Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19616 del 18/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 18/09/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 18/09/2020), n.19616

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – rel. Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19699-2014 proposto da:

Z.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MAURIZIO DISCEPOLO;

– ricorrente –

contro

REGIONE MARCHE, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE, 71, presso

lo studio dell’avvocato ANDREA DEL VECCHIO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GABRIELLA DE BERARDINIS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 279/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 11/04/2014 r.g.n. 1/2014.

 

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 11 aprile 2014 la Corte d’appello di Ancona accoglie l’appello della Regione Marche avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede n. 630/2013, e, per l’effetto, esclude l’avvenuto svolgimento di mansioni superiori da parte di Z.A.;

che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il dipendente, che inizialmente ha stipulato un contratto di collaborazione continuata e continuativa, successivamente è stato assunto dalla Regione con contratto a tempo determinato e, in sede di stabilizzazione, è stato inquadrato come dipendente a tempo indeterminato della Regione Marche dal 28 marzo 2011, nella categoria D, posizione economica D1.1 con profilo professionale di “funzionario amministrativo contabile”;

b) nel ricorso introduttivo ha rivendicato l’inquadramento del superiore profilo professionale di “funzionario amministrativo contabile esperto” categoria D posizione giuridica ed economica D.3.1, dalla data di stipulazione del contratto in forma di collaborazione coordinata e continuativa (15 aprile 2003);

c) nella sentenza impugnata è stato riconosciuto l’inquadramento superiore a decorrere dalla stabilizzazione e per il periodo precedente è stato riconosciuto il trattamento retributivo e previdenziale corrispondente a tale inquadramento;

d) tali riconoscimenti sono stati basati sullo svolgimento di mansioni corrispondenti al D3, fin dal rapporto come co.co.co.;

e) esclusa la possibilità dell’attribuzione del superiore inquadramento, visto che la stabilizzazione è facoltativa, presuppone la disponibilità di un posto in pianta organica e nella specie è stata effettuata per il livello D1 accettato dall’interessato, quanto al trattamento retributivo va osservato che il dipendente non ha assolto l’onere probatorio a suo carico in ordine allo svolgimento delle mansioni superiori, con riguardo al valore della prestazione resa;

che avverso tale sentenza Z.A. propone ricorso affidato a due motivi, al quale oppone difese la Regione Marche, con controricorso;

che entrambe parti depositano anche memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è articolato in due motivi;

che con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2126 c.c., rilevandosi, in primo luogo, che sulla natura subordinata di tutto il rapporto intercorso con la Regione Marche (a decorrere dall’8 luglio 2003) si è formato il giudicato interno in quanto la Corte d’appello non ha messo in discussione l’affermazione sul punto contenuta nella sentenza di primo grado;

che si aggiunge che la Corte d’appello ha negato lo svolgimento delle mansioni proprie dell’inquadramento in D3 senza alcuna motivazione in diritto, ma solo rilevando la mancata allegazione di prove da parte del dipendente, mentre avrebbe dovuto casomai riconoscere il trattamento proprio di D1 a partire dall’8 luglio 2003;

che con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della DGR 2751/2001, applicativa nella Regione Marche del CCNL di categoria del 1999, sostenendosi l’erroneità della sentenza impugnata perchè del tutto apoditticamente ha negato il trattamento proprio del livello D3 per il periodo successivo alla stabilizzazione (1 febbraio 2008), senza considerare che le mansioni svolte sono sempre rimaste invariate;

che il ricorso va dichiarato inammissibile;

che il primo motivo è inammissibile in quanto la Corte d’appello nella sentenza impugnata ha esclusivamente escluso lo svolgimento delle mansioni superiori proprie dell’inquadramento in D3 ma, come riconosce lo stesso ricorrente, non ha modificato la sentenza del Tribunale sul punto relativo alla riconosciuta natura subordinata del rapporto, nè la Regione ha posto in dubbio tale statuizione (proponendo ricorso incidentale al riguardo);

che, pertanto, la censura è inammissibile, per difetto d’interesse, in quanto con essa si deduce la violazione di norme giuridiche che non spiega alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte e che risulta diretta, quindi, all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico;

che è jus receptum che l’interesse all’impugnazione, che costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 c.p.c. – debba essere apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile, alla parte, dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata (vedi, ex plurimis: Cass. 11 luglio 2014, n. 16016; Cass. 16 marzo 2011, n. 6150; Cass. 25 giugno 2010, n. 15353; Cass. 23 maggio 2008, n. 13373; Cass. 28 aprile 2006, n. 9887; Cass. 26 luglio 2005, n. 15623; Cass. 27 gennaio 2006, n. 1755).

che è altrettanto pacifico che il suddetto vizio è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, anche in mancanza di contrasto tra le parti sul punto, poichè costituisce un requisito per la trattazione della domanda (vedi, per tutte: Cass. 29 settembre 2016, n. 19268);

che anche il secondo motivo è inammissibile per un duplice ordine di ragioni;

che, in primo luogo, deve essere ricordato che soltanto per i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro vale il principio secondo cui se ne può denunciare la violazione o di falsa ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 con trattamento parificato sul piano processuale a quello delle norme di diritto, sicchè, anche la suddetta denuncia comporta, in sede di legittimità, la riconducibilità del motivo di impugnazione all’errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione, senza che sia necessario indicare, a pena di inammissibilità, il criterio ermeneutico violato;

che per tutti gli atti diversi dai suddetti contratti collettivi vale la disciplina ordinaria che comporta la denuncia della mancata osservanza dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., con l’indicazione di quelli che specificamente si intendono violati e il necessario rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione in base al quale il ricorrente, qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali, è tenuto a trascriverne nel ricorso il contenuto essenziale e nel contempo a fornire alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, nonchè per valutarne la corretta allegazione agli atti (di recente: Cass. SU 23 settembre 2019, n. 23552 e n. 23553);

che, nella specie, i suddetti principi non sono stati rispettati con riferimento alla prospettata violazione e falsa applicazione della DGR 2751/2001, applicativa nella Regione Marche del CCNL di categoria del 1999;

che a ciò può aggiungersi che risulta inammissibile anche la denuncia di “apoditticità” della motivazione sull’assenza di mansioni superiori svolte di fatto sia prima che dopo la stabilizzazione, perchè del tutto generica e comunque priva di riscontro nella sentenza impugnata che – sia pure sinteticamente – risulta motivata sul punto indicato;

che, in sintesi, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.

che si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ove il relativo versamento risulti dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate Euro 5000,00 (cinquemila/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2020

 

 

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