Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19644 del 03/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 03/10/2016, (ud. 31/03/2016, dep. 03/10/2016), n.19644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2704/2014 proposto da:

PAVISA SPEDIZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, sig. G.A., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA BENOZZO GOZZOLI 60, presso lo studio dell’avvocato REMO MONTONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato LAURA GIUSEPPINA DESAYMONET

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE G. MAZZINI

119, presso lo studio dell’avvocato MARIA GRAZIA BATTAGLIA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato OTTAVIANO DURANTE

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1063/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 17/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/03/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato REMO MONTONE per delega;

udito l’Avvocato MARIA GRAZIA BATTAGLIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 17/5/2013 la Corte d’Appello di Torino, in parziale accoglimento del gravame interposto dal sig. P.R. e in conseguente (parziale) riforma della pronunzia Trib. Saluzzo 30/11/2010, ha condannato l’originaria convenuta società Pavisa Spedizioni s.p.a. al pagamento di somma in favore del primo a titolo di differenze tariffarie calcolate secondo le tariffe “a forcella” per trasporti di merce dal predetto effettuati in favore della medesima negli anni (OMISSIS).

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società Pavisa Spedizioni s.p.a. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

Resiste con controricorso il P..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia “errata interpretazione e/o falsa applicazione” dell’art. 2697 c.c., L. n. 298 del 1974, art. 52, D.M. 18 novembre 1982, art. 4, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 2 motivo denunzia “omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che hanno fornito oggetto di discussione tra le parti (ex art. 360 c.p.c., n. 3), relativamente all’eccezione di prescrizione quinquennale di cui al D.L. 29 marzo 1993, n. 82 convertito in L. 2 maggio 1993, n. 162.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che i motivi risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all’atto di citazione notificato in data 23/7/2005 (e poi rinnovato in data 10/2/2006) “, alla propria comparsa di costituzione e risposta, alle “depositate memorie esplicative, all’interrogatorio libero, alla propria “memoria ex art. 183 c.p.c. “, alle “memorie istruttorie”, ai 58 documenti contenuti in 6 scatole e 3 faldoni”, agli atti di appello, alle “pre-fatture versate agli atti”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Non può d’altro canto sottacersi, con riferimento al 1 motivo, che la denunzia di violazione di norme di diritto risulta inammissibilmente formulata con riferimento al n. 5, anzichè al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.; e con riferimento al 2 motivo, che l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che hanno fornito oggetto di discussione tra le parti” risulta inammissibilmente denunziato con riferimento al n. 3, anzichè al n. 5 dell’art. 360 c.p.c..

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni della ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come sì è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.800,00, di cui Euro 4.600,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 31 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2016

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