Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19620 del 26/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 26/09/2011, (ud. 24/06/2011, dep. 26/09/2011), n.19620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PREDEN SERGIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.A., A.A., S.S.L., R.

G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CARLO POMA 2,

presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE, che li

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 396/2007 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 27/10/2007 r.g.n. 555/06 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/06/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI per delega in RICCIO ALESSANDRO;

udito l’Avvocato ASSENNATO SANTE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 27.10.2007 la Corte di Appello di Brescia respingeva gli appelli riuniti proposti avverso la sentenza del Tribunale, con cui erano stati accolti i ricorsi dei lavoratori epigrafati, diretti all’accertamento del loro diritto ai benefici previsti dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8. Rilevava la Corte territoriale che non poteva condividersi la tesi del Tribunale, secondo cui non era necessaria la valutazione delle quantità di polveri inalate una volta che fosse incontestata la presenza di amianto nell’ambiente di lavoro, e disposta ctu ambientale, all’esito della stessa, osservava che, in relazione all’esposizione cumulativa media alle fibre di amianto nell’arco del periodo decennale di attività lavorativa da ciascuno degli appellati espletata, sussistesse il presupposto di legge per la conferma del diritto al beneficio già riconosciuto.

Propone ricorso per cassazione l’INPS, affidando l’impugnazione a due motivi. Resistono i lavoratori con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Lamenta l’INPS, con il primo motivo di ricorso, la violazione della L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13 del D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31 del D.Lgs. n. 257 del 2006, art. 2 e del D.L. n. 269 del 2003, art. 47 convertito in L. n. 326 del 2003.

L’stituto si duole perchè la Corte, dopo avere individuato gli specifici periodi di lavoro svolti dal R. e A. in costanza di esposizione all’asbesto in misura superiore al limite di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 24 ha esteso in modo non condivisibile l’applicazione del coefficiente moltiplicatore anche a periodi di lavoro nel corso dei quali l’esposizione all’amianto non aveva raggiunto la richiesta soglia minima.

Ritiene erroneo il sistema di calcolo fondato sul criterio dell’esposizione cumulativa media ovvero della concentrazione espositiva media nei diversi anni considerati, calcolata sommando tutti i valori espositivi registrati nel corso dello svolgimento dei rapporto di lavoro e dividendo il risultato per il periodo di tempo cui le rilevazioni si riferiscono.

Rileva la contrarietà dell’operazione interpretativa alla normativa di riferimento in tema di limite massimo della concentrazione di amianto, che consente il ricorso alla utilizzazione dei valori medi solo limitatamente alla determinazione dell’esposizione giornalmente patita da lavoratore nell’ambito di un tempo di riferimento di otto ore. Deve, infatti, privilegiarsi, secondo l’istituto ricorrente, l’opzione interpretativa per cui l’intero periodo oggetto di rivalutazione contributiva deve essere caratterizzato da una costante attestazione del rischio su valori superiori a quelli imposti dal D.Lgs. n. 277 del 1991. Ha errato, dunque, a suo dire, la Corte territoriale nel riconoscere il beneficio al R., per il quale l’esposizione alla soglia di 100 fibre per litro non è stata superiore a dieci anni, essendosi protratta solo dal 1 dicembre 1986 al 31 dicembre 1995. Così come ha errato con riguardo alla posizione dell’ A., avendo il C.t.u, rilevato che quest’ultimo, nel periodo dal 1^ ottobre 1991 a 31.1.1994 non aveva mai raggiunto un livello di esposizione pari alla soglia minima.

Con il secondo motivo di ricorso l’INPS denuncia la nullità della sentenza per contrasto tra motivazione e dispositivo in relazione, all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la sentenza di appello confermato la sussistenza dei diritto dei lavoratori fino al 31.12.1996, pure avendo accertato che il diritto sussisteva, dalla data di inizio dei rispettivi rapporti di lavoro, fino al 31.12.1995.

SI primo motivo di ricorso merita accoglimento. Ed invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, pienamente condivisa dal Collegio, In tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’amianto, ai fini del riconoscimento della maggiorazione del periodo contributivo ai sensi della L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8, applicabile (“ratione temporis”, occorre verificare se vi sia stato il superamento della concentrazione media della soglia di esposizione all’amianto di 0.1 fibre per centimetro cubo quale valore medio giornaliero su otto ore al giorno, avuto riguardo ad ogni anno utile compreso nel periodo contributivo ultradecennale in accertamento e non, invece, in relazione a tutto il periodo globale di rivalutazione, dovendosi ritenere il parametro annuale (considerato anche dalle disposizioni successive che hanno ridisciplinato la materia) quale ragionevole riferimento tecnico per determinare il valore medio e tenuto conto, in ogni caso, che il beneficio è riconosciuto per periodi di lavoro correlati all’anno, (cfr. in tali termini, Cass. 26 febbraio 2009 n. 4650 e, da ultimo, Cass., ord sez. 6, 30.7,2010 n. 17916).

Tale giurisprudenza è in linea con quanto osservato dal giudice delle leggi, che ha ripetutamente rilevato che la norma in esame ha una portata precettiva delimitata dalla previsione del periodo temporale minimo di esposizione a rischio e dalla riferibilità a limiti quantitativi inerenti alle potenzialità morbigene dell’amianto contenuti nel D.Lgs. n. 277 del 1991 e succ. modifiche (v. sent n. 5/2000 e n. 434/2002) e, pertanto, si correla all’esigenza di individuare una soglia di esposizione al rischio che valga a dare concretezza alla nozione di esposizione all’amianto presa in considerazione dalla disposizione di legge, che non contiene, nella mera formulazione letterale, quegli elementi di delimitazione del rischio, quali sono, invece, rappresentati, nella previsione del comma 6, dal particolare tipo di lavorazione (nelle cave o nelle miniere di amianto), o, in quella del comma 7, dalla insorgenza di una malattia professionale correlata all’esposizione stessa. In tal contesto, si è, quindi, precisato, con orientamento che può ritenersi ormai acquisito, che, del riferimento complessivo al D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 21 e 34, è rilevante in concreto il dato emergente dalla prima norma, la quale indica (o meglio, indicava, stante l’abrogazione di tutto il capo 3A del D.Lgs. n. 277 del 1991, comprendente sia l’art. 24 che l’art. 31, da parte del D.Lgs. 25 luglio 2006, n. 257, art. 5 che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 2003/18/CE del 27 marzo 2003) il valore di 0,1 fibre di amianto per centimetro cubo, in rapporto ad un periodo lavorativo di otto ore, quale soglia li cui superamento implica, la valutazione della relativa posizione di lavoro come esposta ad un rischio qualificato e concreto, richiedente l’adozione di apposite misure di prevenzione e monitoraggio (quali l’obbligo di notifica all’organo di vigilanza, l’informazione periodica a lavoratore circa i rischi, la delimitazione dei luoghi esposti al rischio, con restrizione di accesso ai medesimi e messa a disposizione in favore dei lavoratori dei mezzi individuali di protezione, la misurazione periodica dei livelli di esposizione, l’apprestamento di particolari misure in ordine agli indumenti di lavoro) (v, ad esempio, Cass. 16256/2003; Cass. n. 16119/2005; Cass. n. 400/2007; Cass. n. 18495/2007; Cass. n 29660/2008; Cass. n 349/2009; e , in particolare, Cass. 4650/2009, che ha rimarcato l’esigenza di avere riguardo al parametro annuale).

Considerato, pertanto, che per i lavoratori R. ed A. pacificamente è emerso che nell’ambito del periodo decennale la soglia di esposizione al rischio suddetta, secondo i parametri indicati dal Ctu conformi alla normativa richiamata, non era stata raggiunta nell’intero periodo di riferimento, deve condividersi la censura nei termini indicati dall’istituto ricorrente.

Di conseguenza, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio (ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ultimo periodo), in relazione al motivo di ricorso accolto, in quanto la causa può essere decisa nel merito, sulla base del principio di diritto enunciato – senza che siano necessari all’uopo accertamenti di fatto – e, per l’effetto: va rigettata la domanda dei lavoratori R. ed A. di rivalutazione contributiva dei periodi lavorativi da ciascuno di essi espletati.

Quanto agli altri lavoratori e con riguardo al secondo dei motivi di impugnazione, occorre considerare che, nel rito del lavoro, la contraddittorietà tra dispositivo e motivazione della sentenza da luogo a nullità che si converte in motivo di gravame, prevalendo, in difetto di impugnazione, il dispositivo (cfr. Cass. 8 marzo 2001 n. 3354), ma che, nella specie, avendo sostanzialmente la controparte convenuto sulla incoerente formulazione dei dispositivo che, a suo giudizio, bene avrebbe potuto consentire il ricorso alla procedura di correzione della sentenza ex art. 288 c.p.c. da parte del giudice del mento, ugualmente possa decidersi la causa nel merito, cassandosi senza rinvio la sentenza anche in relazione a tale motivo di ricorso.

Ed invero, pure in presenza di nullità del relativo capo della decisione, essendo accertati gli elementi di fatto a sostegno della decisione, è possibile la declaratoria del diritto degli stessi lavoratori al beneficio richiesto soltanto fino al 31.12.1995.

La peculiarità della, questione ed il consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale favorevole all’istituto nelle more del giudizio giustificano la compensazione per l’intero delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le domande di R. ed A.;

dichiara il diritto degli altri al beneficio richiesto sino al 31.12.1999. Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2011

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