Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19608 del 04/08/2017
Cassazione civile, sez. I, 04/08/2017, (ud. 04/04/2017, dep.04/08/2017), n. 19608
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18847/2015 proposto da:
B.M.L., C.A., C.G.,
C.N., C.T. e C.E., nella qualità di
eredi di C.V., elettivamente domiciliati in Roma, Viale
Giulio Cesare n. 95, presso l’avvocato Bruno Rita, rappresentati e
difesi dall’avvocato Ciliento Lorenzo, giusta procura a margine del
ricorso;
– ricorrenti –
contro
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del
Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi n. 12,
presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA,
depositata il 03/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
04/04/2017 dal cons. MARULLI MARCO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Cilento Lorenzo che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1.1. Con ricorso ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., i ricorrenti hanno chiesto che sia revocata per errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4, l’ordinanza 12343 del 3.6.2014 con la quale questa Corte ha respinto il ricorso da loro proposto avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari 1168/2010 del 20.12.2010 che, riformando in parte qua la decisione di primo grado, aveva respinto perchè nuova, rispetto all’iniziale domanda di corresponsione dell’indennità di occupazione L. 1 giugno 1939, n. 1089, ex art. 43, la domanda intesa a conseguire il risarcimento del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva di un fondo di loro proprietà.
1.2. Nella specie la Corte si è indotta all’adozione della pronuncia revocanda sul presupposto che, rimarcando il giudice d’appello l’ontologica diversità fra la domanda introduttiva e quella proposta in corso di causa, la decisione da esso assunta “appare corretta”, poichè “ammettere la seconda domanda prospettata da parte attrice tardivamente in primo grado comporta violazione dell’art. 184 c.p.c., nel testo applicabile nella specie per mutatio libelli”.
1.3. Il ricorso oggi proposto per la revocazione della detta ordinanza si vale di un solo motivo, seguito da memoria ex art. 378 c.p.c., al quale resiste con controricorso l’intimato.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti imputano all’ordinanza revocanda, pronunciatasi nei riferiti termini, di essere incorsa nel medesimo errore della sentenza appellata poichè, atteso che in citazione era stato richiesto il risarcimento di tutti i danni conseguenti all’occupazione, in tal modo non escludendosi l’eventualità dell’occupazione appropriativa, “se la Corte territoriale ne fosse stata avvertita” non avrebbe trascurato di considerare che la mutatio libelli non consentita dall’art. 184 c.p.c., nel testo applicabile nella specie era solamente quella avente ad oggetto una pretesa diversa da quella originaria, introducendo nel processo un tema di indagine del tutto e completamente nuovo.
1.2. Il motivo è inammissibile.
Va qui ribadito che secondo il costante indirizzo di questa Corte la configurabilità dell’errore di fatto in guisa del quale si rendono applicabili l’art. 395 c.p.c., n. 4 e art. 391-bis c.p.c., presuppone che la decisione appaia fondata, in tutto o in parte, esplicitandone e rappresentandone la decisività, sull’affermazione di esistenza o inesistenza di un fatto che, per converso, la realtà effettiva induce, rispettivamente, ad escludere od affermare, così che il fatto in questione sia percepito e portato ad emersione nello stesso giudizio di cassazione, nonchè posto a fondamento dell’argomentazione logico-giuridica conseguentemente adottata dal giudice di legittimità (Cass., Sez. U, 30/10/2008, n. 26022; Cass., Sez. U, 23/01/2009, n. 1666; Cass., Sez. 3, 9/07/2009, n. 16136).
Esso, dunque, non ricorre, ove come qui si lamenti, non già che la Corte non si sia avveduta di un fatto decisivo risultante dalle carte processuali o abbia ritenuto sussistente un fatto parimenti decisivo che la cognizione processuale dimostri insussistente, ma un errore di giudizio consumato nell’apprezzamento dei fatti pacificamente ed incontestabilmente emersi dal processo, per di più consistente nella denuncia del medesimo errore già imputato dal giudice d’appello ed oggetto per l’appunto del contestato deliberato della Corte, quasi ad ipotizzare che il rimedio della revocazione possa essere utilizzato quale ordinario mezzo di impugnazione delle sentenze della Corte di Cassazione.
2. Il ricorso è dunque inammissibile. Spese alla soccombenza.
Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 4 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017