Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19623 del 09/07/2021

Cassazione civile sez. I, 09/07/2021, (ud. 19/05/2021, dep. 09/07/2021), n.19623

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16598/2020 proposto da:

O.O., elettivamente domiciliato in Roma Via Del Casale

Strozzi, 31, presso lo studio dell’avvocato Laura Barberio, che lo

rappresenta e difende, in forza di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6311/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/05/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, O.O., cittadino della Nigeria, ha adito il Tribunale di Roma, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere nato a (OMISSIS), dove svolgeva attività come autista; di essersi trasferito all’età di 25 anni nella città di (OMISSIS), per seguire il padre, pastore, che era stato incaricato di funzioni religiose in quella città; di aver perso il padre nel (OMISSIS) in seguito ad un attentato con una bomba nella chiesa di cui era pastore; di essersi unito a un gruppo segreto di informatori, dal nome (OMISSIS), che forniva ai militari nigeriani informazioni sul gruppo (OMISSIS); di essere stato riconosciuto dai terroristi come spia e di aver quindi deciso di fuggire dal suo Paese.

Con ordinanza del 1/2/2017 il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto da O.O. è stato rigettato dalla Corte di appello di Roma con sentenza del 21/10/2019.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso O.O., con atto notificato il 17/6/2020 (tempestivamente tenendo conto della sospensione dei termini per emergenza pandemica dal 9/3/2020 all’11/5/2020) svolgendo due motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, comma 3, e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, relativi all’obbligo di cooperazione istruttoria e vizio di motivazione.

1.1. Il ricorrente lamenta in primo luogo la mancata audizione del richiedente, non espletata neppure in primo grado.

La doglianza è espressa in termini assolutamente generici e non chiarisce gli esatti presupposti sulla base dei quali la richiesta di audizione era stata proposta al Tribunale e posta a fondamento del motivo di appello.

La più recente giurisprudenza di questa Corte, dedicata peraltro ai procedimenti soggetti al giudizio in unico grado dinanzi alle sezioni specializzate in materia di immigrazione ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, ha affermato che nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile. (Sez. 1, n. 21584 del 07/10/2020, Rv. 658982-01; Sez. 1, n. 22049 del 13/10/2020 Rv. 659115-01; Sez. 1 n. 25312 dell’11/11/2020); quest’ultima pronuncia ha precisato che il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza.

Quanto al previgente procedimento con doppio grado di merito, governato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 e dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, questa Corte ha affermato che nel procedimento, in grado di appello, relativo a una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, nell’omessa audizione personale del richiedente, poiché l’obbligo di sentire le parti, desumibile dal rinvio operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 (testo previgente al D.Lgs. n. 150 del 2011), non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice di valutarne la specifica rilevanza, ben potendo il giudice del gravame respingere la domanda di protezione internazionale, che risulti manifestamente infondata, sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo di causa e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa (Sez. 1, n. 8931 del 14/05/2020, Rv. 657904-01).

E ciò in puntuale conformità con gli insegnamenti della Corte di Giustizia Ue, secondo la quale il giudice nazionale chiamato a decidere sul ricorso di un richiedente protezione internazionale, la cui domanda è stata già respinta dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, non è tenuto a procedere all’audizione del richiedente se nel procedimento di primo grado sia stato già sentito dagli organi nazionali competenti. Spetta al giudice adito valutare se sia necessario procedere a un esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto e se sia possibile prescindere dall’audizione basandosi sulle trascrizioni del colloquio personale dinanzi alla Commissione territoriale (Corte giustizia UE, sez. II, 26/07/2017, n. 348 – Moussa Sacko).

1.2. Il ricorrente si duole inoltre delle mancate indagini relative alle persecuzioni nei confronti dei cristiani soprattutto nel Nord del Paese, funestato dagli attacchi del gruppo terrorista (OMISSIS).

Tale censura è del tutto eccentrica e defocalizzata rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata che ha ritenuto non credibile il racconto personale, pure relativamente al preteso trasferimento del richiedente, nativo dell’Edo State e ivi rimasto sino all’età di 25 anni, al seguito del padre nello Stato di Narasawa, sito per vero nel centro della Nigeria.

Le condizioni e i pericoli corsi dai cristiani nel Nord o nel centro della Nigeria sono stati ritenuti irrilevanti per il fatto che secondo la Corte di appello non concernevano il sig. O., proveniente dall’Edo State, nel Sud del Paese, esente dalla minaccia terrorista del gruppo estremista islamico, e comunque sono stati indagati e non sottaciuti nella loro pur irrilevante oggettività.

In tema di protezione internazionale sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la valutazione di non credibilità intrinseca del narrato dal richiedente, salvo il caso in cui essa investe le dichiarazioni relative alla sua provenienza dal territorio in cui è stata allegata l’esistenza di una situazione di conflitto armato interno, non fa venire meno il potere-dovere del giudice di verificare anche d’ufficio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, la sussistenza della dedotta situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno o internazionale, tale da determinare minaccia grave e individuale alla vita o alla persona dei civili (Sez. 1 n. 29578 del 24/12/2020).

1.3. Infine il ricorrente censura la sentenza per aver fatto generico riferimento a una fonte, non debitamente citata (Amnesty International) e non attuale, comunque confutata da fonti più recenti e specifiche da lui prodotte.

La doglianza così proposta appare, per un verso, generica e, per un altro, non pertinente, visto che la pronuncia impugnata si basa sull’irrilevanza della situazione della Nigeria del Nord e sulla non credibilità della provenienza del richiedente da quell’area geografica.

Inoltre il ricorrente ha allegato al ricorso tre documenti (n. 911) senza dar conto se e quando li abbia prodotti nel giudizio di merito e da ritenersi quindi inammissibili ex art. 372 c.p.c..

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione di legge del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e art. 19, comma 2, art. 8, comma 3 e art. 32, comma 3, ante riforma del D.L. n. 113 del 2018, D.Lgs. n. 25 del 2008, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, ante riforma del D.L. n. 113 del 2018, in relazione agli artt. 2 e 117 Cost..

2.1. Il ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia omesso di procedere al necessario giudizio comparativo fra la sua situazione in patria e quella in Italia, come prescritto dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite espressa dalla sentenza n. 24959 del 2019.

Secondo le Sezioni Unite, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato. (Sez. U., n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062-02).

Nella specie la Corte territoriale, sia pur senza riferirsi espressamente al predetto giudizio di comparazione, vi ha concretamente proceduto, escludendo, da un lato, la sussistenza di uno stato di vulnerabilità fisica o psicologica che ostacolerebbe il reinserimento del ricorrente nel suo Paese, e, dall’altro, evidenziando l’assenza di dimostrazione di un percorso di integrazione in Italia da parte sua.

A fronte di ciò il ricorrente si limita ad una labiale invocazione del predetto bilanciamento senza riferire neppure quali elementi avrebbero dovuto essere considerati e affermando in modo del tutto apodittico, senza il benché minimo riferimento agli atti, che il ricorrente sarebbe “ormai assolutamente ben integrato come documentato e come la stessa Corte ammette essere documentato”, affermazione quest’ultima palesemente contraria all’evidenza della sentenza impugnata.

3. Il ricorso deve quindi essere rigettato. Nulla sulle spese in difetto di rituale costituzione dell’Amministrazione.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2021

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