Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1961 del 28/01/2010

Cassazione civile sez. II, 28/01/2010, (ud. 30/11/2009, dep. 28/01/2010), n.1961

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.M., titolare della Ditta Autocortese, rappresentato e

difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato

Chiaradia Franco, ed elettivamente domiciliato in Roma, via

Dardanelli, presso lo studio dell’Avvocato Angelo Averni;

– ricorrente –

contro

G.S., rappresentato e difeso dall’Avvocato Mortati

Rosita per procura speciale in calce al controricorso, elettivamente

domiciliata in Roma, viale delle Milizie n. 20, presso lo studio

dell’Avvocato Angela Saulle;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 947/07,

depositata in data 17 ottobre 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30 novembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentita, per il resistente, l’Avvocato Rosita Mortati;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

SORRENTINO Federico, il quale ha cosi concluso: nulla osserva.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Castrovillari, ha accolto la domanda proposta da G.S. nei confronti di C.M., titolare della ditta Autocortese, e ha condannato quest’ultimo al pagamento, in favore dell’attore, della somma di Euro 2.582,28 oltre interessi legali dal 5 febbraio 1998 al saldo e alle spese dei due gradi di giudizio;

che C.M. ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, deducendo: “1) violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1940 e 1942 c.c. e art. 183 c.p.c.; mancato assolvimento dell’onere della prova, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3. 2) Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 5”, formulando, conclusivamente, il seguente quesito di diritto: “accerti la Corte se vi è stata falsa applicazione degli artt. 1490 e 1492 c.c. e art. 2697 c.c. e art. art. 183 c.p.c.”;

che ha resistito, con controricorso, il G.;

che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero.

Considerato che il precedente relatore designato, nella relazione depositata il 23 giugno 2009, ha formulato la seguente proposta di decisione:

“… Il ricorso può essere deciso in camera di consiglio, dovendo lo stesso essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5). Ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006, i motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità (art. 375 c.p.c., n. 5) dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), e, qualora – come nella specie – il vizio sia denunciato anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Nella specie, i motivi del ricorso non sono conformi alle prescrizioni dettate dalla citata norma: in primo luogo contengono, al contempo, censure aventi ad oggetto violazioni di legge e vizi di motivazione, costituendo ciò negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 bis c.p.c., (Cass. 9470/2008);

per quanto concerne la violazione di legge, è mancata la separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, che deve risolversi in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa o affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (SU 23732/07); per quel che concerne la denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il motivo non contiene il momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che deve essere separatamente indicato in una parte del ricorso a ciò specificamente deputata e distinta dall’esposizione del motivo, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (S.U. 20603/07): manca la separata e specifica indicazione del fatto controverso e delle ragioni in base alle quali la motivazione sarebbe viziata”;

che il ricorrente ha depositato memoria nella quale si oppone all’accoglimento della proposta del Consigliere delegato;

che il Collegio condivide la proposta di inammissibilità contenuta nella relazione di cui sopra, non risultando le osservazioni del ricorrente tali da indurre a differenti conclusioni;

che, in particolare, per quanto riguarda la formulazione del quesito di diritto, è appena il caso di ricordare come nella giurisprudenza di questa Corte si sia chiarito che “il quesito di diritto prescritto dall’art. 366-bis cod. proc. civ. a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, e deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto” (Cass., n. 4044 del 2009; Cass., S.U., n. 19811 del 2008; Cass., n. 19769 del 2008);

che, per quanto riguarda il denunciato vizio di motivazione, vi è da rilevare che il ricorrente si limita a riprodurre la parte del ricorso che, a suo giudizio, conterrebbe la chiara indicazione del fatto controverso (peraltro, nel ricorso, la censura risulta proposta con riferimento ad un fatto decisivo), ma trattasi di tentativo vano, giacchè, nella sostanza, il fatto controverso, evidenziato mediante sottolineatura, si risolverebbe nella quasi integrale esposizione del motivo di ricorso; senza dire che, dai termini in cui il motivo è formulato, risulta evidente che ciò di cui si duole il ricorrente è l’apprezzamento delle risultanze istruttorie, non integralmente riprodotte in violazione del principio di autosufficienza, piuttosto che le lacune argomentative o i vizi logici della sentenza impugnata;

che, in conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 900,00, di cui Euro 700,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del la Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010

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