Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19632 del 18/09/2020

Cassazione civile sez. III, 18/09/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 18/09/2020), n.19632

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G.N. 2391/2019 proposto da:

RIS MA SRL, in persona del rappresentante p.t. S.G.,

elettivamente domiciliata in ROMA, C.SO D’ITALIA 97, presso lo

studio dell’avvocato PIETRO ADAMI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BARBARA FERRETTI;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ FILARMONICO DRAMMATICA SDF, in persona del Presidente p.t.

R.E., nonchè B.E. e T.M., eredi di

B.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE

BELLE ARTI 7, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA FERRANTI,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIACOMO MARIA PERRI;

– controricorrenti –

e contro

B.A.;

– intimata –

per la cassazione della sentenza n. 1904/2017 della CORTE D’APPELLO

di ANCONA, depositata il 24/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/07/2020 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

RIS. MA. S.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza n. 1904/2017 emessa dalla Corte d’Appello di Ancona, pubblicata il 24 ottobre 2018 e notificata tramite PEC il 31 ottobre 2018, formulando due motivi, illustrati con memoria.

Resistono con controricorso la società Filarmonico Drammatica, T.M. e B.M., quali eredi di B.G..

La causa nasce da un contratto, dalle parti denominato affitto d’azienda, stipulato il 20.02.96, con il quale l’Associazione Filarmonico Drammatica concedeva a RIS.MA. il godimento del complesso immobiliare (OMISSIS), comprendete ristorante, piscina, campi da tennis, palestra, spogliatoi, etc. Quale controprestazione, oltre al pagamento dei canoni, RIS.MA. avrebbe gestito il complesso per conto della Filarmonico Drammatica, garantendo ai soci la possibilità di usufruire delle attrezzature sportive alle condizioni pattuite. Per contratto, l’ordinaria manutenzione sarebbe stata a carico di RIS.MA e la straordinaria manutenzione a carico della Filarmonico Drammatica.

Il Tribunale di Macerata, pronunciandosi su tre procedimenti riuniti – il n. 1930/2002, promosso da Filarmonico Drammatica contro RIS.MA., per ottenere il risarcimento dei danni all’immobile, il pagamento delle somme necessarie a realizzare le opere previste dal contratto, la retrocessione delle quote associative, il corrispettivo delle utenze telefoniche dal 1996 al 15.03.1999, l’indennizzo per la occupazione di una stanza, originariamente riservata alla Filarmonico Drammatica, ed il risarcimento del danno; il n. 1971/2006, promosso da RIS.MA. contro Filarmonico Drammatica, avente ad oggetto la richiesta di condanna di quest’ultima (nonchè personalmente, ex art. 38 c.c., del Presidente della stessa B.G.) al rimborso di oneri per opere eseguite da essa conduttrice per il rifacimento della centrale termica, per interventi di riparazione dell’impianto termico e di illuminazione, per spese sopportate per l’eliminazione di vizi della piscina, per la realizzazione di opere di straordinaria manutenzione sostenute dal 2005 alla scadenza del contratto, per il pagamento di sanzioni amministrative, per il risarcimento dei danni derivanti da perdite d’acqua della piscina; il n. 1774/2007, promosso da RIS.MA. contro Filarmonico Drammatica nonchè contro B.G., per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla perdita d’acqua della piscina, il rimborso di talune spese di manutenzione straordinaria, la perdita dell’indennità di avviamento – con sentenza n. 984/2016, riconosceva alla Società Filarmonico Drammatica un credito complessivo di Euro 1.123.220.32 ed a RIS.MA un credito complessivo di Euro 258.539,71, poneva in compensazione i reciproci crediti e condannava RIS.MA al pagamento di Euro 864.680,61 oltre agli interessi al saggio legale fino al soddisfo.

La sentenza veniva impugnata in via principale da RIS.MA S.r.l. ed in via incidentale dalla società Filarmonico Drammatica. Ai fini che qui interessano, la sentenza rigettava l’appello incidentale ed in parziale accoglimento di quello principale rideterminava le somme spettanti alla Società Filarmonico Drammatica in Euro 358.403,34 riconosceva alla RIS.MA un credito di Euro 258.540,01. La questione ancora controversa è la condanna dell’odierna ricorrente al pagamento di Euro 199.600,00, per omessa manutenzione ordinaria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 1576, 2697 e 1218 c.c.

La tesi argomentata è che il giudice dell’appello abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata ed abbia omesso di individuare il nesso di causa tra il difetto di manutenzione ordinaria e il degrado della struttura. La determinazione in Euro 199.600,00 dell’ammontare del danno derivante da omessa manutenzione ordinaria sarebbe avvenuta sulla base dell”acritico recepimento “delle risultanze contabili della CTU dell’ing. S.”, trascurando che al momento della consegna del complesso immobiliare non era stato stilato alcun verbale di consistenza circa lo stato dell’immobile, che la struttura era già vecchia di 20 anni, che il CTU si era trovato nell’impossibilità di stabilire in che misura lo stato di degrado (da ovviare con la spesa di Euro 199.600,00) dipendesse dal difetto di manutenzione ordinaria (contrattualmente a carico della RIS.MA) oppure dal difetto di manutenzione straordinaria (contrattualmente a carico della Filarmonico Drammatica). In particolare, la Corte d’Appello, incorrendo in errore, avrebbe dato rilievo all’art. 4 del contratto intercorso tra le parti, con cui l’affittuaria dava riscontro del “buono stato di condizione e manutenzione” dei beni locati, dopo “averli esaminati e fatti verificare tutti da tecnico di sua fiducia”, avrebbe, quindi, applicato l’art. 1590 c.c., comma 2, secondo cui, in mancanza di descrizione, si presume che il conduttore abbia ricevuto la res in buono stato di manutenzione, e prendendo in esame solo una parte della CTU, ove si affermava “le poche opere di ordinaria manutenzione sono state eseguite in maniera approssimativa e a volte in modo indecoroso non seguendo i minimi dettami della buona regola dell’arte”, avrebbe reputato provato che i beni affittati fossero stati riconsegnati in condizioni peggiori rispetto a quelle in cui versavano all’epoca dell’inizio del rapporto, che le predette condizioni fossero effettivamente determinate dalla mancata manutenzione ordinaria, non solo equivocando sulla natura delle opere di manutenzione ordinaria, avendovi fatto rientrare anche la mancata pavimentazione e/o rifacimento della impermeabilizzazione e la irregolare esecuzione dell’originario massetto, ma senza tener conto che ben tre C.T.U. avevano escluso che potesse determinarsi la specifica efficienza causale della omessa manutenzione ordinaria sulle condizioni dell’immobile, essendo quest’ultima il risultato anche della sua vetusta e della mancanza di manutenzione straordinaria. Con la conseguenza che la società Filarmonico sarebbe stata esonerata dall’onere di provare il nesso di derivazione causale tra il danno lamentato e l’inadempimento dell’obbligo di provvedere alla manutenzione ordinaria del complesso aziendale.

Il motivo è inammissibile.

In primo luogo va osservato che non è stata attinta da censura la statuizione con cui la Corte d’Appello ha ritenuto che “nella consulenza S. la determinazione di costi di rispristino è stata effettuata tenendo conto dello stato di vetustà dell’immobile, delle carenze costruttive e/o di manutenzione straordinaria non imputabili alla conduttrice, e che è stata applicata una riduzione di spesa del 15% in considerazione dei maggiori standard di finitura rispetto a quelli presenti al momento dell’inizio della locazione (cfr. pagg. 30/32 CTU S.)”.

Da essa si evince che la somma di Euro 199.600,00 era stata determinata proprio considerando tutti gli elementi che, invece, secondo la ricorrente, non sarebbero stati esaminati: vetustà del bene, carenze costruttive e/o di manutenzione straordinaria non imputabili alla conduttrice.

Ribadito che alcun rimprovero può muoversi alla sentenza che recepisca “per relationem” le conclusioni ed i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, ancorchè si limiti a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini esperite e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione” (Cass. 11/5/2012, n. 7364; Cass. 14/2/2019, n. 4352; Cass. 20/04/2020, n. 7947) si rivelano del tutto inconferenti le censure che la ricorrente muove alla sentenza impugnata in merito all’adozione di una nozione errata di lavori di manutenzione ordinaria, giacchè proprio con riferimento alla omessa manutenzione ordinaria sono stati determinati gli importi dovuti dall’odierna ricorrente, al fatto che l’onere della prova incombente sulla società Filarmonico fosse stato soddisfatto con il ricorso ad una CTU, la quale sarebbe illegittimamente utilizzata per sopperire alle lacune probatorie, giacchè va rilevato che al CTU può essere affidato non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (Cass. 14/03/2016, n. 4899). Con specifico riguardo poi alla violazione del principio della distribuzione dell’onere della prova deve rilevarsi che il giudice a quo ha ritenuto che la prova dell’an del danno derivasse dalla differenza in senso peggiorativo dello stato dell’immobile al momento della restituzione rispetto a quello della consegna e che detto peggioramento derivasse “anche” dalla omessa manutenzione ordinaria.

Le censure della ricorrente, dunque, non colgono nel segno e non sono idonee a scalfire il ragionamento della Corte d’appello nè sotto il profilo logico nè sotto quello giuridico, dovendosi altresì considerare che due pronunce di merito, basandosi sull’accertamento degli stessi fatti, sono giunte alla medesima conclusione quanto al peggioramento dello stato del complesso aziendale al momento della restituzione rispetto a quello che lo stesso aveva al momento della consegna, ad inizio locazione, e che in parte almeno ciò fosse stato determinato dalla non eseguita o non correttamente eseguita manutenzione ordinaria. Il che già precludeva alla ricorrente la possibilità di far valere la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ostandovi quanto prescritto dall’art. 348 ter c.p.c.

Va aggiunto che parte ricorrente si limita a criticare la sentenza affermando in maniera del tutto assertiva che il provvedimento avrebbe tratto conclusioni erronee da un passaggio della CTU del geom. P., omettendo di considerare ogni riferimento alla consulenza dell’Ing. S.. Di tale CTU la ricorrente si limita a lamentare, con ciò peraltro confermando in via indiretta che essa era stata in grado di individuare le opere rientranti nella manutenzione ordinaria, il conteggio di una serie di opere, la n. 23, la n. 24, la n. 25, la n. 26, la n. 27 e la n. 28, la cui realizzazione avrebbe rappresentato un arricchimento per la locatrice, la quale attraverso la manutenzione ordinaria avrebbe arginato le conseguenze negative del normale deperimento del bene dopo dodici anni di locazione.

2. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e art. 1576,2697 e 2118 c.c., art. 115 e 116 c.p.c. e art. 167 c.p.c., attribuendo al giudice a quo l’omesso esame di una circostanza rilevante, discussa fra le parti e decisiva.

La ricorrente denuncia un travisamento della prova, ritenendo l’informazione probatoria riportata e utilizzata dal giudice per fondare la sua decisione diversa e inconciliabile con quella contenuta in un atto processuale, e segnatamente la relazione del CTU P., da cui emergeva l’asserita impossibilità di attribuire il cattivo stato dell’immobile all’omessa manutenzione ordinaria.

Pur dovendosi escludere che il vizio denunciato ricada del divieto di cui all’art. 348 ter, giacchè ad essere censurato non è l’omesso esame di un fatto, ma l’ipotesi dell’utilizzo di una informazione probatoria da parte del giudice per fondare la decisione che risulti diversa ed inconciliabile con quella contenuta nell’atto e rappresentata nel ricorso ” (così, in motivazione, Cass. 05/11/2018, n. 28174), il motivo non merita accoglimento.

Esso è inammissibile sotto il profilo della denunciata violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 La ricorrente non ha posto a confronto la consulenza del geometra P. con quella dell’ing. S., non ha riprodotto i quesiti sottoposti ai due consulenti sì da consentire a questa Corte di accertare se i due consulenti si fossero confrontati sulle medesime questioni e se fossero giunti a conclusioni diverse, non ha fornito alcun elemento da cui evincere perchè si fossero avvicendate più consulenze, non ha dimostrato di avere mosso alla consulenza dell’ing. S. specifiche e circostanziate censure di cui la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto. Si limita a riproporre un passaggio della CTU del geometra P. che si dichiarava impossibilitato a definire, dato lo stato dell’immobile, quale efficienza causale avessero avuto il normale degrado per vetustà, i difetti strutturali, l’omessa manutenzione straordinaria e quella ordinaria, pur rilevando che la manutenzione ordinaria fosse mancata, ma non si fa carico di dimostrare che anche l’ing. S. avesse concordato circa la impossibilità di individuare i lavori di manutenzione ordinaria omessi che avevano contribuito eziologicamente a determinare lo stato complessivo del complesso aziendale; anzi, contraddittoriamente, lamenta che tale CTU abbia considerato di manutenzione ordinaria alcune specifiche opere, lasciando intendere che i lavori di manutenzione ordinaria omessi e ritenuti fonte di danno fossero stati invece dalla CTU S. ben individuati.

Quanto invece alla censura relativa al fatto che la Corte d’Appello abbia posto a suo carico obblighi manutentivi non riconducibili a piccoli lavori di manutenzione ordinaria, va rilevato – al di là della genericità della censura – che a carico di chi affitta un’azienda grava l’obbligo di conservarla in tutte le sue componenti nello stato in cui viene affittata con conseguente obbligo di sostenere tutte le spese necessarie a tale scopo. Sicchè la distinzione tra spese di manutenzione ordinaria e straordinaria – a differenza di quanto avviene per il contratto di locazione di beni non produttivi – deve partire da tale premessa, con la conseguenza che ciò che rientra nel novero dei lavori di manutenzione ordinaria va determinato in negativo, escludendo quelle opere che risultino straordinarie perchè esulano da quelle volte alla conservazione della destinazione economica originariamente impressa al bene concesso in godimento e al ripristino della sua attitudine produttiva. L’alleggerimento degli obblighi manutentivi a carico del locatore è giustificato dal fatto che il conduttore fa proprio il reddito derivante dalla cosa, perciò sostenere le spese di manutenzione ordinaria mantiene l’equilibrio sinallagmatico.

L’assenza di un criterio discretivo certo tra interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria consente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, di adoperare orientativamente al fine di individuare le opere di manutenzione straordinaria l’elenco di cui all’art. 1005 c.c., trattandosi di norma rispondente a criteri di portata generale, applicabili anche ad istituti diversi dall’usufrutto che contiene una indicazione esemplificativa, appunto, delle opere di manutenzione straordinaria (Cass. 03/04/1979, n. 1881). In applicazione di tale indirizzo deve escludersi la fondatezza delle critiche mosse alla sentenza impugnata per avere fatto rientrare nel novero della manutenzione ordinaria gli interventi individuati dal CTU S., risultando essi del tutto compatibili con l’obbligo di mantenere ed eventuale ripristinare l’efficienza produttiva del bene oggetto del contratto.

3. Ne consegue il rigetto del ricorso.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

5. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico della parte ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2020

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