Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19614 del 19/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/07/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 19/07/2019), n.19614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 5744 del ruolo generale dell’anno

2018, proposto da:

S.S., (C.F.: (OMISSIS)) avvocato difensore di sè stesso.

– ricorrente –

nei confronti di:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Ministro

pro tempore rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato (C.F.: (OMISSIS)).

– controricorrente –

nonchè

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (C.F.: non indicato), in persona

del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Cagliari n.

2491/2017, pubblicata in data 28 luglio 2017;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 4 aprile 2019 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

RILEVATO

che:

S.S. ha proposto opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi, ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., avverso alcune cartelle di pagamento notificategli dall’agente della riscossione Equitalia Sardegna S.p.A. per crediti di titolarità del Ministero della Giustizia (importi dovuti a titolo di spese di giustizia e accessori, su richiesta dell’ufficio recupero crediti di uffici giudiziari), convenendo in giudizio sia l’agente che l’ente creditore e chiedendo la dichiarazione di nullità delle cartelle opposte, di inesistenza del diritto dell’agente di procedere alla riscossione e comunque dei crediti fatti valere, nonchè il risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale.

Le domande proposte sono state rigettate dal Tribunale di Cagliari.

Ricorre lo Stara, sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’Agenzia delle Entrate – Riscossione (subentrata all’agente della riscossione intimante).

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Il ricorrente ha fatto pervenire a mezzo posta memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Non può prendersi in considerazione la memoria inviata dal ricorrente a mezzo posta (cfr. in proposito Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8835 del 10/04/2018, Rv. 648717 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 7704 del 19/04/2016, Rv. 639477 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 182 del 04/01/2011, Rv. 616374 – 01: “l’art. 134 disp. att. c.p.c., comma 5, a norma del quale il deposito del ricorso e del controricorso, nei casi in cui sono spediti a mezzo posta, si ha per avvenuto nel giorno della spedizione, non è applicabile per analogia al deposito della memoria, perchè il deposito di quest’ultima è esclusivamente diretto ad assicurare al giudice ed alle altre parti la possibilità di prendere cognizione dell’atto con il congruo anticipo – rispetto alla udienza di discussione – ritenuto necessario dal legislatore, e che l’applicazione del citato art. 134, finirebbe con il ridurre, se non con l’annullare, con lesione del diritto di difesa delle controparti”) e, di conseguenza, le argomentazioni in essa contenute, peraltro non idonee a superare i motivi di infondatezza del ricorso che si esporranno.

2. Le questioni poste dal presente ricorso sono in buona parte analoghe a quelle già affrontate in due precedenti di questa Corte tra le medesime parti (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2553 del 30/01/2019; Sez. 3, Sentenza n. 2797 del 31/01/2019) in fattispecie sostanzialmente sovrapponibili, decise con pronunzie di espresso valore nomofilattico, emesse all’esito della pubblica udienza della Terza Sezione Civile, nell’ambito della particolare metodologia organizzativa adottata dalla suddetta sezione per la trattazione dei ricorsi su questioni di diritto di particolare rilevanza in materia di esecuzione forzata (cd. “progetto esecuzioni”, sul quale v. già Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 26049 del 26/10/2018, nonchè Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4964 del 20/02/2019), cui si intende dare piena continuità.

Come già osservato nei suddetti precedenti, va quindi in primo luogo rilevato che in questa sede sono ammissibili, e verranno pertanto scrutinati – oltre che le censure per prospettati errori “in procedendo” – esclusivamente i profili di opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c., poichè, come del resto anche evidenziato dal controricorso della difesa erariale, ogni deduzione afferente all’inesistenza del titolo esecutivo e/o comunque al diritto di procedere ad esecuzione forzata, traducendosi in opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., non è suscettibile di ricorso straordinario per cassazione “per saltum” a questa Corte. Ciò in ragione dell’appellabilità delle pronunce sulle opposizioni all’esecuzione di cui all’art. 615 c.p.c., secondo la disciplina applicabile “ratione temporis”, ai sensi della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 49, comma 2.

3.1 Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Ex art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della pronuncia qui impugnata per violazione degli artt. 112, 132 e 277, per mancata pronuncia sulle difese svolte in opposizione e ulteriormente illustrate nelle note autorizzate 5/12/11, nella comparsa conclusionale 2-4/7/16 e di replica 24-25/7/16, (atti n. 1, 3, 5, 6, del fascicolo di primo grado qui prodotto), nella parte che qui occupa e precisamente quella relativa all’obbligo di notifica del titolo giurisdizionale posto a fondamento del ruolo”.

Con il secondo motivo si denunzia “Ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione, in rapporto all’art. 617 c.p.c., -del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, a proposito della formazione delle cartelle; – del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49, a proposito della valenza del ruolo riportato cartella; – del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e della giurisprudenza della Corte intestata in proposito; – del TU n. 115 del 2002, art. 212, – della pronuncia Cassaz. penale 45773/08; – delle Disp. di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, art. 25 in specie; – degli artt. 479-480 c.p.c., e del TU n. 115 del 2002, art. 226; – del principio relativo al divieto di duplicazione del titolo esecutivo; – del principio affermato dalla pronuncia Cassaz. Pen. 45773/08 e ancora da Cassaz. Pen. 7529/11; dei principi affermati dalla pronunce della Cassazione civile 8267/2010 e 22398/09; – del principio di subordinazione delle norme regolamentari alle norme di legge; – dei principi di cui agli artt. 3-24 e 111 Cost.”.

I primi due motivi del ricorso sono logicamente connessi e quindi possono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono per alcuni versi inammissibili e per altri versi manifestamente infondati.

Il tribunale ha espressamente preso in esame (al paragrafo 3 della decisione impugnata) la questione posta dall’opponente, relativa alla omessa notificazione dei titoli giudiziari posti a base delle cartelle di pagamento ed ha rigettato il relativo motivo di opposizione (che qui rileva nella misura in cui esso possa essere qualificato in termini di opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., vale a dire nei limiti in cui con esso è stata proposta una questione di regolarità della procedura di riscossione, senza mettere in discussione la stessa efficacia esecutiva dei provvedimenti giurisdizionali posti a base del ruolo, che costituisce invece motivo di opposizione all’esecuzione, non esaminabile, per quanto precisato in premessa, nella presente sede).

La decisione impugnata, in proposito, risulta del tutto conforme ai principi di diritto costantemente affermati da questa Corte, che il ricorso non contiene argomenti idonei a rivedere e ai quali va data continuità.

Nella procedura di riscossione il titolo esecutivo è costituito dal ruolo e di esso non è prevista una notificazione preventiva rispetto a quella della cartella di pagamento, di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 25 e 26.

Quest’ultima, peraltro, dovendo essere redatta in conformità a modello approvato con decreto del Ministero delle finanze, oltre a contenere l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione (con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata) e l’indicazione della data in cui il ruolo è stato reso esecutivo, ne riporta anche gli estremi ed il contenuto (la cartella, secondo il modello ministeriale, contiene in sostanza un vero e proprio estratto del ruolo).

In altri termini, alla sola notificazione della cartella di pagamento, nella procedura di riscossione esattoriale, sono attribuite dalla legge, contemporaneamente, le medesime funzioni che, nell’esecuzione forzata ordinaria, sono svolte (distintamente, di regola) dalla notifica del titolo esecutivo prevista dall’art. 479 c.p.c., e dell’atto di precetto di cui all’art. 480 c.p.c., (si tratta di una situazione analoga a quella dell’esecuzione forzata fondata su titoli di credito, in cui non è prevista notificazione del titolo esecutivo anteriormente a quella del precetto, che deve peraltro contenere la trascrizione – in tal caso integrale – del titolo stesso; altre ipotesi in cui non è prevista la notificazione del titolo esecutivo anteriormente a quella del precetto, che ne riporta gli estremi e/o il contenuto, ricorrono nell’esecuzione per credito fondiario ed in quella fondata su decreto ingiuntivo non opposto).

Conseguenza e conferma della conformazione e della ratio della descritta disciplina è poi la disposizione di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 57, in base al quale – nella procedura di riscossione – non sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 617 c.p.c., relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo (nel senso appena indicato, cfr., in particolare: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2553 del 30/01/2019, Rv. 652486 – 01; nel medesimo senso, sostanzialmente, cfr. anche: Sez. 3, Sentenza n. 3021 del 08/02/2018, Rv. 647938 – 01).

Ne deriva, da una parte, che la mancata notificazione del titolo esecutivo anteriormente a quella delle cartelle di pagamento non determina affatto la nullità di queste ultime, diversamente da quanto sostenuto dall’opponente e, dall’altra parte (il che è assorbente), che l’opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., per dedurre tale omessa notificazione non è ammissibile (ferma restando la possibilità per l’intimato di contestare la sussistenza dei presupposti per l’iscrizione a ruolo della pretesa creditoria, per qualunque ragione, anche laddove questa sia fondata su provvedimento che si assuma non esistente e/o non efficace prima della sua notificazione, contestazione che costituisce peraltro motivo di opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c.).

3.2 Con il terzo motivo (indicato come “4) QUARTO MOTIVO” nel ricorso) si denunzia “Ex art. 360 c.p.c., n. 5, per il mancato esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”.

Il ricorrente deduce che, nel corso del giudizio di merito, aveva contestato la utilizzabilità degli estratti dei provvedimenti giurisdizionali in base ai quali erano stati iscritti a ruolo i crediti oggetto delle cartelle pagamento, estratti prodotti solo in sede contenziosa dall’amministrazione creditrice, al fine di identificare i titoli stessi e i crediti iscritti a ruolo. A suo dire il Tribunale non avrebbe tenuto conto di questa sua contestazione.

Il motivo è inammissibile, ancor prima che manifestamente infondato.

L’eventuale mancato esame della contestazione cui fa riferimento l’opponente, cioè di una sua deduzione difensiva, non costituirebbe omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, introduce infatti nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (cfr., ex multis: Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018, Rv. 651305 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 14802 del 14/06/2017, Rv. 644485 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014, Rv. 632989 – 01).

In ogni caso, non vi è dubbio che il Tribunale abbia espressamente preso in esame le contestazioni dell’opponente in relazione alla regolarità formale delle cartelle di pagamento, accertando, sulla base di una valutazione di fatto sostenuta da motivazione non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede, che le indicazioni in esse contenute erano sufficienti a consentire l’individuazione dei provvedimenti giudiziari posti a base delle sottostanti iscrizioni a ruolo. Nell’effettuare tale accertamento di fatto non ha affatto valutato gli estratti dei provvedimenti giudiziari prodotti dall’amministrazione in sede di opposizione, oggetto delle contestazioni del ricorrente, come elemento integrativo esterno delle indicazioni riportate nelle cartelle di pagamento e quindi della loro regolarità formale, ma ha fatto ad essi riferimento esclusivamente al fine di confermare l’intelligibilità e l’autosufficienza del contenuto delle cartelle per l’esatta individuazione dei provvedimenti giudiziari in questione.

3.3 Con il quarto motivo (indicato come “5) QUINTO MOTIVO” nel ricorso) si denunzia “In relazione alle spese liquidate dal Tribunale, in Euro 3.725,25. Violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.. Violazione del D.M. n. 55 del 2014, e del Regolamentosui parametri”.

L’assunto del ricorrente, secondo il quale il tribunale avrebbe dovuto disporre la compensazione delle spese del giudizio di merito, è manifestamente infondato. Essendo stata la sua opposizione integralmente rigettata, il giudice del merito ha correttamente applicato il disposto dell’art. 91 c.p.c., secondo il quale la parte soccombente va condannata al rimborso delle spese in favore di quella vittoriosa (cd. principio di soccombenza).

Del resto, la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 – 01; conf., in precedenza: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 851 del 01/03/1977, Rv. 384463 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1898 del 11/02/2002, Rv. 552178 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10861 del 24/07/2002, Rv. 556171 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003, Rv. 572524 – 01; successivamente: Sez. 3, Sentenza n. 22541 del 20/10/2006, Rv. 592581 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 28492 del 22/12/2005, Rv. 585748 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7607 del 31/03/2006, Rv. 590664 – 01). Del pari manifestamente infondato è l’ulteriore assunto secondo cui le suddette spese avrebbero dovuto essere liquidate mediante l’applicazione dei valori tariffari minimi dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, (in considerazione del basso valore della controversia nell’ambito dello scaglione di riferimento).

La liquidazione delle spese processuali, nell’intervallo tra i minimi e massimi del parametro tariffario, all’interno dello scaglione di riferimento, non dipende esclusivamente dal valore della controversia, ma da una serie di ulteriori parametri, la cui valutazione è rimessa alla discrezionalità del giudice del merito.

Il ricorrente non deduce nè che siano stati violati i valori massimi (e neanche quelli medi, in verità) previsti dallo scaglione di valore di riferimento (valori che nemmeno indica), nè d’altronde richiama in alcun modo altri parametri che avrebbero eventualmente potuto o dovuto indurre il giudice a operare una liquidazione nella misura dei minimi tariffari.

Le censure esposte nel motivo di ricorso in esame non possono quindi trovare accoglimento.

4. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell’amministrazione controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019

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