Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19629 del 09/07/2021

Cassazione civile sez. I, 09/07/2021, (ud. 21/05/2021, dep. 09/07/2021), n.19629

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. ROCCHI Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

C.L., rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanbattista

Scordamaglia, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, Via dei

Portoghesi, 12, domicilia per legge;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Catanzaro n. 407/2020 del

6/2/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/05/2021 dal Cons. Dott. Giacomo Rocchi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Catanzaro, con il decreto indicato in epigrafe, ha rigettato il ricorso proposto da C.L. avverso il provvedimento con cui la Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Crotone aveva rigettato la domanda reiterata di protezione internazionale, negandogli il riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione.

Il ricorrente aveva chiesto al Tribunale, in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra; in via subordinata la protezione sussidiaria e, in via ulteriormente subordinata, la protezione umanitaria, previo annullamento del provvedimento impugnato.

Il Tribunale, considerata la natura della vicenda allegata e l’esaustività dell’audizione effettuata in via amministrativa, non aveva proceduto all’audizione giudiziale del ricorrente che, peraltro, non era comparso all’udienza fissata per la comparizione delle parti senza addurre alcun impedimento. Il decreto ricordava che la Corte di Giustizia UE, valutata complessivamente la procedura italiana di esame delle domande di protezione internazionale, aveva concluso nel senso che la stessa garantisce il diritto ad un rimedio effettivo e richiamava le sentenze di legittimità che avevano statuito che l’autorità giudiziaria può statuire de plano, senza necessità di procedere al colloquio personale del richiedente se il ricorso sia manifestamente infondato ovvero la pronuncia venga adottata dopo un esame completo delle circostanze di fatto e di diritto della situazione del richiedente.

Nel decreto si esponevano gli elementi di prova offerti dal richiedente, originario del Gambia, che aveva narrato, nella prima audizione, di essere fuggito dal suo Paese nel (OMISSIS) con l’aiuto di un conoscente e di avere fatto ingresso in Italia nel (OMISSIS), in quanto arrestato dalla polizia e tenuto in cella per 11 giorni senza alcun motivo per aver sostato con l’autovettura a margine della carreggiata.

Sentito a seguito di domanda reiterata, il ricorrente aveva riferito alla Commissione di avere lavorato in Italia come magazziniere senza contratto, di vivere a (OMISSIS) e di lavorare regolarmente con contratto a tempo determinato, di avere frequentato un corso di alfabetizzazione di lingua italiana e, infine, di avere una vita sociale e una fidanzata.

Trattandosi di domanda reiterata di protezione internazionale, il Tribunale premetteva che occorreva tenere conto del primo giudizio valutativo conclusosi con efficacia di giudicato, rimanendo preclusa la rinnovazione tout court del giudizio di credibilità già formulato. Di conseguenza, occorreva effettuare una valutazione dei nuovi elementi offerti dal richiedente, elementi che dovevano attenere alle condizioni personali o alla situazione del suo paese di origine: ma il ricorrente non aveva addotto alcun elemento di novità in relazione alle sue condizioni personali ovvero del Paese di provenienza che potessero legittimare la sua permanenza sul territorio nazionale, né aveva aggiunto nel ricorso al Tribunale alcun elemento di fatto idoneo a superare il giudizio formulato dalla Commissione Territoriale, così rendendo superflua anche una nuova audizione del ricorrente.

Il Tribunale sottolineava che, nel corso dell’audizione, il ricorrente non aveva rappresentato di essere sottoposto al rischio di un danno grave in caso di ritorno al Paese di origine ovvero di essere coinvolto nella violenza di un conflitto armato generalizzato e che non era stata fatta alcuna precisa allegazione in ordine alla pericolosità specifica della zona di provenienza del richiedente; del resto doveva essere escluso che la zona di provenienza del ricorrente fosse interessata da una situazione di violenza indiscriminata o da un conflitto armato.

Con riferimento alla domanda di protezione umanitaria, astrattamente ammissibile in quanto il richiedente asilo aveva presentato la domanda di protezione in data anteriore al 5/10/2018, il Tribunale dava atto che il ricorrente aveva fondato la richiesta di riconoscimento sulla base dell’avvenuta integrazione sociale, deducendo che il suo eventuale rimpatrio avrebbe potuto costituire una violazione del rispetto della sua vita privata e familiare ai sensi dell’art. 8 CEDU, producendo documenti relativi all’attività lavorativa e certificato di residenza.

Secondo il Tribunale, lo svolgimento di un’attività lavorativa non era sufficiente, essendo necessaria la prova della realizzazione di un grado adeguato di integrazione sociale, a sua volta insufficiente salvo che le condizioni del paese di origine siano lesive del nucleo minimo dei diritti della persona. Nel caso del ricorrente, l’attività lavorativa era sporadica e discontinua e la conoscenza della lingua era ad un livello appena approssimativo.

2. Ricorre per cassazione C.L. deducendo, in un primo motivo, violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, comma 1, lett. b) e degli artt. 33 e 40 Dir- CQ. 2013/32/CE nonché omessa valutazione dei nuovi elementi addotti.

Secondo il ricorrente, superato il vaglio di ammissibilità della domanda reiterata da parte della Commissione Territoriale o del Tribunale, la domanda deve essere considerata nuova e meritevole di trattazione oggettiva, in ragione del fatto che il nostro ordinamento non conosce norme tipiche per la valutazione delle domande reiterate.

Se la domanda è ammissibile, la domanda deve essere considerata nuova e il giudizio ha per oggetto pur sempre il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata. Il Giudice, quindi, dovrebbe valutare l’esistenza dei presupposti e dei nuovo elementi introdotti che dovrebbero essere aggiunti a quelli già dedotti al fine di riesaminare complessivamente l’intera domanda.

Di conseguenza, la statuizione secondo cui era preclusa la rinnovazione tout court del giudizio di credibilità già formulato violava detti principi, atteso che il ricorrente aveva allegato l’integrazione sociale e lavorativa. I nuovi elementi imponevano la revisione del giudizio di credibilità e non permettevano di ritenere essersi formato il giudicato sulla medesima.

In un secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa valutazione della credibilità del ricorrente quale fatto controverso nonché violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per violazione del dovere di cooperazione istruttoria.

Il Tribunale aveva ritenuto superflua una nuova audizione del ricorrente sottolineando, peraltro, la mancata comparizione alla prima udienza per la quale, tuttavia, non era prevista l’audizione, cosicché il ricorrente non aveva ragione di essere presente. Alla mancata audizione corrispondeva, peraltro, una conferma apodittica delle decisioni della Commissione Territoriale, senza in alcun modo valutare gli elementi nuovi contenuti nel fascicolo.

In conseguenza del dovere di cooperazione istruttoria, la documentazione lavorativa e di integrazione sociale posta a base della domanda reiterata di tutela necessitava di rilettura in combinato con i fatti e i documenti relativi alla protezione internazionale, seppur prodotti in sede di prima istanza e lo scrutinio circa la credibilità della vicenda non poteva essere pretermessa. Al contrario il Tribunale si era limitato a citare la vicenda del ricorrente senza analizzarla nel merito.

In un terzo motivo il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, comma 1, lett. b), con riferimento alla protezione sussidiaria.

Il Tribunale aveva omesso di considerare che il ricorrente era già stato sottoposto a trattamento inumano o degradante negli 11 giorni di ingiusta detenzione in Gambia. Nel ricorso di primo grado si richiamava il rapporto annuale sui diritti umani reso da Amnesty International 2017 – 2018, nonché il rapporto del Dipartimento di Stato USA del 20/4/2018. DI conseguenza, il Giudice di primo grado aveva interpretato in maniera scorretta le norme relative al riconoscimento della protezione sussidiaria.

Il ricorrente contesta la valutazione dell’attuale situazione del Gambia, ribadendo che non vi è certezza che, in caso di rimpatrio, il richiedendo non verrebbe a trovarsi in una condizione di sicurezza per la sua incolumità, rischiando di essere perseguitato ed ucciso dai militari gambiani, in quanto l’attuale governo non garantisce il rispetto dei diritti umani e di quelli dei detenuti.

In un quarto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, per la mancata comparazione tra l’integrazione sociale e la situazione personale del richiedente.

Il Tribunale, in contrasto con quanto stabilito da questa Corte, aveva affermato che la sola integrazione sociale non è di per sé sufficiente ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria. I Giudici avrebbero dovuto comparare la vicenda personale del ricorrente, perseguitato dalle autorità statuali del paese di origine, e il percorso di integrazione sociale e lavorativa del paese ospitante, considerando che la fuga dal paese di origine e il timore di farvi ritorno avevano causato un notevole sradicamento, assolutamente difficile da ripristinare.

Il ricorrente contesta la valutazione della condizione personale di C. espressa nel decreto: egli, iniziando a lavorare nel febbraio del 2018, aveva manifestato la volontà di inserirsi nel contesto sociale e lavorativo italiano, aveva una buona padronanza della lingua italiana, aveva ottenuto il certificato di nulla osta al matrimonio e, quindi, aveva raggiunto un livello di integrazione sociale equiparabile al radicamento; C. ha un reddito dimostrato dalla Certificazione Unica che gli consente di provvedere ai propri bisogni e, eventualmente, di provvedere alla famiglia. La conoscenza della lingua italiana era ulteriormente migliorata dalla data della sua audizione, risalente al 2018. Dal 22/11/2019 aveva stipulato un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Tenuto conto degli obblighi internazionali incardinati dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, la norma era stata violata dal Tribunale. Il decreto non aveva valutato l’esistenza dei parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), cosicché la decisione doveva ritenersi illegittima, sussistendo i presupposti quanto meno per la protezione umanitaria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, comma 1, lett. b), norma che prevede che la Commissione territoriale dichiari inammissibile la domanda e non proceda all’esame se il richiedente ha reiterato identica domanda dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione stessa senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del Paese di origine.

Di per sé, è evidente che la violazione della norma non sussista, in quanto la domanda reiterata non è stata dichiarata inammissibile, ma è stata rigettata dalla Commissione Territoriale; né, comunque, il ricorrente avrebbe interesse a far valere l’inammissibilità della domanda.

Piuttosto, il riferimento al caso di inammissibilità di cui all’art. 29 cit. viene fatto per rimarcare che, poiché la Commissione Territoriale non aveva dichiarato inammissibile la domanda, pur trattandosi di domanda reiterata, il Tribunale avrebbe dovuto valutarla come nuova e, quindi, avrebbe dovuto esprimere un nuovo giudizio di credibilità, senza essere vincolato a quello espresso nel giudizio instaurato a seguito della prima domanda di protezione internazionale.

Si tratta di tesi infondata: in primo luogo, la scelta della Commissione Territoriale di non dichiarare inammissibile la domanda reiterata non può incidere sugli effetti giuridici delle statuizioni assunte nel precedente giudizio davanti al Tribunale; in secondo luogo, come correttamente osserva il decreto impugnato, una nuova valutazione è sì, richiesta, ma con riferimento agli elementi e alle risultanze nuove esposte con la domanda reiterata; nel caso in esame gli elementi nuovi – che sia la Commissione Territoriale che il Tribunale hanno valutato – non riguardano affatto i motivi della partenza dal Gambia e il timore di persecuzione in caso di ritorno in Gambia ma, piuttosto, la asseritamente raggiunta integrazione sociale nel nostro Paese a seguito dell’ingresso risalente a diversi anni orsono: non a caso, nel corso della nuova audizione da parte della Commissione Territoriale, C. aveva addotto, quale elemento di novità, la sua situazione lavorativa.

Di conseguenza, esattamente il Tribunale ha ritenuto coperta dal precedente giudicato la precedente valutazione in ordine alla credibilità del richiedente, atteso che nella nuova domanda nessun elemento di novità era stata addotta sotto questo profilo.

2. Anche il secondo motivo di ricorso, strettamente collegato al primo, è infondato.

Con riferimento all’omessa audizione del ricorrente, si deve ricordare che, ove venga impugnato il provvedimento di diniego della commissione territoriale e non sia disponibile la videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza di comparizione delle parti ma, se non sono dedotti fatti nuovi o ulteriori temi d’indagine, non ha l’obbligo di procedere all’audizione del richiedente, salvo che quest’ultimo non ne faccia espressa richiesta deducendo la necessità di specifici chiarimenti, correzioni e delucidazioni sulle dichiarazioni rese in sede amministrativa (Sez. 1, Ordinanza n. 25439 del 11/11/2020, Rv. 659659-01); occorre, quindi, che il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti (Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020, Rv. 658982-01).

Nel caso in esame, il Tribunale ha valutato il contenuto della nuova audizione del richiedente davanti alla Commissione Territoriale nonché i documenti prodotti relativi alla situazione lavorativa e non ha ritenuto necessario sentire nuovamente il ricorrente, sottolineando che, nel ricorso introduttivo, non erano stati evidenziati elementi nuovi o diverse interpretazioni della storia dallo stesso riferita.

Il ricorrente non indica affatto su quali aspetti specifici il ricorrente avrebbe potuto fornire chiarimenti al Tribunale rispetto a quanto riferito alla Commissione Territoriale; quanto, poi, alla narrazione relativa ai motivi della partenza dal Gambia e alla pregressa detenzione, si è già osservato che, correttamente – non avendo il richiedente addotto elementi nuovi – il Tribunale ha ritenuto non superabile il giudicato formatosi a seguito del primo procedimento.

3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

Come è noto, il giudice di merito, in ragione del dovere di cooperazione istruttoria, è tenuto ad acquisire informazioni sulla situazione esistente nel Paese di origine e deve indicare, in motivazione, l’autorità (o l’ente) dalla quale provengono le fonti consultate ed anche la data (o l’anno) della loro pubblicazione, in modo tale da consentire alle parti di verificare il rispetto dei requisiti di precisione e aggiornamento richiesti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 (Sez. 1, Sentenza n. 2466 del 03/02/2021, Rv. 660553-01): ciò il Tribunale ha fatto ampiamente con riferimento alla situazione attuale del Gambia, riportando informazioni provenienti da fonti ufficiali e attendibili e assai recenti; ne ha tratto un giudizio di inesistenza del rischio per il ricorrente, in caso di ritorno nel Paese di origine, di essere sottoposto a tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), danno evocato dal ricorrente), anche sottolineando che, nell’audizione davanti alla Commissione Territoriale, C. non aveva affatto rappresentato l’esistenza di tale rischio e che nessuna precisa allegazione era stata fatta negli atti di parte con riferimento ad esso.

Il ricorrente, nel motivo in esame, non fa che contrapporre le informazioni ufficiali sulla situazione del Gambia ampiamente esposte nel provvedimento impugnato ad altre, meno recenti, per sostenere che “diversamente da quanto affermato dal Collegio, in realtà il Gambia attraversa attualmente una fase di transizione legislativa e governativa”: considerazione di merito, che non può avere ingresso in questa sede, e che, comunque, nemmeno dimostra che il rischio negato dal Tribunale sia al contrario esistente.

4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.

Come è noto, ai fini del giudizio di bilanciamento funzionale al riconoscimento della protezione umanitaria, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed a quella alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio. A fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli ele’menti e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni sociopolitiche del Paese d’origine deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone, pertinenti al caso e aggiornate al momento dell’adozione della decisione; conseguentemente, il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di esaminare la documentazione prodotta a sostegno della dedotta integrazione e di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, incorrendo altrimenti la pronuncia nel vizio di motivazione apparente (Sez. 3, Ordinanza n. 22528 del 16/10/2020, Rv. 659032-01). In linea generale, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Sez. U., Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062-02); occorre, d’altro canto, verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298-01).

Il Tribunale ha effettuato tale valutazione, prendendo in esame le dichiarazioni rese dal ricorrente nell’audizione davanti alla Commissione Territoriale e la documentazione relativa all’attività lavorativa del ricorrente. Ne ha tratto una valutazione di non completa integrazione sociale del soggetto, limitata all’attività lavorativa (avviata solo diversi anni dopo l’ingresso in Italia) e ad una conoscenza della lingua non soddisfacente ma, soprattutto, non ha ravvisato il pericolo richiesto in caso di ritorno in Gambia sulla base delle ampie informazioni riportate e della mancanza di specifiche deduzioni da parte del ricorrente.

Tale valutazione – ampiamente argomentata sulla base della documentazione, delle dichiarazioni rese dal ricorrente e delle notizie di diverse fonti autorevoli relative alla situazione nel Gambia – viene contrastata con argomentazioni in fatto dal ricorrente, esplicitamente volte a sollecitare un diverso giudizio di merito da parte di questa Corte che dovrebbe valutare la durata del soggiorno in Italia, la situazione familiare di C. in Gambia nonché la solidità dei legami instaurati in Italia.

In definitiva, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente non sussiste affatto la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, né quella del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, avendo il Tribunale compiuto la valutazione comparativa richiesta dalla normativa.

Nulla sulle spese essendo l’Amministrazione rimasta intimata. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2021

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