Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1964 del 29/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 1964 Anno 2014
Presidente: BURSESE GAETANO ANTONIO
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso 7079 — 2008 R.G. proposto da:
BRAMBILLA LUIGI — BRMLGU24A14E507F, elettivamente domiciliato in Roma, alla via
F. Confalonieri, n. 5, presso lo studio degli avvocati Luigi Manzi ed Emanuele Coglitore, che,
unitamente all’avvocato Luigi Fazzo, lo rappresentano e difendono in virtù di procura speciale
in calce al ricorso.
RICORRENTE
contro
CASTELLO s.a.s. di RINALDO NARDON, in persona del legale rappresentante e socio
accomandatario, Rinaldo Nardon, — P.I.V.A. 02517690133, C.F. 00814690137, elettivamente
domiciliata in Roma, al largo Lucio Apuleio, n. 11, presso lo studio dell’avvocato Cesare
Della Rocca, che, unitari-lente all’avvocato Pasquale Corrado, la rappresenta e difende in virtù
di procura speciale a margine del controricorso.
CONTRORICORRENTE

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Data pubblicazione: 29/01/2014

Avverso la sentenza n. 57 della corte d’appello di Milano dei 17.10.2006/16.1.2007,
Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 13 dicembre 2013 dal
consigliere dott. Luigi Abete,
Udito l’avvocato Carlo Albini, per delega degli avvocati Luigi Manzi, Emanuele Coglitore e
Luigi Fazzo, per il ricorrente,

che ha concluso per l’accoglimento unicamente del settimo motivo di ricorso e, quindi, per il
rigetto di ogni ulteriore motivo,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato in data 20.3.2000 la “Castello s.a.s. di Rinaldo Nardon” citava a
comparire dinanzi al tribunale di Lecco Luigi Brambilla.
L’accomandita attrice esponeva che aveva siglato in veste di promissaria acquirente due
preliminari di compravendita con Luigi Brambilla, aventi ad oggetto due distinti compendi
immobiliari ubicati nel fabbricato sito in Lecco, alla via Caduti Leccesi a Fossoli, n. 7; che il
primo contratto, stipulato in data 26.11.1998, per il prezzo di £ 50.000.000, di cui £ 5.000.000
versati alla sottoscrizione del preliminare ed il residuo da corrispondersi alla stipula del
definitivo, aveva ad oggetto alcuni cespiti, di proprietà del promittente venditore, collocati al
piano terreno ed al piano seminterrato dello stabile, la colonna del montacarichi collegante il
piano seminterrato al quarto piano nonché il sottotetto sovrastante il quarto piano; che il
secondo contratto, stipulato in data 26.12.1998, per il prezzo di £ 350.000.000, da
corrispondersi alla stipula del definitivo, aveva ad oggetto una porzione del quarto piano dello
stabile adibita a magazzino, porzione che all’atto della stipula era di proprietà della “Fiscambi
Locazioni Finanziarie” s.p.a. ed era condotta in locazione da Luigi Brambilla, il quale,
nondimeno, aveva dichiarato di esser in condizione di alienare il medesimo cespite.

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Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Carmelo Sgroi,

Su tale scorta l’accomandita attrice, in relazione al primo contratto, chiedeva pronunciarsi
sentenza ex art. 2932 c.c. idonea a trasferirle i cespiti compromessi in vendita e condannarsi il
convenuto a risarcirle il danno sofferto, in relazione al secondo contratto, chiedeva
dichiararsene la risoluzione per inadempimento del promittente venditore, giacché costui non
era legittimato a trasferire il compendio immobiliare, e condannarsi il medesimo promittente a

cespite compromesso in vendita in capo a Luigi Brambilla, chiedeva ridursi il prezzo in
ragione dei vizi da cui l’immobile era affetto.
Si costituiva Luigi Brambilla; eccepiva che i contratti erano tra loro inscindibilmente
collegati e instava perché ne fosse dichiarata la risoluzione per colpa della promissaria
acquirente; al contempo, giacché la promissaria acquirente, immessa nella detenzione degli
immobili, continuava a detenerli, chiedeva che la “Castello” s.a.s. fosse condannata a
risarcirgli il danno patito.
All’esito dell’istruttoria, con sentenza depositata in data 30.6.2003 il tribunale di Lecco, in
relazione al primo contratto, accoglieva la domanda ex art. 2932 c.c. dell’accomandita attrice
e le trasferiva i cespiti che ne costituivano oggetto, in relazione al secondo contratto,
accoglieva la domanda del Brambilla e ne dichiarava la risoluzione per inadempimento della
medesima promissaria acquirente; altresì rigettava la domanda risarcitoria della “Castello”
s.a.s. ed, in pari tempo, la domanda di Luigi Brambilla volta ad ottenere il corrispettivo della
occupazione dell’immobile da parte dell’attrice.
Avverso tale sentenza con atto notificato in data 15.1.2004 interponeva appello Luigi
Brambilla chiedendo:
“in via principale, previa ogni più opportuna declaratoria in merito all’interdipendenza e
collegamento… tra i due contratti preliminari…, dichiarare la risoluzione degli stessi per
fatto e colpa di parte appellata, con le relative conseguenze di legge in termini di

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risarcirle il pregiudizio subito; in subordine, acclarata eventualmente la disponibilità del

restituzione… di tutte le porzioni immobiliari…; condannare pertanto la Castello s.a.s. al
risarcimento di tutti i danni cagionati al sig. Brambilla… quanto meno: al pagamento… della
somma di L. 227.040.000… a titolo di corrispettivo di occupazione… per il periodo da
gennaio 1999 al dicembre 2002, il tutto oltre interessi e rivalutazione; al pagamento…
dell’importo di L. 4.730.000… o di quello eventualmente ritenuto di giustizia, per ciascun

e rivalutazione; … al ripristino delle suddette porzioni immobiliari nello stato in cui si
trovavano prima che delle stesse prendesse possesso la Castello s.a.s.; respingere… tutte le
domande dispiegate dall’appellata;
in via subordinata, previa ogni opportuna declaratoria in merito all’interdipendenza e
collegamento… tra i due contratti preliminari…, dichiarare la risoluzione degli stessi per
fatto e colpa di parte attrice; condannare pertanto la Castello s.a.s. al risarcimento di tutti i
danni cagionati al convenuto nella misura emersa in corso di causa o, in mancanza, secondo
equità; respingere quindi le domande di parte attrice._ ; in via riconvenzionale: condannare
la Castello s.a.s. al pagamento in favore del sig. Brambilla dell’importo di L. 96.000.000… o
di quello.., ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di corrispettivo di
occupazione… per il periodo da gennaio 1999 – dicembre 2002; sempre in via
riconvenzionale: condannare inoltre parte attrice al pagamento in favore del sig. Brambilla
dell’importo mensile di L. 2.000.000… o di quello eventualmente ritenuto di giustizia, per
ciascun mese di occupazione… a partire dal gennaio 2003 e sino.., alla restituzione…, oltre
interessi e rivalutazione;
in via di ulteriore subordine, nel denegato caso di accoglimento delle domande di parte
appellata: condannare la Castello al pagamento in favore del convenuto dell’importo di L.
45.000.000…, oltre interessi e rivalutazione, con riferimento alle porzioni immobiliari site al
piano terra ed al seminterrato; condannare la Castello al pagamento in favore del sig.
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mese di occupazione… a partire dal gennaio 2003 e sino alla… restituzione…, oltre interessi

Brambilla dell’importo di L. 350.000.000… oltre interessi e rivalutazione con riferimento
all’immobile sito al piano 4′; compensare l’importo eventualmente riconosciuto alla Castello
s.a.s. a titolo di risarcimento dei danni, con le somme da quest’ultima dovute al sig.
Brambilla per l’occupazione delle porzioni immobiliari site al piano terreno” (così ricorso,
pagg. 4 — 5).

ed, in accoglimento del gravame incidentale all’uopo esperito, che fosse dichiarata la
risoluzione del secondo contratto per colpa dell’appellante Brambilla e che ne fosse, inoltre,
pronunciata la condanna al risarcimento dei danni.
Con sentenza dei 17.10.2006/16.1.2007 la corte d’appello di Milano respingeva sia il
gravame principale che quello incidentale; compensava per 1/3 le spese del grado e
condannava la “Castello” s.a.s. a rifondere al Brambilla i residui 2/3.
Con ricorso articolato in otto motivi Luigi Brambilla ha invocato la cassazione della
summenzionata statuizione d’appello con ogni conseguente provvedimento anche in ordine
alle spese.
La “Castello” s.a.s. ha depositato controricorso, chiedendo dichiararsi inammissibile e
comunque rigettarsi l’avversa istanza, con il favore delle spese e competenze del grado.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo che fonda l’esperita impugnazione, è ancorato alla previsione dell’art.
360, 1° co., n. 3), c.p.c..
Adduce all’uopo Luigi Brambilla che “uno degli argomenti, in base ai quali.., è da
ritenersi dimostrato il collegamento tra i due negozi, risiede nell’esito della istruttoria orale,
nel corso della quale sia il teste Gianluigi Brambilla sia il teste Bartoli avevano confermato
tale circostanza” (così ricorso, pag. 7) ; che erroneamente la corte di merito ha negato
qualsiasi rilevanza a tali testimonianze, allorché ha “escluso che la prova testimoniale possa di

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Si costituiva l’appellata accomandita semplice, chiedendo il rigetto dell’avverso gravame

per sé comportare una integrazione del dato letterale essendo la sua utilità circoscritta al solo
procedimento interpretativo della volontà dei contraenti…” (così sentenza d’appello, pagg. 8 9); “che non sia conforme a diritto, nella fattispecie, escludere dal procedimento valutativo le
risultanze delle testimonianze, facendo così erronea applicazione dell’art. 2722 c.c.” (così
ricorso, pag. 7) ; che inoltre “non è stato rispettato il disposto dell’art. 2724 c.c., in quanto

sottoposti ai testimoni. Si tratta in particolare della dichiarazione contenuta nella parte di
premesse, lettera B), del contratto n. 2….; della dizione contenuta nella clausola 2.4 dello
stesso contratto” (così ricorso, pag. 8); che “la Corte non ha dato alcun rilievo alla
confessione resa dal legale rappresentante della Castello s.a.s., benché tale elemento di prova
fosse stato specificamente posto alla sua attenzione” (così ricorso, pag. 7) ; che, quindi, “la
sentenza impugnata ha errato in diritto escludendo valenza confessoria, ai sensi dell’art. 2733
c.c., alla confessione giudiziale resa dalla parte” (così ricorso, pag. 8).
Il secondo motivo che fonda l’esperita impugnazione, è ancorato alla previsione dell’art.
360, 1° co., n. 5), c.p.c..
Adduce all’uopo il ricorrente che “la Corte ha… omesso completamente di considerare un
altro dato testuale, ancora più esplicito ed importante, che pure era stato espressamente
segnalato alla sua attenzione nell’atto d’appello…. Si tratta della dizione contenuta nella
clausola 2.4 dello stesso contratto… che recita: ” (così ricorso, pag. 9); che “è pacifico
che menzionate nella clausola
siano quelle oggetto del ” (così ricorso, pag. 9).
Il terzo motivo che fonda l’esperita impugnazione, è ancorato contestualmente alle
previsioni dell’art. 360, 1° co., nn. 3) e 5), c.p.c..
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nella fattispecie esisteva in ogni caso un principio di prova scritta concordante con i quesiti

Adduce all’uopo Luigi Brambilla che, se è vero che la dichiarazione contenuta nella parte
di premesse, lettera B), del contratto n. 2…, “appare nella sua formulazione letterale come
riferita al solo promissario acquirente

(), è altrettanto vero che la sua specifica menzione in un contratto sottoscritto da
entrambe le parti comporta che essa sia fatta propria o quanto meno accettata anche dall’altra

ricorso, pagg. 10 11); “in definitiva, la Corte di merito ha motivato in modo insufficiente,

riferendosi al mero dato letterale… Ed è contestualmente incorsa in un errore di diritto,
ritenendo che siffatta dizione fosse espressione della volontà di una sola delle parti…, facendo
così erronea applicazione delle norme sulla conclusione del contratto e in particolare degli
articoli 1321 e 1326 del codice civile” (così ricorso, pag. 11).
Il quarto motivo che fonda l’esperita impugnazione, è del pari ancorato contestualmente
alle previsioni dell’art. 360, 10 co., nn. 3) e 5), c.p.c..
Adduce all’uopo il ricorrente che, contrariamente a quanto assunto dal giudice d’appello,
ambedue i contratti sono stati stipulati nella medesima occasione; che, nella “data apposta a
mano.., sul contratto n. 2 l’indicazione del mese non è chiara” (così ricorso, pagg. 11

12);

che “la Corte ha omesso di considerare un elemento documentale decisivo, che pure le era
stato espressamente sottoposto dall’appellante • anche sul contratto n. 2 appare
chiaramente apposto il timbro a data dell’ufficio postale, ed in entrambi è indicata in modo
perfettamente leggibile la medesima data del 26.11.1998” (così ricorso, pag. 12); che “a nulla
rileva che nel contratto n. 2 il timbro risulta apposto su di un foglio collocato alla fine del
contratto: il contratto in questione è stato prodotto in copia fin dalla costituzione in primo
grado… come doc. 2, comprensivo di tale foglio aggiuntivo, la cui conformità all’originale…
non è stata tempestivamente disconosciuta dalla controparte ai sensi dell’art. 2719 c.c., né… è
stata proposta querela di falso… si tratta di un documento la cui genuinità e integrità è

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parte… Il che ha evidente rilievo ai fini di ravvisare il collegamento tra i due contratti” (così

riconosciuta in giudizio, e tale considerazione, se non fosse stata omessa, avrebbe fornito la
prova … della contestualità della sottoscrizione delle due scritture. E la Corte di merito ha
errato.., non facendo applicazione dell’art. 2704 del codice civile” (così ricorso, pag. 12);
che, in ogni caso, “la Corte è incorsa in errore di diritto attribuendo rilevanza decisiva ad un
(ipotetico) perfezionamento in tempi diversi al fine di escludere il collegamento tra i due

di legittimità, il criterio distintivo sostanziale fra contratto unico e contratto collegato è da
ravvisare nell’unicità ovvero nella pluralità degli interessi perseguiti.
Il quinto motivo che fonda l’esperita impugnazione, è ancorato alla previsione dell’art.
360, 1° co., n. 3), c.p.c..
Adduce all’uopo Luigi Brambilla che insufficienti a costituire adeguata motivazione
risultano gli ulteriori profili sulla cui scorta il giudice d’appello ha disconosciuto il
collegamento tra i due contratti.
Che, segnatamente, è privo di rilievo “che i beni oggetto del non fossero
di proprietà del Sig. Brambilla, bensì da questi condotti in leasing…: il Brambilla poteva
legittimamente, come ha fatto, promettere di procurare la proprietà del bene all’acquirente,…
evento… connaturato alla natura del leasing, nel quale l’utilizzatore ha il diritto di riscattare il
bene anche anticipatamente… pagando i canoni residui a scadere, magari utilizzando a tal fine
parte del prezzo pattuito con l’acquirente” (così ricorso, pag. 14).
Che, segnatamente e contrariamente a quanto ritenuto dalla corte distrettuale, sussiste tra i
due compendi immobiliari un collegamento significativo, “atteso che — come è pacifico — il
seminterrato e il quarto piano erano tra loro collegati direttamente attraverso una colonna
montacarichi: ente privato e non condominiale… posto all’esclusivo servizio delle due unità
immobiliari in esame. Per non dire del fatto che nel è prevista l’alienazione
anche della porzione di sottotetto sovrastante il magazzino oggetto del : con il

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contratti” (così ricorso, pag. 12), ciò giacché, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte

che i due enti erano addirittura confinanti, ed appare logico ipotizzare che i locali sottotetto, di
per sé poco fruibili…, assumessero valore ed utilità ben maggiori se posti al servizio del
magazzino sottostante” (così ricorso, pag. 14).
Che, segnatamente, “nemmeno è corretto affermare che il Sig. Brambilla, con la sua
lettera del 15.7.1999, avesse manifestato… la disponibilità alla conclusione di uno solo dei

erano stati stipulati il 26/11/1998; non può che concludersene che quando il Sig. Brambilla
dice si riferisce all’adempimento di entrambi i
contratti, e non di uno solo, come ritenuto nella sentenza qui impugnata” (così ricorso, pag.
15).

Il sesto motivo che fonda l’esperita impugnazione, è ancorato alla previsione dell’art. 360,
1° co., n. 4), c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c.; in subordine è ancorato alla previsione
dell’art. 360, 10 co., n. 5), c.p.c..
Adduce all’uopo il ricorrente che “è pacifico che riguardo al – dichiarato
risolto nella fase di merito — il Sig. Brambilla avesse immesso anticipatamente la Castello
s.a.s. nella detenzione del bene” (così ricorso, pag. 16); che, “nondimeno la Corte d’appello,
pur confermando la risoluzione del , e benché fosse pacifico che nel frattempo
la Castello s.a.s. continuava ad occupare l’immobile che ne era oggetto, non ha in alcun modo
statuito in ordine alla domanda di sua restituzione al promittente venditore. E, ciò, benché la
restituzione del bene consegnato in occasione della promessa di vendita sia un effetto naturale
dell’efficacia retroattiva della risoluzione contrattuale (art. 1458 c.c.)” (così ricorso, pag. 17);
che “tale restituzione dovesse avvenire in favore del Sig. Luigi Brambilla appare altrettanto
incontestabile, giacché è pacifico che la consegna del bene venne effettuata alla Castello s.a.s.
dal Sig. Luigi Brambilla stesso, e non è sorta alcuna questione circa la legittimità del possesso
o detenzione del bene in capo a quest’ultimo; mentre appare irrilevante, a tali effetti, ogni

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due contratti… In realtà… nella prospettazione dello stesso Brambilla, entrambi i contratti

questione relativa al titolo di proprietà del bene stesso. Si ritiene, pertanto, che, ai sensi del
secondo comma dell’art. 384 c.p.c., questa Corte possa sul punto decidere la causa nel merito,
ordinando la restituzione al Sig. Brambilla del bene oggetto del contratto n. 2” (così ricorso,

pag. 17); “solo in via meramente… subordinata, qualora si voglia ritenere.., che la Corte
d’Appello abbia implicitamente valutato e rigettato la domanda in oggetto, valga allora il

Il settimo motivo che fonda l’esperita impugnazione, è ancorato alla previsione dell’art.
360, 1° co., n. 4), c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c.; in subordine è ancorato alla previsione
dell’art. 360, 1° co., n. 5), c.p.c..
Adduce all’uopo Luigi Brambilla che, in relazione al contratto n. 1, per il quale è stata
pronunciata e poi confermata sentenza ex art. 2932 c.c., “è pacifico che la Castello s.a.s. abbia
corrisposto il solo acconto di Lire 5.000.000… e non abbia poi provveduto al saldo prezzo di
ulteriori Lire 45.000.000” (così ricorso, pag. 18); che “la sentenza qui impugnata ha omesso
totalmente di considerare, nemmeno implicitamente, tale domanda” (così ricorso, pag. 18

19); che, in via subordinata, nell’ipotesi in cui anche in sede di legittimità venga confermata la

statuizione ex art. 2932 c.c., questa Corte di legittimità, ai sensi dell’art. 384, 2° co., c.p.c.,
“possa sul punto decidere la causa nel merito, non essendo per un verso necessarie ulteriori
indagini di fatto….; e condannare pertanto la Castello s.a.s. al pagamento in favore del Sig.
Luigi Brambilla dell’importo di € 23.240,56, pari a Lire 45.000.000, oltre interessi e
rivalutazione dal 30.1.99, o in subordine dalla sentenza di primo grado al saldo” (così ricorso,

pag. 19); “solo in via meramente… subordinata, qualora si voglia ritenere.., che la Corte
d’Appello abbia implicitamente valutato e rigettato la domanda in oggetto, valga allora il
presente motivo quale denuncia del vizio di omessa motivazione…” (così ricorso, pag. 19).
L’ottavo motivo che fonda l’esperita impugnazione, è ancorato al contempo alle
previsioni dell’art. 360, 1° co., nn. 3) e 5), c.p.c..

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presente motivo quale denuncia del vizio di omessa motivazione…” (così ricorso, pag. 18).

Adduce all’uopo il ricorrente che “ha formulato espressa richiesta di risarcimento del
danno in relazione al persistere della detenzione in capo alla Castello s.a.s. dell’immobile
descritto nel … in conformità alle valutazioni espresse dal CTU… nella
perizia svolta in primo grado e nella successiva integrazione” (così ricorso, pagg. 19

20);

che “la Corte ha rigettato la domanda di risarcimento in quanto il Sig. Luigi Brambilla non era

del tutto insufficiente, perché… il Sig. Luigi Brambilla disponeva legittimamente del bene,
conducendolo in leasing, e quindi,.., era in ogni caso lui ad essere concretamente
danneggiato, quale utilizzatore, dallo spossessamento, non potendo usufruire del bene” (così

ricorso, pag. 20); che suo figlio, Gianluigi Brambilla, allorché aveva acquistato dalla
“Fiscambi”, in corso di causa, precisamente in data 24.3.2000, il cespite oggetto del “contratto
n. 2”, non aveva certo in tal guisa provveduto a spossessarlo ed, in ogni caso, che, non
essendo intervenuto nel processo, non aveva neutralizzato la legittimazione di egli ricorrente a
coltivare la domanda risarcitoria; che ad egli ricorrente “spetterebbe comunque il risarcimento
a partire dalla data di consegna dei beni sino al momento in cui Gianluigi Brambilla ne ha
acquistato la proprietà” (così ricorso, pag. 21); che la corte distrettuale è incorsa in falsa
applicazione della norma di legge, cioè degli artt. 1218, 1223 ovvero 2043 c.c., allorché ha
escluso in capo al detentore, in capo al possessore o, comunque, in capo all’originario
utilizzatore del bene il diritto al risarcimento del danno.
Si reputa opportuno attendere contestualmente alla disamina dei primi cinque motivi di
ricorso.
Tutti indistintamente sono destituiti di fondamento e, prim’ancora, non vanno esenti da
significativi profili di inammissibilità.
Si premette, in linea di principio, che i motivi per i quali si chiede la cassazione della
sentenza impugnata, devono connotarsi, a pena di inammissibilità, alla stregua dei requisiti

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proprietario del bene al quarto piano” (così ricorso, pag. 20); che “si tratta di una motivazione

della specificità, completezza e riferibilità alla decisione censurata (cfr., tra le altre, Cass.

17.7.2007, n. 15952).
Si premette, in relazione ai motivi – nel caso di specie esclusivamente ovvero
congiuntamente – ancorati alla previsione dell’art. 360, 10 co., n. 5), c.p.c., in primo luogo,
che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di

suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza Io—g-it e argomentazioni svolte da -l—gitzlice -del merito, al quale spetta,
in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e
valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le
complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la
veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei
mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge; ne consegue che il
preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà
della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del
giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti
decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista
insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (cfr. Cass.

9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789). In secondo luogo, che, ai fini di una corretta
decisione, il giudice del merito non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze
processuali, né a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo
invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui
quali intende fondare il suo convincimento e 1′ iter seguito nella valutazione degli stessi e per

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legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al

le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la
decisione adottata (cfr. Cass. 10.5.2000, n. 6023).
Si premette, in relazione ai motivi — nel caso di specie esclusivamente ovvero
congiuntamente – ancorati alla previsione dell’art. 360, 1° co., n. 3), c.p.c., che il controllo di
legittimità ex art. 360, 1° co., n. 3), c.p.c. non si esaurisce in una verifica di correttezza

sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa (cfr. Cass.

18.1.2001, n. 5).
Nei termini esposti si evidenzia nella fattispecie che, allorquando ha opinato nel senso
“che non sussiste alcun vincolo funzionale tra i due atti negoziali” (così sentenza d’appello,

pag. 8), più esattamente che “è… controversa la idoneità della prova sulla esistenza di tale
vincolo in assenza nei due atti di un qualsiasi richiamo agli elementi di concerto” (così

sentenza d’appello, pag. 8), la corte distrettuale ha senz’altro ancorato tale suo dictum a
motivazione ampia, articolata, congrua e coerente.
In particolare, allorquando ha ritenuto di prescindere dalle risultanze della prova
testimoniale e dell’interrogatorio formale reso dal legale rappresentante della “Castello” s.a.s.,
la corte di merito ha semplicemente, siccome è sua prerogativa, selezionato, prescegliendone
alcune e estromettendone altre, le risultanze probatorie a suo giudizio più idonee a fondare il
proprio convincimento.
E ciò tanto più giacché, per un verso, siccome la controricorrente ha puntualmente posto
in risalto (cfr. pag. 2 del controricorso), il teste Gianluigi Brambilla è figlio del ricorrente e,
per giunta, proprietario – a decorrere dalla notifica dell’atto di citazione introduttivo della
presente vicenda giudiziaria – del compendio immobiliare oggetto del secondo preliminare di
compravendita, il che non poteva — pur al di là del rilievo per cui il medesimo teste individua
nel padre la sua fonte di conoscenza – non svilire significativamente la sua attendibilità;

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dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma è esteso alla

giacché, per altro verso, il riscontro del preteso collegamento tra i due vincoli negoziali
operato dal teste Bartoli, appare affermazione, recte giudizio alquanto ingiustificato, siccome
del tutto avulso (alla stregua della rappresentazione che Luigi Brambilla ne offre a pag. 7 del

ricorso) dall’esplicitazione delle ragioni che valevano a supportarlo; giacché, per altro verso
ancora, gli esiti dell’interrogatorio formale del legale rappresentante dell’accomandita

compiuta rappresentazione che la controricorrente ne ha effettuato

(cfr. pagg. 2 — 3 del

controricorso. In tal guisa si svela preliminarmente in parte qua l ‘inammissibilità del motivo
di ricorso de quo agitur per violazione del canone dell’ “autosufficienza”, quale
positivamente imposto dall’art. 366, 1° co., n. 6), c.p.c.: al riguardo cfr. Cass. 31.5.2011, n.
11984, ove si dà atto del preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i
documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre,
se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo
contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di
provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e
sufficienza della motivazione della decisione impugnata).
Ne discende, inoltre, che l’asserita erronea applicazione, l’asserita violazione degli artt.
2722, 2724 e 2733 c.c. non appaiono per nulla correlate alla ratio decidendi.
Al contempo, allorquando la corte distrettuale ha puntualizzato che, a fronte dell’ “unico
dato compatibile con la prospettazione dell’appellante.. rappresentato dalla dichiarazione di
interesse alla vendita cumulativa resa dalla Castello nel contesto del secondo atto” (così

sentenza d’appello, pag. 9), si contrappongono “plurimi e significativi elementi di
dissonanza” (così sentenza d’appello, pag. 9), dipoi singolarmente enunciati, ha non solo
analiticamente dato conto delle circostanze su cui ha inteso poggiare il suo convincimento,

14

controricorrente sembrano specificarsi in termini per nulla univoci alla stregua della più

ma, correlandole reciprocamente, ha provveduto inoltre ad esplicitare 1′ iter logico nel cui
solco il medesimo convincimento si è sviluppato.
In questo quadro, al cospetto innanzitutto della costatazione per cui nell’atto riproducente
il testo del secondo preliminare di vendita non è dato rinvenire una dichiarazione di interesse
alla vendita cumulativa ascrivibile a Luigi Brambilla e del tutto analoga a quella resa,

clausola 2.4 dello stesso contratto” (così ricorso, pag. 9) e quale in precedenza – in sede di
illustrazione del secondo motivo di ricorso – testualmente riprodotta.
E’ innegabile, certo, che il collegamento funzionale tra due o più contratti costituisce un
risultato conforme all’interpretazione delle medesime operazioni contrattuali, che, siccome si
argomenta in dottrina, prescinde dalla necessità di una specifica previsione delle parti.
Nondimeno, se è vero che in sede di interpretazione del contratto, dei contratti giammai si
può prescindere dalla ricerca della comune intenzione dei contraenti, è altrettanto indubitabile
che il collegamento funzionale – che impone la considerazione unitaria della fattispecie – se
abbisogna di un elemento oggettivo, necessita, in pari tempo, di un elemento soggettivo, che,
sì, può risultar pur tacitamente, ma postula, comunque, il comune intento pratico delle parti di
voler non semplicemente l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma
anche il collegamento ed il coordinamento di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, non
essendo sufficiente che quel fine sia perseguito da una soltanto delle parti all’insaputa e senza
la partecipazione dell’altra (cfr. Cass. 27.1.1997, n. 827; Cass. 10.6.1991, n. 6567).
Tal ultimo rilievo dà ragione, simultaneamente, dell’assoluta infondatezza dell’argomento
sostanziante il terzo motivo di ricorso.
La mera sottoscrizione, da pare di Luigi Brambilla, dell’atto che reca il testo del secondo
contratto, non può di per sé indurre ad argomentar nel senso che pur il promittente venditore
avesse interesse all’alienazione cumulativa.

15

viceversa, dalla “Castello” s.a.s., svilisce senz’altro la valenza “della dizione contenuta nella

Opinar in questa guisa vorrebbe dire, del resto, che il solo dato della coincidenza
soggettiva registrata in relazione a due o più contratti valga a fondare il riconoscimento del
collegamento funzionale, laddove, viceversa, a tal fine necessita — siccome premesso – il
riscontro di un ulteriore comune intento soggettivo, se del caso palesatosi tacitamente, ma,
comunque ed innanzitutto, da agganciar, nell’alveo della comune intenzione dei contraenti, al

Né, evidentemente, si configurano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1321 e
1326 c.c. in dipendenza del riferimento al solo dato letterale.
E’ sufficiente reiterare in questa sede l’insegnamento alla cui stregua, in tema di
interpretazione dei contratti, il criterio del riferimento al senso letterale delle parole adoperate
dai contraenti si pone come strumento di interpretazione fondamentale e prioritario, con la
conseguenza che, ove le espressioni adoperate nel contratto siano di chiara e non equivoca
significazione, la ricerca della comune volontà resta esclusa, restando superata la necessità del
ricorso agli ulteriori criteri contenuti negli artt. 1362 e ss. c.c., i quali svolgono una funzione
sussidiaria e complementare (cfr. Cass. 25.6.1985, n. 3823).
La censurata statuizione dà conto dell’affermata insussistenza del preteso collegamento
funzionale tra i due preliminari di compravendita, dando atto, in secondo luogo, che “non vi è
prova della contestualità della stipulazione sicché riesce difficile immaginare la previsione di
un collegamento tra atti perfezionati in tempi diversi” (così sentenza d’appello, pag. 9).
A fronte dei rilievi di parte ricorrente, già testualmente riferiti in sede di illustrazione del
quarto motivo, l’accomandita controricorrente ha segnatamente replicato che “il timbro… non
è ubicato in fondo all’ultima pagina dell’atto, bensì è posto su un anonimo e singolo foglio
bianco… a parte, pinzato alla scrittura privata ma privo di qualsiasi timbro di congiunzione da
parte dell’amministrazione postale e privo di qualsiasi riferimento e/o collegamento con il
contenuto dei fogli precedenti” (così controricorso, pag. 5).

16

senso letterale delle parole adoperate.

Nei termini testé enunciati, che certo il ricorrente non contraddice (“a nulla rileva che nel

contratto n. 2 il timbro risulta apposto su di un foglio collocato alla fine del contratto”: così
ricorso, pag. 12), va evidenziato che la circostanza per cui la copia del secondo preliminare di
compravendita non sia stata dalla “Castello” s.a.s. per nulla disconosciuta, è valsa a produrre,
da un lato, a norma dell’art. 2719 c.c., l’effetto del riscontro della sua conformità all’originale,

dell’originale, di cui la copia tiene luogo, da colui che ne risulta sottoscrittore.
Tuttavia il valore di prova legale della scrittura da considerarsi come riconosciuta non
concerne propriamente il suo contenuto, la verità intrinseca delle dichiarazioni in essa
contenute, che possono essere posti in contestazione dalle parti con ogni mezzo di prova e che
possono dal giudice del merito esser liberamente valutate secondo il suo prudente
apprezzamento (cfr. Cass. sez. lav. 25.10.1993, n. 10577; Cass. 14.7.1988, n. 4611; Cass.

16.12.1986, n. 7553; Cass. 19.9.1978, n. 4196).
In tale quadro è, per un verso, incongruo il riferimento, da parte del ricorrente, all’art.
2704 c.c., giacché, a rigore, le limitazioni che tale disposizione pone in tema di certezza e
computabilità della data della scrittura privata operano nei confronti dei terzi, non già dei
contraenti — è il caso delle parti in lite – (cfr. Cass. 13.7.1978, n. 3543), sicché non vi è
margine alcuno per prefigurare la violazione ovvero la falsa applicazione della medesima
anzidetta disposizione codicistica. E’, per altro verso, inevitabile dar atto che, per giunta sul
terreno dell’art. 2704 c.c., si ammette, sì, che la certezza della data della scrittura privata non
autenticata nelle sottoscrizioni possa essere determinata mediante il timbro postale,
nondimeno a condizione che l’apposizione del timbro sulla carta contenente le pattuizioni dei
contraenti sia avvenuta in guisa che la scrittura formi un unico corpo con il foglio sul quale il
timbro è impresso (cfr. Cass. 24.8.1990, n. 8692; Cass. 14.6.2007, n. 13912).

17

dall’altro, a norma dell’art. 2702 c.c., l’effetto del riscontro della sicura provenienza

Va debitamente rimarcato, d’altro canto, che la corte milanese ha, sì, attribuito valenza al
mancato riscontro della contestuale stipulazione dei preliminari de quibus agitur, tuttavia vi
ha attribuito significato nel solco di una più ampia valutazione, nel cui contesto ha tenuto
conto simultaneamente di una pluralità di concorrenti elementi di giudizio.
Più esattamente nell’ambito di siffatta valutazione, ancorata al rilievo, altresì,

asseritamente collegati a soggetti diversi, al rilievo, inoltre, dell’assenza di una relazione di
totale immediata contiguità tra i medesimi compendi, tale da non “rendere indispensabile il
loro trasferimento congiunto” (così sentenza d’appello, pag. 9), al rilievo, ancora, del tenore
delle dichiarazioni rese da Luigi Brambilla nella missiva sua datata 15.7.1999, è da
disconoscere che la corte distrettuale abbia totalmente obliterato elementi di giudizio che
avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione.
D’altronde, in sede di censura, col quinto motivo, dell’impugnata statuizione, parte
ricorrente non ha fornito prospettazione di elementi decisivi di giudizio che il giudice di
seconde cure avrebbe pretermesso.
Ha piuttosto patrocinato una diversa “lettura” degli stessi elementi di valutazione che la
corte di merito ha delibato.
Pur in tal guisa è da escludere, comunque, che si prospetti la sussistenza di lacune o
incongruenze logiche di sorta nel percorso ricostruttivo che il giudice di seconda istanza ha
seguito.
Ovviamente non è in questa sede possibile attendere al riesame, alla revisione delle
valutazioni cui il giudice del merito ha, esaustivamente e congruamente, ancorato il suo

dictum, giacché, diversamente, ne risulterebbero stravolte e la natura e la finalità del presente
giudizio.
Ciò nonostante ci si limita esclusivamente a due aggiuntive puntualizzazioni.

18

dell’appartenenza dei compendi immobiliari oggetto dei preliminari di compravendita

.9.
La differente appartenenza dei due compendi immobiliari e l’assenza tra i medesimi
compendi di una relazione di integrale immediata fisica contiguità di sicuro non valgono, con
precipuo riferimento all’elemento oggettivo che in primo luogo ha da concorrere perché sia
integrato il fenomeno del collegamento negoziale, ad accreditarlo, a corroborarlo
univocamente; non valgono, cioè, di per sé, a dar riscontro univoco di quella sorta di

da coesistere col comune intento pratico delle parti e sul cui substrato tale comune
intendimento ha da innestarsi. E ciò tanto più qualora il comune intento pratico, in cui si
risolve l’elemento soggettivo, non emerge in guisa incontrovertibile all’esito dell’esegesi dei
testi contrattuali asseritamente collegati.
L’argomento sub c) del quinto motivo di ricorso è precario in premessa, giacché fonda sul
presupposto, assolutamente sfornito di dimostrazione, siccome correttamente posto in risalto
dalla corte di merito, della stipulazione di ambedue i preliminari nella medesima data del
26.11.1998.
Destituito di fondamento è il sesto motivo di ricorso.
Si premette, al riguardo, da un canto, alla stregua del letterale tenore delle conclusioni
rassegnate in grado d’appello, che Luigi Brambilla ha invocato la restituzione dei complessi
immobiliari compromessi in vendita seppur, propriamente, in rapporto e quale conseguenza
della sollecitata declaratoria di risoluzione dei preliminari per fatto e colpa della “Castello”
s.a.s.; dall’altro, che al riguardo la sentenza della corte milanese ha omesso qualsivoglia
statuizione; più esattamente il penultimo passaggio della motivazione della impugnata
sentenza concerne unicamente il credito risarcitorio; la circostanza, del resto, non è smentita
dalla controricorrente.
Su tale scorta si accredita il vizio — error in procedendo – di omessa pronuncia.

19

connessione materiale, economica che in certa qual misura ha da preesistere o, quanto meno,

Pur tuttavia non può non rimarcar questa Corte che il ricorrente, per sua stessa
prospettazione, da un lato, si disconosce, non si afferma proprietario del compendio
immobiliare oggetto del secondo compromesso immobiliare (” …l’immobile sito al quarto

piano…, inizialmente di proprietà della Finscambi, e poi acquistato dal Sig. Gianluigi
Brambilla (figlio dell’appellante)”: così ricorso, pag. 20), dall’altro, adduce, in relazione al

“Castello” s.a.s., sicché neppur si afferma detentore.
In tal guisa è da escludere che sussistano margini per riconoscere in capo al ricorrente la
legittimazione ad agire in relazione all’istanza restitutoria (cfr. Cass. 16.11.1982, n. 6126,

secondo cui il controllo del giudice sulla sussistenza della legitimatio ad causam, nel duplice
aspetto di legittimazione ad agire e a contraddire si risolve, nell’accertare se, secondo la
prospettazione del rapporto controverso data dall’attore, questi ed il convenuto assumano,
rispettivamente, la veste di soggetto che ha il potere di chiedere la pronunzia giurisdizionale
e di soggetto tenuto a subirla, con la conseguenza che qualora da tale controllo risulti che
già secondo la prospettazione dell’attore, quest’ultimo ovvero il convenuto non possano
identificarsi col soggetto rispettivamente avente diritto o tenuto a subire la pronunzia
giurisdizionale, il giudice deve rigettare la domanda rispettivamente per difetto di
legittimazione attiva o passiva, mentre ogni eccezione del convenuto attinente alla titolarità
attiva o passiva non può dar luogo ad una pronunzia sulla legittimazione ma ad una
decisione sul merito del rapporto controverso).
Va debitamente soggiunto, in primo luogo, che la legitimatio ad causam attiene alla
regolare instaurazione del contraddittorio, sicché il suo difetto è rilevabile in ogni stato e
grado del giudizio, con il solo limite che, sulla relativa questione, siasi eventualmente formato
il giudicato (cfr. Cass. 5.11.1997, n. 10843). Propriamente il suo difetto è rilevabile nel corso

20

medesimo compendio oggetto del secondo contratto, che persiste la detenzione da parte della

del giudizio di legittimità, in quanto il correlato riscontro non postuli, siccome nella
fattispecie, il compimento di nuovi accertamenti di fatto (cfr. Cass. 12.4.2007, n. 8820).
In secondo luogo, che la potestas che l’ultimo comma dell’art. 384 c.p.c. devolve a questa
Corte può esser legittimamente esperita — e nei termini testé enunciati la si esperisce – pur
nell’evenienza in cui l’error che inficia la motivazione di una statuizione di merito il cui

è il caso di specie — e non

già in iudicando (cfr. Cass. 23.4.2001, n. 5962, secondo cui il potere di correzione della
motivazione a norma dell’art. 384, 20 co., c.p.c. è esercitabile anche in presenza di errores in
procedendo, i quali, ove si risolvano in violazione o falsa applicazione di norme processuali,
presentano, dal punto di vista logico, la stessa struttura del vizio di violazione e falsa
applicazione di legge al quale in generale fa riferimento il 10 co. dell’art. 384 c.p.c.; cfr.
Cass. 14.3.2001, n. 3671).
Si reputa opportuno attendere in ordine inverso alla disamina degli ultimi due motivi di
ricorso.
Invero l’ottavo motivo è, analogamente al sesto, destituito di fondamento.
E’ fuor di contestazione, in questa sede di legittimità, “con riguardo.., al secondo
contratto,… che la mancata stipulazione del rogito dipese da difficoltà finanziarie della
società e non invece (come da essa asserito) dalla presenza di vizi della cosa…” (così
sentenza d’appello, pag. 10), tant’è che il giudice d’appello ha reputato di condividere “la
statuizione di risoluzione con addebito alla promissaria acquirente così in corrispondente
rigetto del gravame incidentale” (così sentenza d’appello, pag. 10).
E’ altresì fuor di contestazione, quanto meno nello spatium temporis compreso tra il dì
della acquisizione, da parte della “Castello” s.a.s., della materiale disponibilità del compendio
immobiliare oggetto del secondo contratto e la data – 24.3.2000 – d’acquisto della relativa
proprietà da parte di Gianluigi Brambilla, figlio del ricorrente, che, contrariamente a quanto

/h

21

dispositivo sia nondimeno conforme a diritto, sia in procedendo

assunto dalla corte territoriale, lo stesso ricorrente fosse, in forza del leasing siglato con la
“Fiscambi Locazioni Finanziarie” s.p.a., in relazione qualificata col medesimo compendio.
Tuttavia, pur con riferimento all’anzidetto spatium temporis, è da negare che Luigi
Brambilla abbia titolo per invocare il ristoro dei danni correlati alla materiale disponibilità da
parte della “Castello” s.a.s. della porzione immobiliare oggetto del secondo compromesso.

circostanze contingenti si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa può dal
danneggiamento di questa risentire un danno al suo patrimonio, indipendentemente dal diritto
che egli abbia all’esercizio di quel potere e cioè senza che sia necessaria l’identità fra il titolo
al risarcimento ed il titolo giuridico di proprietà; e, pertanto, che nel giudizio risarcitorio
promosso dal danneggiato, non è necessario, ai fini della legittimazione attiva, provare
l’esistenza di quest’ultimo titolo, bastando la prova del danno, in quanto l’ingiustizia del
danno non è necessariamente connessa alla proprietà del bene danneggiato, né all’esistenza di
un diritto comunque tutelato erga omnes, potendo i diritti sul medesimo bene derivare da
un’ampia serie di rapporti con altri soggetti, salvi i concorrenti o contrapposti diritti di costoro

(cfr. Cass. 14.5.1993, n. 5485; Cass. 24.2.1981, n. 1131; cfr. Cass. 14.5.1979, n. 2780).
Ciò nonostante è da escludere che la riferita elaborazione possa operare tout court sul
terreno e, comunque, in relazione ad ipotesi — quale quella di specie – di responsabilità
contrattuale.
Meritevole di accoglimento è viceversa il settimo motivo di ricorso.
La controricorrente argomenta nel senso che controparte non avrebbe esplicitato la natura
dell’invocata condanna di essa accomandita al pagamento dell’importo di lire 45.000.000,
pari ad euro 23.240,56, oltre interessi e rivalutazione (cfr. controricorso, pag. 8); che dunque
“si tratta di una domanda nuova svolta per la prima volta in sede di ricorso innanzi alla
presente Suprema Corte” (così controricorso, pag. 8).

22

Non si disconosce, ben vero, che questa Corte da tempo esplicita che anche colui che per

Tale assunto non può esser condiviso.
Invero l’invocata condanna, esplicitamente ricompresa nel corpo delle istanze formulate
dal ricorrente e in prime e in seconde cure, non poteva che esser intesa quale condanna al
pagamento del (residuo) prezzo pattuito in sede di stipula del primo preliminare di
compravendita, segnatamente in ipotesi di accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c.

Del resto questa Corte spiega che il giudice di merito, nell’indagine diretta
all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione,
non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande
medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale
della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e
rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua
pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca
dell’effettivo suo contenuto sostanziale; in particolare, il giudice non può prescindere dal
considerare che anche un’istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in
rapporto di connessione con il petitum e la causa petendi (cfr. in tal senso Cass. 10.2.2010, n.

3012; nella specie la Corte ha ritenuto, in relazione ad un giudizio per inadempimento
contrattuale, che la domanda di risarcimento danni presupponesse quella di risoluzione del
contratto, da ritenere proposta anche se non espressa con formula “sacramentale”, perché
nel contenuto della domanda originaria ad essa veniva fatto espresso riferimento).
La sentenza n. 57 della corte d’appello di Milano dei 17.10.2006/16.1.2007 va
conseguentemente, in dipendenza dell’accoglimento del settimo motivo di ricorso, cassata
limitatamente alla parte in cui, in relazione al primo preliminare di compravendita, ha omesso
qualsivoglia statuizione in merito alla domanda esperita da Luigi Brambilla e volta ad ottenere

1A1

23

esperita dalla promissaria acquirente in relazione a tal medesimo compromesso d’acquisto.

la condanna della “Castello” s.a.s. al pagamento dell’importo di L. 45.000.000, pari ad euro
23.240,56, oltre interessi e rivalutazione.
In merito si pronuncerà il giudice di rinvio.
Il giudice di rinvio attenderà, in pari tempo, alla regolamentazione delle spese del presente
giudizio di legittimità.

t

92.
La Corte accoglie il settimo motivo del ricor9;’ cassa la sentenza impugnata in relazione
al motivo accolto; rinvia anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di
legittimità ad altra sezione della corte d’appello di Milano.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

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