Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19641 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. II, 04/08/2017, (ud. 11/04/2017, dep.04/08/2017),  n. 19641

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19910-2014 proposto da:

L.A., L.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

V.LE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO ROSSI,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO

CAMERINI;

– ricorrenti e c/ricorrenti all’incidentale –

contro

P.I., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

AUGUSTO RIBOTY 23, presso lo studio dell’avvocato GIANNI MASSIGNANI,

che lo rappresenta e difende con l’avvocato AUGUSTO LA MORGIA giusta

procura speciale Rep. n. 18273 del 23.9.2016 in Città Sant’Angelo

per Notaio dottor A.A.;

– c/ricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1156/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 04/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO CRICCHIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del secondo e del

quarto motivo, per l’assorbimento del sesto motivo e per il rigetto

dei restanti motivi del ricorso principale e per il rigetto del

ricorso incidentale;

udito l’Avvocato FRANCESCO CAMERINI, difensore dei Signori L., che

ha depositato un avviso di ricevimento ed ha chiesto l’accoglimento

delle difese in atti;

udito l’Avvocato GIANNI MASSIGNANI, difensore del Signor P.,

che si è riportato agli atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

G. ed L.A., con atto del 1994, riassumevano innanzi al Tribunale di Teramo un giudizio, già intrapreso innanzi all’allora Pretore di Atri, per denuncia di una nuova opera (ampliamento di un garage) proposto nei confronti del loro confinate P.I..

Nell’occasione della riassunzione i L. chiedevano anche l’accertamento della violazione delle distanze legali in relazione ad altra opera consistente nell’ampliamento di un fabbricato.

Costituitosi il contraddittorio, il convenuto chiedeva il rigetto delle domande attoree ed, in via riconvenzionale, domandava l’accertamento di varie violazioni delle distanze legali sostanziate da opere poste in essere dagli attori.

L’adito Tribunale, con sentenza n. 762/2009, condannava il P. all’eliminazione di una parte del proprio fabbricato secondo le specifiche disposizioni di cui in atti, oltre al risarcimento dei danni determinati in Euro 3mila, oltre interessi. Con la detta decisione del Giudice di primo grado venivano inoltre condannati gli attori alla rimozione di una condotta fognaria.

Le spese di lite erano compensate in ragione della loro metà, nel mentre – per la parte rimanente – venivano addebitate al convenuto.

Quest’ultimo interponeva appello avverso la predetta decisione del Tribunale di prima istanza, della quale si chiedeva la riforma.

L’appello era resistito dagli originari attori, che – a loro volta – proponevano appello incidentale insistendo, in particolare, per la condanna dell’appellante alla demolizione dell’ampliamento di un fabbricato minore per un fronte di m. 2.50.

L’adita Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza n. 1156/2013, in riforma dell’impugnata sentenza del Tribunale ed in parziale accoglimento dell’appello principale,rigettava la condanna di demolizione quanto all’eliminazione di pilastri inglobati nella parete perimetrale del fabbricato di proprietà dello stesso ed evidenziati nella relazione della svolta CTU; condannava gli appellati alla eliminazione del fabbricato, individuato in CTU, denominato “locali accessori con sovrastante terrazzo”, nonchè di quattro pozzetti meglio descritti nella quarta planimetria della relazione di CTU, rigettando l’appello incidentale e confermando nel resto la gravata decisione.

Le spese erano compensate per intero e per entrambi i gradi del giudizio dalla Corte aquilana.

Per la cassazione della suddetta decisione della Corte territoriale ricorrono in via principale i L., con atto affidato a nove motivi e resistito da controricorso, ed in via incidentale il P. con atto basato su sei motivi di ricorso e resistito da apposito controricorso.

Nell’approssimarsi dell’udienza hanno depositato, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., memorie sia le parti ricorrenti chè quella contro ricorrente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia un error in procedendo per violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Viene lamentato l’accoglimento, in Pbrado di appello, di una domanda del P., relativa alla demolizione dell’anzidetto fabbricato denominato “locali accessori” dei L., domanda che – secondo gli odierni ricorrenti – non sarebbe stata proposta nel giudizio di primo grado.

La censura appare infondata.

La Corte territoriale, correttamente esprimendosi in punto, ha dato conto che “l’appellante principale ha anche chiesto l’accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata in primo grado chiedendo “…..la demolizione di tutte le opere edificate””.

Orbene, premesso che la valutazione ed interpretazione delle domande è precipuo compito del Giudice del merito (che in ipotesi ha congruamente provveduto) va, inoltre rilevato che gli odierni ricorrenti principali non esplicitano in modo idoneo ed autosufficiente neppure dove e quando nel giudizio di secondo grado avrebbero addotto la doglianza oggi per di più inammissibilmente svolta.

Il motivo non può, dunque, essere accolto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce altro error in procedendo per violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2 in relazione alla L. 26 novembre 1990, n. 353 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

Con la doglianza in esame i ricorrenti principali, sempre in relazione al medesimo fabbricato di cui sub 1., deducono – questa volta con specifica indicazione – di aver eccepito che quei “locali accessori” esistevano fin dal 1960.

La Corte, – come risulta da pag. 15 della sentenza, non ha esaminato ed ha disatteso tale eccezione poichè la stessa “sollevata per la prima volta in appello doveva ritenersi tardiva ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 2”.

L’assunto riportato della Corte territoriale è errato in quanto il giudizio introdotto con atto notificato il 27 agosto 1994 soggiace alla disciplina dell’art. 345 c.p.c. nel testo previgente alla riforma di cui alla L. n. 353 del 1990, introdotta con decorrenza dal 30.4.1995.

Il motivo va, quindi, accolto.

3.- Con il terzo motivo parti ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Viene addotta l’omessa pronuncia sull’appello incidentale nella parte relativa all’avversa domanda di demolizione di un tratto di rete fognaria ed anche, in verità, di taluni pozzetti.

Il motivo è del tutto infondato in quanto l’accoglimento, da parte della Corte territoriale, dell’appello principale – in parte qua – comportava implicitamente e logicamente il rigetto, sempre in punto, dell’avverso appello incidentale.

Il motivo va, quindi, respinto.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 sempre in relazione, secondo la letterale dizione di cui al ricorso stesso “alla medesima questione evidenziata con il terzo motivo dianzi dedotto”.

Il motivo è del tutto inammissibile per errato riferimento del parametro – normativo indicato (per di più, nell’ipotesi, trova applicazione il vigente e ben più restrittivo art. 360 c.p.c., n. 5 applicabile – ratione temporis – nella fattispecie).

In ogni caso non vi è stata, per quanto già detto al punto che precede, nessuna carenza motivazionale.

5.- Con il quinto motivo del ricorso principale si censura il vizio di error in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

Viene, nella sostanza, denunciata l’omessa pronuncia sull’appello incidentale degli odierni ricorrenti relativo alla rete fognaria.

Il motivo è infondato in quanto l’accoglimento del motivo di appello principale relativo alla medesima rete escludeva, di per sè l’accoglibilità del corrispondente opposto appello incidentale, che non poteva, quindi, che essere e ritenersi rigettato.

6.- Con il sesto motivo del ricorso principale si deduce il vizio di violazione dell’art. 889 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Parti ricorrenti, in ordine alla citata disposta rimozione degli anzidetti quattro pozzetti, lamentano il malgoverno – da parte della impugnata sentenza – della disposizione di cui all’art. 889 c.c..

Viene all’uopo invocata, una non recente pronuncia di questa Corte (Cass., Sez. Seconda, Sent. 9 gennaio 1993, n. 145).

Quella decisione della Corte, a ben vedere, afferma che per le opere assimilabili ai pozzi (e, quindi, anche per i pozzetti di cui alla gravata decisione) non ci è una presunzione assoluta di pericolosità comportante un più restrittivo regime delle distanze, ma la pericolosità stessa “deve essere invece accertata in concreto”.

Orbene, nella concreta fattispecie in esame risulta che la Corte è pervenuta alla equiparazione ai pozzi, per i detti pozzetti, con conseguente applicazione dell’art. 889 c.c., comma 1 a seguito di apposita pertinente valutazione anche sulla scorta di esplicata CTU.

Non vi è stato, perciò, il dedotto malgoverno della norma invocata col motivo che, pertanto, va respinto.

7.- Con il settimo motivo parti ricorrenti principali lamentano un preteso error in procedendo per violazione dei principi relativi al potere del Giudice Ordinario di disapplicare gli atti illegittimi o comunque per violazione dell’art. 132 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

Il motivo è del tutto infondato.

La pretesa secondo cui l’A.G.O. adita doveva non solo disapplicare ma “come chiesto al Tribunale d dichiarare l’illegittimità dei provvedimento concessori posti a base dei due fabbricati realizzati dal convenuto….” è del tutto errata proprio in virtù dei noti principi regolanti il riparto dei poteri fra Giurisdizione amministrativa ed ordinaria e correttamente richiamati dalla sentenza impugnata.

Il motivo va, quindi, rigettato.

8.- Con l’ottavo motivo del ricorso principale si prospetta il vizio di violazione dell’art. 873 c.c. in relazione alle norme del Regolamento edilizio del Comune di Silvi Marina ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo è priva del necessario requisito di autosufficienza per evidente grave carenza.

Con lo stesso, infatti, non si trascrive, nè si cita alcuna specifica norma del detto regolamento, nè viene dedotto ed indicato – quale rilevante elemento di valutazione il periodo applicazione del regolamento stesso.

Per di più, a fronte della specifica e chiara affermazione della sentenza della Corte distrettuale, per cui l’immobile “non fronteggia nè terreno, nè fabbricato”, si deduce – con approssimazione e genericamente – che il Regolamento edilizio del Comune di Silvi Marina va “applicato con calcolo radiale”.

Il motivo è, quindi, inammissibile.

9.- Con il nono ed ultimo motivo del ricorso principale si censura il vizio di error in procedendo per violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Viene sollevata la questione dell’effettiva consistenza, in altezza, del fabbricato realizzato dal P. e che si assume essere stata accertata in un totale di m. 7.40 con capo di decisione coperto da giudicato.

La Corte territoriale avrebbe, secondo ricorrenti principali, non avrebbe dovuto respingere l’appello incidentale e disporre nuova CTU o integrazione di CTU.

Senonchè non risulta esservi stato un precedente giudicato nel senso asserito col motivo.

Nè è possibile identificare un intervenuto giudicato in base a mera affermazione del Tribunale di prima istanza, che – per di più – ebbe a concludere per una “assenza di una determinazione certa” dell’altezza del fabbricato de quo. Nella sostanza, poi, la valutazione è – in proposito – puramente di merito quanto alla effettiva preesistente altezza del fabbricato del P..

Il motivo, in quanto infondato, va dunque respinto.

10.- Con il primo motivo del ricorso incidentale si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 132,115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 per “assenza di ragioni del rigetto” e per omesso esame di una questione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

La doglianza appare riferirsi alla questione del fabbricato (dei L.) a 60 cm. da proprio confine (del P.).

Il motivo, nella sostanza, intende perseguire un riesame nel merito -in punto – della fattispecie, che – per la caratteristica eminentemente tecnica dei relativi profili – non può essere affatto richiesto in questa sede.

Per di più l’esame delle doglianze meritali sono del tutto precluse anche in virtù, nell’ipotesi, del nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c..

Il motivo è, quindi, nel suo complesso inammissibile.

11.- Con il secondo motivo parte ricorrente incidentalmente lamenta la violazione dell’art. 345 e dell’art. 112 c.p.c. sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

La doglianza mossa col motivo appare riferirsi alla questione della “opere realizzate su altri fronti… (e che) esulano dalla riconvenzionale proposta…”, come già ben evidenziato nella gravata sentenza (a pag. 23 della stessa).

Il motivo è, quindi, del tutto inammissibile in quanto implicante una nuova ma non più possibile valutazione di merito quanto all’estensione della proposta domanda.

12.- Con il terzo motivo del ricorso incidentale si prospetta il vizio di omesso esame di un fatto decisivo.

Il motivo non può essere accolto in quanto formulato sul presupposto di un controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza nei termini in cui esso era possibile prima della modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012, essendo viceversa oggi denunciabile soltanto l’omesso esame di uno specifico fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti, rimanendo – alla stregua della detta novella legislativa – esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. civ., SS.UU., Sent. n. 8053/2014).

“Parte ricorrente avrebbe dovuto far riferimento al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 applicabile ai ricorsi per cassazione proposti contro sentenze pubblicate a partire dall’11.9.2012 (D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012).

In quest’ottica, non si sarebbe potuto limitare a denunciare la insufficienza o contraddittorietà della motivazione”, bensì avrebbe dovuto dolersi dell’omesso esame circa un fatto decisivo che fosse stato oggetto di discussione tra le parti. Invero, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo, come detto, solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13928 del 06/07/2015).

Inoltre, l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformato, va inteso, in applicazione dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, tenendo conto della prospettiva della novella, mirata ad evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica della Corte di cassazione.

Ne consegue che: a) l'”omesso esame” non può intendersi che “omessa motivazione”, perchè l’accertamento se l’esame del fatto è avvenuto o è stato omesso non può che risultare dalla motivazione; b) i fatti decisivi e oggetto di discussione, la cui omessa valutazione è deducibile come vizio della sentenza impugnata, sono non solo quelli principali ma anche quelli secondari; c) è deducibile come vizio della sentenza soltanto l’omissione e non più l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione, salvo che tali aspetti, consistendo nell’estrinsecazione di argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi, si risolvano (ma non è il caso di specie) in una sostanziale mancanza di motivazione (Sez. 1, Sentenza n. 7983 del 04/04/2014).

Da ultimo, va ricordato che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). In definitiva, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della – sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Il motivo è, quindi, inammissibile.

13.- Con il quarto motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c. e delle norme del regolamento edilizio del Comune di Silvi, in relaziona all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo appare riferirsi alla questione relativa all’applicazione delle anzidette norme regolamentari in relazione, concretamente, alle soletta per la tracimazione dell’acqua.

Il motivo stesso non può essere accolto per una duplice regione.

Quanto all’aspetto delle invocate norme regolamentari esso è del tutto carente sotto il profilo della dovuta autosufficienza e dell’assoluta mancanza di ogni pertinente indicazione (come innanzi analogamente già rilevato sub 8.).

Quanto alla questione della succitata soletta essa attiene ad un aspetto meramente valutativo e meritale della controversia, comunque carente di dedsività.

Il motivo è, quindi, nel suo complesso, inammissibile.

14.- Con il quinto motivo del ricorso si deduce il vizio di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di specifico motivo di appello in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La doglianza si riferisce al profilo della condanna al risarcimento dei danni.

Ma, a ben vedere, tale aspetto (che costituisce elemento di domanda, esaminata o meno) non può assolutamente costituire un fatto ontologico non preso in esame ai sensi dell’applicabile art. 360 c.p.c., n. 5, invocato dalla parte ricorrente incidentalmente.

Il motivo è, quindi, del tutto inammissibile.

15.- Con il sesto ed ultimo motivo del ricorso incidentale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. per essere stato accordato un risarcimento in assenza di un danno ingiusto, secondo quanto accertato dallo stesso Giudice, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Viene sollevata, nella sostanza, la questione della (ingiusta) condanna al risarcimento del conseguente al disposto abbattimento del manufatto edilizio realizzato dal P. (di cui alla decisione del Tribunale di prima istanza), abbattimento di poì venuto meno colla gravata sentenza della Corte territoriale.

Il motivo è fondato.

In effetti il disposto risarcimento dei danni (per un totale di Euro 3 mila) disposto dal Giudice di prime cure era ancorato e giustificato – secondo la sentenza del Tribunale di prima istanza – (per Euro 2mila) in dipendenza dell’affermata violazione del distacco dai confini e (per Euro mille) per ampliamento illegittimo al piano terra del fabbricato del P. (v.: sentenza di primo grado a pag. 13).

Orbene, a seguito della riforma della decisione del primo Giudice da parte della sentenza della Corte territoriale, deve ritenersi essere venuto meno – in tutto o in parte – il presupposto fondante dell’anzidetto risarcimento a suo tempo disposto.

Il motivo va, quindi, accolto.

16.- In conclusione ed alla stregua di tutto quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto, stante l’accoglimento dei soli secondo motivo del ricorso principale e sesto di quello incidentale, l’impugnata sentenza va conseguentemente cassata con rimessione alla Corte di Appello territoriale, che provvederà alla definizione della controversia uniformandosi ai principi innanzi enunciati.

PQM

 

LA CORTE

accoglie il secondo motivo del ricorso principale ed il sesto di quello incidentale, rigettati tutti i rimanenti motivi di entrambi i proposti ricorsi, cassa l’impugnata sentenza – in relazione ai motivi accolti – e rinvia alla Corte di Appello di L’Aquila in diversa composizione; anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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