generiche ed unilaterali dichiarazioni di I.L. nell’atto di trasferimento, D’altronde non si comprende la ragione per la quale, in presenza di beni entrambi asseritamente pervenuti alla V. per effetto della transazione del 1964, si fosse pervenuti a soluzioni difformi per la proprietà del castello e per quella dei suoli.

Per l’effetto, reputava che non vi era prova che i beni in questione facessero parte dei beni dotali della V., con la conseguenza che gli stessi, non potevano ritenersi sottoposti alla specifica disciplina dei beni dotali, ma all’ordinario regime giuridico, in tema di prescrizione, usucapione, inalienabilità ecc. Dunque tutti gli atti di trasferimento aventi ad oggetto i beni stessi dovevano ritenersi perfettamente validi ed efficaci. Tale conclusione determinava poi l’assorbimento degli altri motivi di gravame sollevati dal Comune.

Il ricorso incidentale degli altri eredi V. – I.. ( V.I.A., gli eredi del defunto V.G.C. e I.G. e I.L., quali eredi di I.E.), essendo condizionato all’accoglimento del motivo n. 4 del ricorso principale di I.E., che però era stato dichiarato inammissibile, rimaneva quindi assorbito.

In relazione al procedimento N.R.G. 16419/13, la sentenza della Corte rilevava che la pronuncia sulla natura dotale o non dei beni in discorso si poneva come pregiudiziale rispetto ad ogni questione da esaminare, sicchè le conclusioni raggiunte in ordine alla validità e legittimità degli atti di trasferimento dei beni, comportavano il rigetto del ricorso principale proposto da I.E. (a parte il 1 motivo come sarà dopo precisato), nonchè l’accoglimento del 2 motivo del ricorso incidentale del Comune, con l’assorbimento degli altri motivi, e l’assorbimento infine del ricorso incidentale condizionato proposto dagli altri eredi I. – V..

Quanto al primo motivo del ricorso principale di I.E., con il quale si deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 305,307 e 338 c.p.c., con riferimento alla sentenza n. 871/2012 del 14.12.2012 della Corte d’Appello di Lecce che “ha disatteso l’eccezione di estinzione del giudizio sul rilievo che (premessa l’applicabilità nel caso di specie della disciplina risultante dall’art. 307 c.p.c. nel testo previgente rispetto alle modifiche introdotte nel 2009), detta eccezione avrebbe dovuto essere proposta “prima di ogni altra difesa” e dunque all’udienza collegiale di precisazione delle conclusioni fissata per il 20.12.2011, in quanto, a quella data, era già trascorso il semestre utile per la riassunzione del giudizio (decorrente dal 25 gennaio 2010)”, secondo il ricorrente la corte salentina “aveva errato nel ritenere intempestiva detta eccezione sulla base del mero rilievo che, dopo la scadenza del termine imposto per la riassunzione, si era tenuta un’udienza nella quale l’eccezione medesima era stata formulata”.

Secondo la sentenza oggi gravata, occorreva ribadire che l’eccezione di estinzione del processo per tardiva riassunzione davanti al giudice di rinvio, ai sensi dell’art. 307 c.p.c., comma 4, (nel testo anteriore all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009), deve essere in ogni caso eccepita prima di ogni altra difesa, laddove nella fattispecie l’eccezione in questione era stata tardivamente proposta, oltre, cioè, il semestre utile per la riassunzione del giudizio, e quindi non poteva essere presa in esame.

4. Avverso tale sentenza I.E.M. ha proposto ricorso per revocazione articolato in tre motivi cui il Comune di Collepasso ha resistito con controricorso.

I.A.V., In.An., In.An.Va., A.I. in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale sul minore I.L.V., I.L., e P.E.M. hanno resistito con controricorso, proponendo a loro volta un motivo di ricorso incidentale condizionato.

Il Comune di Collepasso ha resistito con controricorso al ricorso incidentale condizionato.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa fase.

5. Il primo motivo di ricorso per revocazione denunzia un errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4, assumendosi che erroneamente la sentenza gravata ha ritenuto che la nullità della compravendita di cui all’atto del 12/10/1987 e di tutti gli altri atti da questa presupposti, sarebbe da ricollegare ad un’azione di revindica proposta dalla V. in ragione della inalienabilità dei beni di natura dotale, assumendosi altresì che, ove l’effettivo ingresso dei beni oggetto di causa nel patrimonio della V. fosse stata conseguenza di una domanda di responsabilità nei confronti di I.L., allora la legittimazione passiva sarebbe spettata non ai convenuti, i quali avevano acquistato i beni da chi risultava essere l’effettivo proprietario.

Si deduce che l’errore di fatto in cui è incorsa la Corte di Cassazione nella sentenza in esame consiste nel non avere colto che la nullità degli atti impugnati era stata dedotta non per l’acquisizione alla dote dei beni che ne costituivano l’oggetto, ma in quanto i beni erano attinenti ad una successione sulla quale si estendeva il diritto successorio di V.G., quale diritto a sua volta dotale.

La nullità era stata quindi profilata in quanto si trattava di atti compiuti in frode delle ragioni dotali di V.G..

Il motivo è evidentemente destituito di fondamento.

Ed, invero, la deduzione difensiva ripropone esattamente la medesima contestazione posta a fondamento del primo motivo del ricorso a suo tempo scrutinato, insistendo sull’erronea interpretazione della domanda attorea, non già da intendersi come azione di revindica di beni appartenenti alla V., in ragione della loro natura dotale, ma quale azione di nullità di atti compiuti in frode alla legge, in quanto aventi la finalità di sottrarre i beni stessi al vincolo dotale.

In disparte la considerazione secondo cui è di tutta evidenza che l’acquisizione della qualifica di bene dotale per quelli oggetto di causa, in ragione dell’ampia individuazione di tale tipologia di in tutti quelli, anche successivamente, acquisiti dalla V., ed a qualsiasi titolo, prescinde dalla provenienza successoria o meno dell’acquisto, sicchè anche la deduzione della frode alla legge, la cui conseguenza, ove accertata, sarebbe la nullità dell’atto posto in essere in violazione dei diritti dotali, implicherebbe che i beni interessati sono destinati a rientrare nel patrimonio dotale, giustificando l’inquadramento della domanda nell’ambito dell’azione di revindica, va osservato che la censura esula in maniera palese dall’ambito di applicazione del vizio revocatorio.

A tal fine va ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 5221/2009), in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, ove il ricorrente deduca, sotto la veste del preteso errore revocatorio, l’errato apprezzamento da parte della Corte di un motivo di ricorso qualificando come errore di percezione degli atti di causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza svolta con l’originario ricorso – si verte in un ambito estraneo a quello dell’errore revocatorio, dovendosi escludere che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, potendo configurare l’eventuale omessa od errata pronunzia soltanto un “error in procedendo” ovvero “in iudicando”, di per sè insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. (così Cass. n. 24512/2009, che nega la deducibilità ex art. 395 c.p.c., n. 4 dell’errata valutazione ed interpretazione degli atti oggetto di ricorso, nonchè Cass. n. 9835/2012, a mente della quale una sentenza della Corte di cassazione non può essere impugnata per revocazione in base all’assunto che abbia male compreso i motivi di ricorso, perchè un vizio di questo tipo costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4).

Alla luce di tali principi, ed evidenziato altresì che nella fattispecie risulta evidente che la corretta qualificazione della domanda proposta dall’attore ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza gravata si è pronunziata, avendo a tal fine dovuto esaminare la fondatezza dello specifico motivo di appello, che appunto poneva la questione in esame, la doglianza investe evidentemente non già la sussistenza di un errore di fatto, quanto la pretesa commissione di un errore di giudizio, la cui deducibilità è preclusa con il mezzo della revocazione.

6. Analoghe considerazioni vanno spese in ordine al secondo motivo di revocazione, con il quale si lamenta la sussistenza di un errore di percezione in merito al rigetto del primo motivo di ricorso di cui al procedimento n. 16419/13 R.G.

Si sostiene, infatti, che la sentenza gravata avrebbe male inteso la doglianza in ordine alla mancata declaratoria di estinzione del giudizio di appello, ritenendo che la censura investiva la non tempestività della relativa eccezione con riferimento alla udienza nella quale la stessa era stata sollevata, laddove, a contrario, si voleva evidenziare che l’eccezione di estinzione era da ritenersi tempestiva in relazione alla diversa circostanza dell’acquisita conoscenza della causa idonea a determinare l’estinzione.

A detta del ricorrente, a seguito della morte dell’appellante incidentale I.E., si erano costituiti in prosecuzione solo i figli L. e I.G., laddove l’esistenza di un altro erede della parte deceduta era emersa solo allorquando era stato prodotto in atti il certificato comprovante l’esistenza di altro coerede, sicchè è solo successivamente a tale evento che poteva tempestivamente eccepirsi l’estinzione del giudizio. Ad avviso del Collegio, va in primo luogo evidenziata la non decisività dell’errore come denunziato dal ricorrente, in quanto la circostanza dedotta (prosecuzione del giudizio solo da parte di alcuni dei coeredi della parte deceduta) non avrebbe giustificato una declaratoria di estinzione, occorrendo a tal fine far richiamo alla giurisprudenza di questa Corte per la quale (cfr. Cass. n. 3308/1990; Cass. n. 8452/1995; Cass. n. 8092/2004) qualora nel corso del giudizio si sia verificata la morte di una delle parti, con conseguente subingresso congiunto di tutti gli eredi della stessa, che determina una situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, l’atto di prosecuzione volontaria, ancorchè compiuto soltanto da alcuni degli eredi, non comporta l’estinzione del processo, essendo tale atto sufficiente a ricostituire il rapporto processuale, salvo al giudice di ordinare l’integrazione del contraddittorio, ex art. 102 c.p.c., comma 2, nei riguardi degli eredi che non abbiano proseguito volontariamente il processo e nei cui confronti non sia avvenuta la riassunzione, con la conseguenza dell’estinzione del giudizio, ai sensi dell’art. 307 c.p.c., quando le parti non abbiano ottemperato al detto ordine.

Comunque, anche in tal caso si contesta la corretta interpretazione da parte del giudice di legittimità del motivo di ricorso, e la esatta portata della censura che investiva l’omessa dichiarazione di estinzione.

Si tratta all’evidenza di un errore di giudizio e non già percettivo che, analogamente a quanto visto per il primo motivo, non è suscettibile di essere denunziato ex art. 391 bis c.p.c.

7. Del pari manifestamente infondato è poi il terzo motivo di ricorso per revocazione, con il quale si deduce l’esistenza di un errore di fatto revocatorio consistente nell’avere accolto il ricorso incidentale del Comune di Collepasso relativamente al difetto di prova della titolarità dei beni in capo alla V., non solo per quelli oggetto della vendita da parte della Sant’Emiliano S.r.l., ma anche per i terreni oggetto della scrittura privata intercorsa tra l’ente locale e I.L., anche quale procuratore della V..

Il motivo oltre a non specificare gli elementi di fatto che sarebbero stati erroneamente intesi dalla sentenza gravata, non si confronta con la specifica ratio della decisione la quale ha ritenuto che la domanda dell’attrice per poter essere accolta, presupponeva la dimostrazione che anche i suoli alienati con la scrittura de qua appartenessero alla V. e che avessero la qualità di beni dotali.

Attesa la mancata produzione in giudizio dell’atto di transazione del 1964, che secondo la stessa prospettazione del ricorrente costituiva il titolo di acquisto dei beni provenienti dalla successione dello zio V.C., si è quindi ritenuto che, analogamente a quanto già ritenuto dalla Corte d’Appello per i beni rappresentati dal castello e dai suoli pertinenziali, la mancata prova in merito alla proprietà della V. dei suoli in esame, non poteva portare all’accoglimento della domanda risarcitoria.

L’esclusione della natura dotale per i terreni de quibus non consentiva quindi di sostenere la nullità dell’atto di alienazione, ben potendosi configurare anche in ipotesi l’acquisto per usucapione da parte del Comune.

Siffatta valutazione, che tiene appunto conto del complessivo tenore delle domande attoree, così come proposte nei gradi di merito, non appare adeguatamente considerata dal motivo in esame che ravvisa la svista del giudice di legittimità nell’avere accomunato nella medesima sorte sia il castello che i suoli oggetto della scrittura privata, senza però tener conto della differente modalità di acquisto da parte del Comune, laddove nella pronuncia impugnata è chiara l’esistenza di un duplice titolo di acquisto, ritenendosi tuttavia che le due alienazioni presupponevano a monte, per l’accoglimento della domanda di nullità, la prova che avessero avuto ad oggetto beni pervenuti alla V. in virtù dell’atto di transazione del 1964.

8. Al rigetto del ricorso principale per revocazione, consegue altresì l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato proposto dai controricorrenti (sebbene debba propriamente ritenersi che si tratti, piuttosto che di un mezzo di gravame incidentale, della richiesta, in caso di accoglimento del ricorso per revocazione principale, che vengano esaminati i motivi di ricorso incidentale, ritenuti assorbiti dalla sentenza gravata, nonchè le deduzioni difensive sviluppate dinanzi alla Corte d’Appello).

9. Le spese nei rapporti tra il ricorrente principale ed il Comune di Collepasso seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Viceversa, tenuto conto dell’adesione dei ricorrenti incidentali al primo ed al terzo motivo proposti dal ricorrente principale, si ritiene che sussistano giusti motivi per disporre tra loro la compensazione delle spese.

Nulla a disporre nei confronti degli intimati che non hanno svolto attività difensiva.

10. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente principale al rimborso delle spese in favore del Comune di Collepasso, che liquida in Euro 8.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge;

Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato;

Compensa le spese tra il ricorrente principale ed i ricorrenti incidentali;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 223 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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