Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19641 del 03/10/2016

Cassazione civile sez. III, 03/10/2016, (ud. 31/03/2016, dep. 03/10/2016), n.19641

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25520/2013 proposto da:

T.D., (OMISSIS), G.G. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ARNO 6, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRO BISSATTINI ALESSI, rappresentati e difesi dall’avvocato

CLAUDIO CUTRERA giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

WIND JET SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 896/2012 del TRIBUNALE di CALTANISSETTA,

depositata il 13/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/03/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 13/12/2012 il Tribunale di Caltanissetta ha respinto il gravame interposto dai sigg. G.G. e T.D., nella qualità di genitori esercenti la potestà sul figlio minore G., in relazione alla pronunzia G. di P. Caltanissetta n. 561/09 di rigetto della domanda proposta nei confronti della società Wind Jet s.p.a. di risarcimento del lamentato danno “esistenziale” asseritamente subito dal predetto minore in conseguenza della ritardata partenza del vettore aereo, essendo il volo (OMISSIS) del (OMISSIS) decollato dopo 9 ore dalla prevista partenza.

Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello il G. e la T., nella qualità, propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi.

L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “violazione e falsa applicazione degli artt. 1174 e 2059 c.c., artt. 2 e 32 Cost., art. 340 c.p., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 motivo denunziano violazione dell’art. 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 941, 942 e 947 c.n., art. 112 c.p.c., artt. 6 e 7 Regolamento CEE n. 261/04, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 4 motivo denunziano “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso è inammissibile.

Esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che i ricorrenti fanno riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all'”atto di citazione ritualmente notificato”, alla comparsa di costituzione e risposta di controparte, all’espletata istruttoria, alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di appello) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso nè fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 6/11/2012, n. 19157; Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deducono le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura dei solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/8/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Senza sottacersi, con particolare riferimento al 2 e al 3 motivo, che giusta principio consolidato in giurisprudenza di legittimità, da un canto, l’art. 116 c.p.c., è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità), e non anche sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come nel caso dagli odierni ricorrenti viceversa prospettato; e, per altro verso, che l’omesso esame di una domanda e la pronunzia su domanda non proposta, nel tradursi nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sono deducibili con ricorso per cassazione esclusivamente quale error in procedendo ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass., Sez. Un., 16/10/2008, n. 25246; Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 5/12/2002, n. 17307; Cass., 23/5/2001, n. 7049) (nullità della sentenza e del procedimento) v. Cass., Sez. un., 14/1/1992, n. 369; Cass., 25/9/1996, n. 6468), e non anche sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (v. in particolare Cass., 4/6/2007, n. 12952; Cass., 22/11/2006, n. 24856; Cass., 26/1/2006, n. 1701), come dagli odierni ricorrenti del pari prospettato.

Con particolare riferimento al 4 motivo, a parte i profili di novità emergenti dalla prospettata violazione degli artt. 6 e 9 Reg. CE n. 261 del 2004 in ordine in particolare al lamentato danno non patrimoniale va altresì osservato che come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo, allorquando il passeggero con volo lungamente ritardata, soggetto a prolungata permanenza in aeroporto durante la quale la compagnia aerea non gli abbia asseritamente prestato l’assistenza prescritta ai sensi dell’art. 9 Reg. CE n. 261 del 2004, la sua domanda ex artt. 6 e 12 del citato Regolamento di risarcimento del danno non patrimoniale (atteso che come precisato da Corte Giust., 13/10/2011, C-83/10 la fonte dell’obbligo risarcitorio di tale danno non può essere considerato il suindicato Regolamento CE e che la nozione di “risarcimento supplementare” di cui all’art. 12 Reg. CE n. 261 del 2004 deve essere interpretato nel senso che consente al giudice nazionale, alle condizioni previste dalla Convenzione per l’unificazione di alcune norme relative al trasferimento aereo o dal diritto nazionale di concedere il risarcimento, incluso quello di natura morale occasionato dall’inadempimento del contratto di trasporto aereo) derivante dal disagio subito a causa della mancata assistenza è soggetta ai limiti posti dall’ordinamento interno alla risarcibilità del danno non patrimoniale (cfr. Cass., 10/6/2015, n. 12088).

A tale stregua, deve escludersi che sia configurabile un danno c.d. esistenziale risarcibile, giacchè come questa Corte ha già avuto più volte modo di porre in rilievo all’esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008 deve escludersi che il danno c.d. esistenziale rimanga integrato non già in presenza di uno “sconvolgimento esistenziale” bensì del mero “sconvolgimento dell’agenda” o nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità della vita”, e in particolare da meri disagi, fastidi, disappunti, ansie, stress o violazioni del diritto alla tranquillità (cfr. Cass., 20/8/2015, n. 16992).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dei ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 6, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come sì è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., in realtà sollecitano, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13 , comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 31 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2016

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