Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19634 del 24/07/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 19634 Anno 2018
Presidente: BRONZINI GIUSEPPE
Relatore: NEGRI DELLA TORRE PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 9455-2016 proposto da:
MALTESE ALBINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
GIOVANNI NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato
NICOLA MARIA ALIFANO, rappresentata e difesa
dall’avvocato FRANCESCO MENALLO, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2018

contro

934

SDI GROUP SUDGEST S.C.A.R.L. IN LIQUIDAZIONE, ALISEO
INVESTMENTS S.P.A.

(già SDI GROUP TILS HOLDING

S.P.A.), AMBER INTERNATIONAL (già SDI GROUP – BORGO

Data pubblicazione: 24/07/2018

DELLA CONOSCENZA – CAMPORLECCHIO EDUCATIONAL S.R.L.),
SD1 GROUP ECOSISTEMI S.R.L., SDI GROUP ENERGETHIC
S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (già ENERGETHIC S.R.L.);
– intimati –

avverso la sentenza n. 1186/2015 della CORTE D’APPELLO

1829/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/03/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO
NEGRI DELLA TORRE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale dott. RENATO FINOCCHI GHERSI, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

di PALERMO, depositata il 12/10/2015, r.g. n.

R.G. 9455/2016

Fatti di causa
1. Con sentenza n. 1186/2015, depositata il 12 ottobre 2015, la Corte di appello di Palermo

inefficace il licenziamento intimato ad Albina Maltese dalla soc. coop. a r.l. SDI Group
Sudgest, aveva tuttavia respinto la domanda della ricorrente volta ad estendere ad altre
società, appartenenti al medesimo gruppo di imprese, la pronuncia di condanna alla
reintegrazione e al pagamento delle retribuzioni dalla data del recesso.
2. La Corte territoriale rilevava, a sostegno della decisione, come l’appellante non avesse
fornito prova sufficiente della riferibilità del rapporto a soggetti diversi dal formale datore di
lavoro e, in particolare, come dalla documentazione prodotta non emergesse il preordinato
frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti collegati sul piano economico-funzionale.
3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la lavoratrice con quattro motivi.
4. Le società sono rimaste intimate.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2359 cod. civ.,
la ricorrente lamenta l’omesso esame di vari documenti, che, ove presi in considerazione
dalla Corte, avrebbero fornito elementi per ritenere l’influenza notevole di una società sulle
altre e, pertanto, un collegamento fra le stesse.
2. Con i restanti motivi la ricorrente deduce nuovamente il vizio di cui all’art. 360 n. 3:
quanto al secondo, per violazione e mancata applicazione degli artt. 115, comma 1°, e 416,
comma 3 0 , cod. proc. civ., sul rilievo che le difese delle controparti si erano limitate ad una
generica contestazione delle domande senza prendere posizione in maniera specifica sul
thema decidendum; quanto al terzo, per violazione e mancata applicazione dell’art. 614 bis
cod. proc. civ., avendo la Corte di appello erroneamente escluso l’applicabilità di tale norma
ai rapporti di lavoro; con riferimento, infine, al quarto, per violazione e mancata applicazione
dell’art. 10 d.lgs. n. 252/2005 e dell’art. 84 I. n. 296/2006, avendo la Corte di appello
erroneamente rilevato l’omessa allegazione della fonte che renderebbe dovuti i versamenti ai
fondi pensione, nonostante le fosse stato semplicemente richiesto di applicare le norme di
legge in materia.
3. Il primo motivo è inammissibile.
1

confermava la sentenza di primo grado, nella parte in cui il Tribunale di Palermo, dichiarato

4. Al riguardo si deve, in primo luogo, rilevare che il vizio di violazione o falsa applicazione di
norme di diritto, giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.,
deve essere, a pena di inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione – come nella
specie – delle disposizioni che si assumono violate ma anche mediante la specifica
indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che
motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con

dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni,
non risultando altrimenti consentito alla Corte di legittimità di adempiere al proprio compito
istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione: cfr., fra le molte, Cass.
n. 16038/2013 (ord.).
5. D’altra parte, nell’esame della fattispecie portata alla sua cognizione, la Corte di appello si
è attenuta al principio di diritto (cfr. sentenza impugnata, p. 3), per il quale il collegamento
economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è, di per sé
solo, sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato,
formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche
all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un unico centro
di imputazione del rapporto di lavoro. Tale situazione ricorre ogni volta che vi sia una
simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività
fra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale e ciò venga rivelato dai seguenti
requisiti: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività
esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c)
coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto
direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo
comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie
società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo
indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori (cfr., fra le più recenti,

l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente

Cass. n. 19023/2017).
6. Il motivo in esame è da ritenere inammissibile anche sotto altri profili e cioè in quanto,
sostanziandosi, al di là dello schermo della denuncia di violazione o falsa applicazione di
norme di diritto, in una censura di ordine motivazionale all’accertamento in fatto compiuto
dalla Corte di merito, risulta precluso ai sensi della disposizione di cui all’art. 348 ter, ultimo
comma, cod. proc. civ. (c.d. “doppia conforme”), a fronte di giudizio di appello (R.G. n.
1829/2013) introdotto con ricorso depositato in epoca successiva all’il settembre 2012; ed
inoltre per non essersi conformato al principio, in forza del quale il ricorrente per cassazione,
che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice
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di merito, ha, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., l’onere, imposto a
pena di inammissibilità del ricorso, non solo di indicare esattamente nell’atto introduttivo in
quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, ma
anche di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al
fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover
procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (cfr., fra le molte, Cass. n. 26174/2014).

mossa alcuna censura alla sentenza impugnata ma esclusivamente proposta una difesa di
merito.
8. Il terzo motivo è palesemente infondato, posto che – come esattamente osservato dalla
Corte territoriale – l’art. 614 bis cod. proc. civ., in tema di attuazione degli obblighi di fare
infungibile o di non fare, non trova applicazione, per espressa previsione normativa, alle
controversie di lavoro subordinato.
9. Quanto, infine, al quarto motivo, se ne deve rilevare l’inammissibilità, limitandosi con lo
stesso la ricorrente a censurare una parte soltanto della motivazione della sentenza (e cioè
l’affermazione per la quale non risulta allegata la fonte che dovrebbe giustificare la condanna
a versamenti nei fondi pensione) ma non anche quella parte della stessa motivazione,
peraltro dotata di autonoma valenza decisoria, in cui la Corte ha rilevato come “gli effetti
previdenziali della pronuncia sono impliciti nella declaratoria di inefficacia del recesso”; e
fermo restando il difetto di deduzione del motivo in esame, che non specifica se, dove e in
quali esatti termini la questione, che ne forma oggetto, sia stata riproposta al giudice di
appello.
10. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
11. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, le controparti essendo rimaste intimate.

p.q.m.

La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso
articolo 13.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 marzo 2018.

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7. Egualmente inammissibile risulta il secondo motivo, con il quale non viene, in realtà,

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