Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19633 del 24/07/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 19633 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA

sul ricorso 13350-2013 proposto da:
COSENTINO

SALVATORE

C. F.

CSNSVT59B02G273C,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE
MAllINI 6, presso lo studio dell’avvocato SERGIO LIO,
rappresentato e difeso dall’avvocato ORESTE NATOLI
giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2018
846

BIDERA MAURIZIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA ZANARDELLI 23, presso lo studio dell’avvocato
GIUSEPPE DI STEFANO, che lo rappresenta e difende
giusta delega in atti;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 24/07/2018

avverso la sentenza n. 584/2012 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 21/05/2012 R.G.N.

1029/2010.

R. Gen. N. 13350/2013

Rilevato che:
1.1. con ricorso al Tribunale di Palermo Maurizio Bidera
conveniva in giudizio Salvatore Cosentino, titolare dell’omonima
impresa edile, per sentirlo condannare al risarcimento del danno
biologico derivatogli dall’infortunio sul lavoro occorsogli in data

da un’apertura nel solaio predisposta per la realizzazione di un
vano ascensore all’interno di una palazzina ove stava lavorando
come manovale);
1.2. il Tribunale accoglieva la domanda e condannava il
Cosentino a corrispondere al ricorrente la somma di euro
116.084,55;
1.3. la decisione veniva confermata dalla Corte di appello di
Palermo;
riteneva la Corte territoriale che correttamente il giudice di
primo grado avesse valutato solo la domanda di danno biologico,
diversa da quella di danno differenziale, non coperta,

ratione

temporis, dall’assicurazione INAIL;
riteneva, inoltre, che l’aver il lavoratore dichiarato di essere
‘inciampato’ non sminuiva la responsabilità del datore di lavoro che
aveva totalmente omesso la predisposizione delle misure di
sicurezza (non essendo stato dimostrato che sarebbe stato il

23/6/2000 allorché era precipitato da un’altezza di circa otto metri

dipendente ad abbandonare sul solaio ‘qualcosa’ su cui poi il
,’

medesimo sarebbe inciampato);
infine considerava corretta la valutazione della lesione
all’integrità psico-fisica come accertata dal c.t.u.;
2. avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale Salvatore
Cosentino propone ricorso per cassazione fondato su quattro motivi;
3. Maurizio Bidera resiste con controricorso;
4. il ricorrente ha depositato memoria.

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R. Gen. N. 13350/2013

Considerato che:
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e
falsa applicazione dell’art. 10 del TU n. 1124/1965, dell’at. 68 del
d.P.R. n. 164/1956, dell’art. 13 del d.lgs. n. 38/2000 nonché
omesso esame di un fatto decisivo della controversia, oggetto di

rileva che la Corte territoriale, come già il Tribunale, avrebbero
attribuito al Bidera un risarcimento economico senza che questi
avesse provato che il risarcimento ulteriore richiesto fosse
superiore a quello già riscosso dall’INAIL;
1.2. il motivo è infondato;
la Corte ha ben spiegato perché non vi fosse da fornire alcuna
prova di danno differenziale evidenziando che quello liquidato
dall’INAIL ex T.U. n. 1124/1965 ratione temporis applicabile era
solo il danno collegato alla riduzione della capacità lavorativa
generica, essendo il danno biologico fuori da tale liquidazione
(come detto intervenuta con riguardo ad un infortunio verificatosi
prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 38/2000 e dunque
dell’estensione della copertura assicurativa obbligatoria dell’INAIL
anche al danno biologico) – cfr. Cass. 10 marzo 2016, n. 4025;
Cass. 5 maggio 2010, n. 108934 ed ancora Cass. 15 settembre
1995, n. 9761; Cass. 11 giugno 1994, n. 5683 -;
nell’ipotesi, dunque, di infortunio precedente all’entrata in
vigore del d.lgs. n. 38/2000, l’esonero del datore di lavoro dalla
responsabilità civile per i danni subiti dal lavoratore infortunato e la
limitazione dell’azione risarcitoria di quest’ultimo al cosiddetto
danno differenziale non riguardano quelle componenti del danno
che non formano oggetto della copertura assicurativa, quali il
danno alla salute, o biologico, ed il danno morale di cui all’art. 2059
cod. civ., l’integrale risarcimento dei quali può sempre essere

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discussione tra le parti;

R. Gen. N. 13350/2013

richiesto autonomamente, e non a titolo di danno differenziale,
indipendentemente dall’entità dell’indennizzo assicurativo;
2.1. con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e
falsa applicazione dell’art. 10 del TU n. 1124/1965, dell’at. 68 del
d.P.R. n. 164/1956, dell’art. 13 del d.lgs. n. 38/2000, degli artt.

fatto decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti;
lamenta l’omessa considerazione del concorso di colpa del
lavoratore;
2.2. il motivo non è fondato;
questa Corte ha già affermato (v. Cass. 13 gennaio 2017, n.
798; Cass. 5 dicembre 2016, n. 24798; Cass. 13 febbraio 2012, n.
1994, Cass. 8 aprile 2002, n. 5024) che in tema di infortuni sul
lavoro e di cd. rischio elettivo, premesso che la ratio di ogni
normativa antinfortunistica è quella di prevenire le condizioni di
rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza,
imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della
tutela, la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto
ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile
ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive
ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare
condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da
svolgere;
in assenza di tale contegno, l’eventuale coefficiente colposo del
lavoratore nel determinare l’evento è irrilevante sia sotto il profilo
causale che sotto quello dell’entità del risarcimento dovuto;
nella specie non risulta che fosse stato posto in essere dal
lavoratore un comportamento abnorme, inopinabile ed esorbitante
risultando a tal fine del tutto irrilevante l’essere il medesimo
‘inciampato’ nei pressi dell’apertura del solaio, lasciata priva di

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1218, 1227, 1374 e 2087 cod. civ. nonché omesso esame di un

R. Gen. N. 13350/2013

parapetto e di tavole salvapiede, dalla quale era poi precitato
cadendo giù da un’altezza di otto metri;
3.1. con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e
falsa applicazione dell’art. 10 del TU n. 1124/1965, dell’at. 68 del
d.P.R. n. 164/1956, dell’art. 13 del d.lgs. n. 38/2000, degli artt.

fatto decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti;
lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato che la
consulenza tecnica fosse in netto contrasto con gli stessi esiti
dell’accertamento dell’INAIL;
il motivo è infondato;
innanzitutto non ha formato oggetto di censura il passaggio
motivazionale della sentenza impugnata in cui analogo rilievo
sottoposto al giudice di appello è stato ritenuto inammissibile per
non aver l’appellante denunciato specifici errori in cui sarebbe in
corso il c.t.u.;
in ogni caso, operando l’accertamento dell’INAIL e quello
dell’ausiliare del Giudice su un piano diverso (nell’un caso in vista
dell’accertamento della riduzione della capacità lavorativa generica,
nell’altro caso ai fini della verifica dell’esistenza di una lesione
all’integrità psico-fisica, indipendentemente dalle conseguenze sulla
capacità lavorativa dell’interessato prodotte dal medesimo evento
lesivo), non è idoneamente ipotizzabile alcuna necessaria
automatica convergenza dei giudizi resi nei differenti ambiti
valutativi;
4.1. con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione del
DM 12/7/2000, dell’art. 11 preleggi nonché omesso esame di un
fatto decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti;

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1218, 1227, 1374 e 2087 cod. civ. nonché omesso esame di un

R. Gen. N. 13350/2013

lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto corretta la
decisione del Tribunale che aveva ritenuto applicabile

l’ius

superveniens costituito dal D.M. 12/7/2000;
4.2. il motivo è infondato;
la Corte territoriale ha ritenuto che il Tribunale, nella dichiarata

D.M. 12 luglio 2000, abbia in modo condivisibile utilizzato i criteri
di liquidazione ivi contenuti in via parametrica;
a prescindere dalla questione della correttezza della lettura
della sentenza di primo grado sul punto, è evidente che i giudici di
appello, con autonoma argomentazione, abbiano ritenuto che il
riferimento alle tabelle di cui al D.M. 12 luglio 2000 potesse valere
quale criterio parametrico in mancanza di altro, legale, utilizzabile
in concreto;
ad avviso della Corte territoriale tale criterio prescelto era
idoneo a garantire uniformità di trattamento a fronte di casi
analoghi per essere espressivo di una valutazione di lesioni di
identica natura con carattere generale;
tale ragionamento non è censurabile;
questa Corte ha, infatti, ritenuto che al fine della liquidazione
equitativa del danno biologico lamentato e richiesto nei confronti
del datore di lavoro, è ben possibile il ricorso alla misura degli
indennizzi fissati nelle tabelle INAIL, elaborate per la liquidazione
del danno biologico di origine lavorativa, estesa nell’ambito
dell’assicurazione obbligatoria con riguardo agli infortuni sul lavoro
verificatisi e alle malattie professionali denunciate a decorrere dalla
data di pubblicazione del suddetto decreto ministeriale, e cioè dal
25 luglio 2000, con conseguente corrispondente esonero del datore
di lavoro dalla responsabilità civile (v. Cass. 17 luglio 2015, n.
15074; Cass. 8 febbraio 2011, n. 3048);

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consapevolezza della inapplicabilità diretta, ratione temporis, del

R. Gen. N. 13350/2013

l’utilizzo del criterio equitativo non è, peraltro, sindacabile in
sede di legittimità se non per l’assenza di congrue, anche se
sommarie, ragioni poste a fondamento del processo logico
attraverso cui si è pervenuti alla decisione (Cass. 7 marzo 2003, n.
3414; Cass. 3 agosto 1995, n. 8501; Cass., Sez. U, 29 ottobre,

nella specie la Corte di appello ha sufficientemente chiarito, nei
termini sopra riportati, le ragioni per le quali ha ritenuto che le
indicate Tabelle costituissero un idoneo ed appropriato parametro
di riferimento per la liquidazione del danno biologico;
5. conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato;
6. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
7. va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, del
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co.
17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento,
in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di
legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00
per compensi professionali, oltre accessori come per legge e
rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso
articolo 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 22 febbraio 2018

1984, n. 5537);

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