Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19608 del 19/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/07/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 19/07/2019), n.19608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16071/2018 R.G. proposto da:

C.G. e Ca.Gi., rappresentati e difesi

dall’Avv. Angelo Magliarisi;

– ricorrente –

contro

Comune di Licata, rappresentato e difeso dall’Avv. Michele Burgio;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo, n. 407/2018,

depositata il 26 febbraio 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 aprile 2019

dal Consigliere Dott. Iannello Emilio.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Palermo, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di risarcimento proposta da C.G. e Ca.Gi. nei confronti del Comune di Licata per i danni subiti in conseguenza del sinistro occorso il (OMISSIS), alle 23,45, allorquando, mentre il Ca. percorreva alla guida dell’autovettura di proprietà della C. la (OMISSIS), transitando su di un tombino fognario privo della copertura, aveva perso il controllo del mezzo ed era andato a urtare violentemente contro un muretto di calcestruzzo che delimitava la sede stradale.

I giudici d’appello hanno infatti rilevato che:

– era incontroverso che la mancanza del tombino fosse riconducibile all’azione di ignoti ladri, posta in essere nella stessa serata (circostanza dedotta dal Comune nella comparsa di costituzione e non contestata dagli attori);

– non vi era prova che il Comune fosse stato tempestivamente avvisato del furto, avvenuto poche ore prima del sinistro, o che avesse avuto la possibilità di intervenire per tempo onde eliminare il pericolo;

– tale circostanza configura caso fortuito, idoneo a interrompere il nesso causale tra “condotta” (così testualmente in motivazione) ed evento.

2. Avverso tale decisione C.G. e Ca.Gi. propongono ricorso per cassazione con unico mezzo, cui resiste l’amministrazione intimata depositando controricorso.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle

parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Con l’unico motivo di ricorso C.G. e Ca.Gi. deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2051 c.c..

La censura poggia in sintesi sulle seguenti affermazioni:

– l’ente convenuto non ha fornito la prova dell’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva idoneo ad interrompere il nesso causale tra la cosa e l’evento lesivo;

– tale prova non può rinvenirsi nella prospettata denunzia del giorno successivo all’evento;

– non si è peraltro in presenza di un fatto eccezionale avendo il Comune dichiarato, nella propria comparsa di costituzione e risposta in primo grado, che “è risaputo che a Licata operano soggetti dediti al traffico illecito di materiale ferroso”;

– erra la Corte d’appello nel ritenere che la circostanza non sia stata contestata atteso che gli attori hanno contestato tutte le eccezioni proposte dal Comune.

2. Il ricorso è inammissibile.

Giova premettere che, in tema di responsabilità per danni da cose in custodia questa Corte, all’esito di una organica rivisitazione della materia, ha fissato i principi che, pienamente condivisi, si richiamano qui per gli aspetti che vengono in rilievo nella fattispecie:

a) “l’art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicchè incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima”;

b) “la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso”;

c) “il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere”.

La Corte d’appello, nell’affermare la ricorrenza nella specie di un caso fortuito (rappresentato dal furto, avvenuto poche ore prima dell’incidente, della copertura in ghisa del tombino che lo ha causato) si è pienamente conformata agli esposti principi, quanto in particolare ai presupposti ed ai caratteri che lo devono contrassegnare.

I ricorrenti, per contro, non hanno indicato quale affermazione in diritto si ponga in contrasto con essi o in che modo nella specie ne abbiano fatto erronea applicazione.

3. Anche la violazione dell’art. 2697 c.c. non è dedotta nei termini in cui può esserlo secondo Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598 (principio affermato in motivazione, pag. 33, p. 14, secondo cui “la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni”; v. anche Cass. n. 23594 del 2017, cit.; Cass. 17/06/2013, n. 15107).

Nella specie è certamente da escludere che nel giungere alla detta conclusione la Corte d’appello abbia fatto erronea applicazione del criterio di riparto dell’onere probatorio; ha infatti deciso nei termini detti per aver ritenuto che la prova del caso fortuito, bensì incombente sull’ente convenuto, fosse desumibile dagli elementi acquisiti.

4. E’ evidente piuttosto che la contestazione attiene al merito della valutazione operata circa l’assolvimento di tale onere e come tale impinge nel diverso piano della sufficienza e della intrinseca coerenza della motivazione adottata.

Attiene in particolare a tale diversa prospettiva censoria il rilievo secondo cui l’eccezionalità dell’evento sarebbe esclusa dalla consapevolezza, ricavabile dalle stesse ammissioni dell’ente convenuto, della riconducibilità del furto al fenomeno criminoso già in precedenza emerso.

A tal riguardo però occorre rilevare che:

– anzitutto, come detto, la doglianza risulta estranea al tipo di vizio dedotto con il ricorso (violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

– comunque essa risulta proposta in palese violazione degli oneri di specificità ed autosufficienza imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6;

– in ogni caso la circostanza non appare neppure decisiva, così come richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, posto che non potrebbe comunque desumersi dal solo fatto del verificarsi in precedenza di fatti delittuosi analoghi la possibilità per il Comune di prevedere e prevenire lo specifico accadimento che nella specie ha determinato il sinistro.

5. Anche la censura infine con la quale si denuncia una erronea applicazione, da parte della Corte di merito, nella specie, del principio di non contestazione, si rivela anzitutto estranea al tipo di vizio dedotto, risolvendosi nella prospettazione di un error in procedendo.

Essa risulta comunque aspecifica avendo omesso i ricorrenti di indicare, nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., n. 6: a) localizzazione nel fascicolo processuale; b) contenuto dell’atto nel quale la circostanza (della contiguità temporale del furto rispetto al verificarsi del sinistro) sarebbe stata da essi specificamente contestata (v. Cass. 22/05/2017, n. 12840).

A tali omissioni non può certo ritenersi offerto rimedio con le indicazioni contenute nelle memoria ex art. 380-bis c.p.c. (a pag. 2 della quale si trascrivono alcune frasi estrapolate dalla comparsa conclusionale del giudizio di primo grado e di quello di appello e si fa inoltre riferimento alle “art. 183 c.p.c., n. 1”).

Ciò anzitutto e in via assorbente perchè l’onere in parola è correlato al ricorso e va pertanto con esso rispettato a pena di inammissiblità; può in ogni caso rilevarsi che anche tali indicazioni si appalesano del tutto inidonee allo scopo (facendosi riferimento generico alla mancata prova del caso fortuito oltre che ad una non meglio precisata circostanza che si dice inveridica) e comunque anch’esse prive di di adeguata localizzazione nel fascicolo processuale rimesso a questa Corte.

6. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019

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