Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19605 del 18/09/2020

Cassazione civile sez. I, 18/09/2020, (ud. 14/07/2020, dep. 18/09/2020), n.19605

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusepp – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32181/2018 proposto da:

Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma,

in persona del Presidente e, per quanto eventualmente necessario,

del Vice Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma

Via P.L. da Palestrina 47, presso lo studio dell’avvocato Filippo

Lattanzi, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

Ferruccio Auletta, e Francesco Cardarelli, in forza di procure

speciali in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.O., + ALTRI OMESSI, Procuratore della Repubblica

presso il Tribunale di Roma;

– intimati –

e contro

B.O., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in Roma

Piazza Vescovio 21, presso lo studio dell’avvocato Tommaso

Manferoce, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Massimo Luciani, in forza di procura speciale in calce al

controricorso;

-controricorrenti –

avverso la decisione n. 56/2018 del CONSIGLIO NAZIONALE DOTTORI

COMMERCIALISTI ed ESPERTI CONTABILI di ROMA, depositata il

09/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/07/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decisione del 24/11/2016 il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (di seguito Consiglio Nazionale o CNDCEC) ha rigettato i reclami proposti da due gruppi di dottori commercialisti avverso la Delib. 10 ottobre 2016, con cui il Consiglio dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma (di seguito: Consiglio dell’Ordine di Roma o CODCEC Roma) aveva ammesso a partecipare alle elezioni per il rinnovo delle cariche consiliari per il quadriennio 10/1/2017-31/12/2020 la Lista n. 1, denominata “Impegno per la professione” e recante la candidatura a Presidente del Dott. C.M..

A fondamento della decisione, il Consiglio ha richiamato una propria nota del 30/1/2015, indirizzata al Ministero della Giustizia, con cui aveva fornito l’interpretazione del D.Lgs. 28 giugno 2005, n. 139, art. 9, comma 9, nella parte in cui esclude la rieleggibilità del Presidente e dei Consiglieri dell’Ordine per un numero di mandati consecutivi superiore a due, affermando che l’esercizio delle funzioni di Consigliere per due mandati non precludeva quello delle funzioni di Presidente per due ulteriori mandati, tenuto conto della sostanziale diversità delle due cariche e della differenza tra le rispettive modalità di elezione.

Rilevato che con nota dell’11/2/2015 il Ministero aveva aderito alla predetta interpretazione, trattandosi di causa d’ineleggibilità avente caratteristiche di tassatività ed eccezionalità, e quindi non suscettibile di applicazione in via analogica, e considerato che non erano intervenute modificazioni normative, il CNDCEC ha ritenuto ammissibile la presentazione della Lista e la candidatura del Dott. C. a Presidente, osservando che quest’ultimo aveva ricoperto la carica di Consigliere nel quadriennio 2009-2012 e quella di Presidente nel quadriennio 2013-2016.

2. Avverso la predetta decisione i ricorrenti, aderenti rispettivamente alle Liste n. 2 e n. 3, hanno proposto due distinti ricorsi per cassazione, affidati entrambi ad un solo motivo. L’Ordine DCEC di Roma ha resistito con controricorsi e ha spiegato intervento nei giudizi il CNDCEC.

La Corte di Cassazione con ordinanze del 21/5/2018 n. 12461 e 12462 ha dichiarato inammissibile l’intervento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti contabili, ha accolto entrambi i ricorsi e ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio al CNDCEC, in diversa composizione, anche al fine di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

La Corte, escluso ogni rilievo vincolante del parere ministeriale, sulla base di vari elementi di carattere testuale e sistematico-teleologico ha ritenuto erronea l’interpretazione offerta dal Consiglio Nazionale al D.Lgs. n. 139 del 2005, art. 9, comma 9, che dispone che “i Consiglieri dell’Ordine ed il Presidente possono essere eletti per un numero di mandati consecutivi non superiore a due” e ha sostenuto, diversamente da quanto deciso dal Consiglio Nazionale, che tale formulazione impediva a chi avesse già ricoperto una delle predette cariche per due mandati consecutivi di candidarsi immediatamente per l’elezione all’altra.

3. Riassunti i giudizi ad opera dei ricorrenti, il CNDCEC ha fissato udienza per la trattazione al 18/7/2018, riunendo quindi i due procedimenti.

Si è costituito l’Ordine DCEC di Roma, eccependo la nullità del procedimento, lamentando il mancato coinvolgimento del Pubblico Ministero e la violazione del contraddittorio, rappresentando la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei componenti della lista ammessa rimasti contumaci nei precedenti gradi del giudizio e a cui non era stato notificato il ricorso per riassunzione; l’ODCEC di Roma ha altresì sostenuto l’improcedibilità del reclamo per la mancata impugnazione dell’esito delle elezioni e la sopravvenuta carenza di interesse al giudizio in capo ai ricorrenti e ha prospettato infine questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 139 del 2005, art. 9, comma 9.

Dopo la comunicazione degli atti alla Procura della Repubblica di Roma, con decisione dell’11/9/2018 il CNDCEC ha dichiarato l’ineleggibilità del Dott. C.M. alla carica di Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma nelle elezioni indette per il rinnovo delle cariche consiliari per il periodo 1/1/2017-31/12/2020 e l’esclusione della lista n. 1 “Impegno per la professione”, con le conseguenze di legge, a spese compensate.

4. Avverso la predetta decisione, non notificata, con atto notificato il 14/11/2018 ha proposto ricorso per cassazione l’Ordine di Roma, svolgendo cinque motivi.

Con atto notificato il 22/12/2018 hanno proposto controricorso i dottori V.E., + ALTRI OMESSI, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Nella sua memoria 3/7/2020 l’Ordine ricorrente, preso atto – al pari dei controricorrenti – della mancata presentazione di conclusioni da parte della Procura Generale, ha auspicato per questa ragione la rimessione della causa in pubblica udienza.

Non sussistono tuttavia, secondo il Collegio, valide ragioni giustificatrici per una diversione dalla regola generale, espressa nell’art. 375 c.p.c., u.c. della trattazione in camera di consiglio prevista come modalità ordinaria “in ogni altro caso”; non è infatti ravvisabile un notevole interesse nomofilattico, scaturente dalla particolare rilevanza delle questioni di diritto sulle quali occorre pronunciare, che possono essere affrontate e risolte nel solco della giurisprudenza di questa Corte.

2. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, l’Ordine ricorrente denuncia nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice a norma dell’art. 158 c.p.c. e in subordine propone questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 giugno 2005, n. 139, artt. 25,29 e 30 in riferimento all’art. 25 Cost., comma 1, art. 108 Cost., art. 111 Cost., comma 1, art. 117 Cost., comma 1, lett. I).

2.1. Secondo l’Ordine ricorrente, diversamente da quanto attestato nella decisione impugnata con riferimento a una non meglio identificata disciplina regolamentare, non constava agli atti del procedimento alcuna traccia della convocazione di tutti i membri del Consiglio Nazionale, esclusi quelli che avevano preso parte alla decisione impugnata e tantomeno constava la pretesa giustificazione della sua assenza fornita dal Consigliere Dott.Gelosa, con la conseguente mancanza almeno di un membro pienamente titolato a partecipare alla deliberazione.

Ciò si ripercuoteva, per di più, sulla disciplina del procedimento deliberativo con l’attribuzione di un voto doppio al Presidente del Collegio in caso di parità di voti in seno a un collegio di numero pari di membri.

Faceva difetto poi qualsiasi disposizione regolamentatrice delle modalità di costituzione dell’organo, in assenza di una disciplina analoga al sistema tabellare previsto nella legge sull’ordinamento giudiziario.

2.2. Con articolate censure l’Ordine di Roma, richiamandosi a quanto già sostenuto in sede di giudizio di rinvio, lamenta il vizio di costituzione del giudice in conseguenza della formazione del Collegio giudicante non governata dal giusto criterio legale che deve caratterizzare ogni organo giurisdizionale, sia pur nell’ambito della cosiddetta “giurisdizione domestica”.

In effetti gli organi di autodichia, benchè interni ed estranei all’organizzazione della giurisdizione, debbono essere costituiti secondo regole volte a garantire la loro indipendenza ed imparzialità, come del resto, in relazione alla funzione del giudicare, impongono i principi costituzionali ricavabili dagli artt. 3,24,101 e 111 Cost., mentre i giudizi debbono svolgersi secondo moduli procedimentali di natura sostanzialmente giurisdizionale, idonei a garantire il diritto di difesa e un effettivo contraddittorio (da ultimo in proposito Corte Costituzionale, 13/12/2017, n. 262, che richiama le precedenti decisioni n. 12 del 1971, n. 177 del 1973, n. 129 del 1981, n. 379 del 1996, n. 376 del 2001, n. 120 e 238 del 2014, n. 213 del 2017).

2.3. Non è revocato in dubbio – ed anzi è ammesso dall’Ordine ricorrente – che la composizione del Collegio decidente aveva rispettato il requisito dell’alterità soggettiva rispetto a quella del CNDCEC che aveva deliberato la sentenza cassata, come prescritto dalla legge e come puntualizzato dalle stesse decisioni rescindenti, che avevano appunto rinviato il procedimento al Consiglio Nazionale “in diversa composizione”.

Secondo questa Corte, infatti, in applicazione dei principi di imparzialità e terzietà del giudice e del giusto processo, tutelati dall’art. 111 Cost., è viziata da nullità assoluta, rilevabile anche d’ufficio, la decisione emessa, in sede di giudizio di rinvio, da un Consiglio nazionale professionale, qualora uno o più dei suoi componenti abbiano già preso cognizione della medesima causa per aver partecipato al precedente giudizio definito con decisione poi cassata (Sez. 3, n. 6003 del 15/03/2007, Rv. 596235 – 01).

2.4. Al proposito la decisione impugnata dà espressamente atto, con statuizione neppur specificamente contestata e tantomeno querelata di falso, che la convocazione in qualità di membri del Collegio del Consiglio Nazionale investito del giudizio di riassunzione era stata trasmessa a tutti e tredici i componenti del Consiglio nazionale (ventuno complessivamente), che non versavano in situazione di incompatibilità, esclusi quindi gli otto componenti che a suo tempo avevano deliberato le decisioni cassate.

2.5. Non ha fondamento la doglianza dell’Ordine romano circa la mancanza agli atti del procedimento di alcuna traccia della convocazione e della giustificazione fornita dal membro assente, sia perchè del tutto apodittica e autoreferenziale, sia, e soprattutto, perchè non è stata indicata – e comunque non sussiste – alcuna norma che imponga ad un collegio investito di funzioni giurisdizionali di fornire alle parti la prova della regolare convocazione dei suoi membri e delle giustificazioni da essi fornite in ordine agli impedimenti a presenziare.

2.6. il D.Lgs. 28 giugno 2005, n. 139, art. 30, comma 2, prescrive che per la validità delle adunanze del Consiglio nazionale, regolarmente convocato ai sensi del comma 1 dal suo Presidente, occorre la presenza della maggioranza dei componenti (quorum costitutivo); il comma 3 prevede che le deliberazioni vengono prese a maggioranza assoluta dei presenti aventi diritto al voto (quorum deliberativo); il comma 4 dispone che in caso di parità prevale il voto del Presidente o di chi ne fa le veci.

Presenti dodici membri su ventuno, era indubbia la sussistenza del quorum costitutivo e le ragioni dell’impedimento del Consigliere Dott. G. avevano rilievo puramente interno e sono state comunque ritenute giustificate dall’unico Organo a cui egli doveva render conto, ossia il Consiglio Nazionale stesso.

2.7. Per il Consiglio Nazionale opera il principio generale, valido per tutte le giurisdizioni domestiche, che individua quali componenti del Collegio giudicante in materia elettorale tutti i componenti del Consiglio stesso.

Il D.Lgs. 28 giugno 2005, n. 139, art. 29, comma 1, lett. i), attribuisce al Consiglio, considerato integralmente e complessivamente, tra l’altro, il compito di decidere sui ricorsi relativi alle elezioni dei Consigli dell’Ordine; il successivo art. 30 prevede il potere del Presidente di convocare il Consiglio; in attuazione di questo indirizzo, l’art. 16 del Regolamento prevede, del resto ovviamente, che la convocazione debba essere spedita a tutti i Consiglieri.

Le eventuali assenze di uno o più Consiglieri non mettono in dubbio il carattere precostituito dell’organo secondo il criterio legale della composizione del Consiglio, purchè esista il numero legale per deliberare.

Nel caso in esame, poi, i Consiglieri legittimati alla convocazione erano solo tredici (e cioè tutti i ventuno componenti, meno gli otto autori della decisione cassata) e hanno partecipato all’esame del ricorso e hanno deliberato in dodici (i convocati meno il Dott. G., impedito).

L’impedimento del Dott. G. è stato valutato e ritenuto giustificato dal Consiglio Nazionale e le parti del procedimento non sono legittimate a discutere di tale valutazione, non più di quanto sarebbero le parti di un procedimento civile che vedessero sostituito nella composizione dell’organo deliberante un magistrato impedito con altro magistrato sostituto designato dal Capo dell’ufficio secondo le norme tabellari.

L’unica differenza – irrilevante però sotto il profilo della precostituzione del giudice – è che i collegi dell’autorità giudiziaria ordinaria sono “collegi perfetti” a numero vincolato, che esigono la sostituzione del componente impedito, mentre il Consiglio Nazionale DCEC, come normalmente accade per gli organi elettivi investiti di funzioni giurisdizionali, è un collegio a composizione quantitativa variabile, legittimato e precostituito secondo la regola del quorum.

2.8. Non è quindi condivisibile la doglianza del ricorrente circa la pretesa violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge poichè le norme citate indicano chiaramente a quali condizioni il Consiglio possa ritenersi validamente costituito.

Questa Corte, con risalente orientamento, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti del D.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, art. 22, comma 2, – secondo cui per la validità delle sedute del consiglio nazionale forense e sufficiente la presenza di almeno un quarto dei suoi componenti – in riferimento al principio del carattere “perfetto” dei collegi giurisdizionali, nonchè all’art. 25 Cost., sotto il profilo che la mancanza di disposizioni sulla composizione dell’organo sarebbe contraria al principio della precostituzione del giudice naturale.

Siffatto principio, infatti attiene alla predeterminazione della competenza, sotto ogni possibile titolo, dell’organo o dell’ufficio giurisdizionale, impersonalmente considerati; rimangono quindi ad esso estranei i problemi relativi alle modalità tecniche della composizione numerica degli organi collegiali.

Una volta assicurato il principio della collegialità, deve infatti escludersi che la deliberazione adottata in concreto da un numero di votanti inferiore al plenum dell’organo precostituito rappresenti un illegittimo dirottamento dell’affare giurisdizionale ad un organo intrinsecamente diverso (Sez. U, n. 1030 del 24/03/1976, Rv. 379687 – 01; in seguito Sez. U, n. 3195 del 04/07/1989, Rv. 463290 – 01; Sez. U, n. 7810 del 20/09/1994 Rv. 487866 – 01; Sez. U, n. 15144 del 28/11/2001,Rv. 550719 – 01).

E’ pur vero che il principio espresso da quest’ultima sentenza 15144/2001, secondo la quale è sufficiente il quorum previsto per il funzionamento del Consiglio nazionale forense (costituito dalla presenza di un quarto della totalità dei componenti) e non è richiesto – a differenza di quanto stabilito per il procedimento che si svolge dinanzi al Consiglio dell’ordine – che il provvedimento disciplinare sia adottato, oltre che con la presenza del numero legale dei componenti, previa convocazione di tutti, è stato rimeditato dalla successiva pronuncia delle Sezioni Unite del 21/06/2005, n. 13298; con tale decisione, infatti, è stata ritenuta indispensabile non solo la presenza di almeno un quarto dei componenti del Consiglio, compreso il presidente o uno dei due vicepresidenti, ma anche la previa convocazione di tutti i suoi membri alla luce delle prescrizioni regolamentari.

Nella specie, tuttavia, come si è detto, la riunione è stata regolarmente convocata.

Inoltre la disciplina normativa sulla composizione variabile dell’organo (nella fattispecie, il Consiglio nazionale forense D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, ex artt. 16, 18 e 22), applicabile anche quando tale Consiglio esercita funzioni giurisdizionali, non contrasta con il principio di precostituzione del giudice naturale ex art. 25 Cost., nè incide in alcun modo sulla indipendenza ed imparzialità dell’organo ex art. 111 Cost. e art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Sez. U, n. 39 del 05/02/1999, Rv. 522983 – 01; n. 10137 del 26/05/2004, Rv. 573161 – 01).

Le tesi del ricorrente sembrano mettere in discussione la stessa legittimità delle previsioni di una composizione quantitativa variabile dell’organo decisorio, che deriva dalla previsione di quorum costitutivi e deliberativi che, seppur divergente dalle regole che presiedono nell’ordinamento giudiziario alla costituzione dei collegi dell’autorità giudiziaria ordinaria, non presentano alcun elemento di attrito con l’esigenza costituzionale della precostituzione del giudice naturale.

Secondo la Corte Costituzionale, l’art. 25 Cost., comma 1, e il principio costituzionale del giudice naturale, del tutto equivalente concettualmente a quello del giudice precostituito per legge, sono rispettati allorchè “la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica in generale i presupposti o i criteri in base ai quali deve essere individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo spostamento della competenza dall’uno all’altro ufficio giudiziario non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento – e, dunque, della designazione di un nuovo giudice “naturale” – che il legislatore, nell’esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente” (Corte Cost. n. 237 del 26/6/2007, che richiama le sentenze n. 56 del 1967 e n. 207 del 1987 e n. 72 del 1976; da ultimo Corte Cost. 30/1/2014 n. 15).

La variazione numerica fra la composizione del Consiglio Nazionale nelle pronunce cassate e in quella resa nel giudizio di rinvio ed oggetto dell’attuale impugnazione, solo genericamente lamentata dal ricorrente, è del tutto irrilevante, in quanto scaturisce da fattori accidentali e si conforma alla disciplina normativa sopra descritta.

2.9. Non convincono neppure le ulteriori recriminazioni dell’Ordine ricorrente, ampiamente sviluppate nella memoria illustrativa, circa la discrezionalità del giorno di convocazione del Consiglio, non corrispondente a un calendario prefissato.

Tale circostanza, per vero priva di concrete ricadute, poichè tutti i Consiglieri legittimati sono stati convocati alla riunione e tutti vi hanno partecipato, tranne il Consigliere impedito, non può configurare un vizio di costituzione del giudice, la cui regolarità non presuppone la predisposizione di calendari di udienze, che non sono previsti da specifiche disposizioni normative e comunque non sono intrinsecamente necessari in relazione ad organi i cui componenti, in quanto tali, sono tutti ammessi a partecipare alle deliberazioni.

Argomenti in senso contrario non possono essere desunti neppure dalla sentenza n. 257 del 6/12/2017 della Corte Costituzionale, limitatasi a sancire l’inammissibilità della questione proposta – attinente alla assenza di criteri oggettivi e predeterminati per l’assegnazione degli affari contenziosi, diversi da quelli pensionistici, di competenza delle Sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti – per la mancata corretta individuazione delle norme applicabili; e ciò neppure in via indiretta e induttiva, visto che la questione riguardava l’attività giurisdizionale di collegi perfetti e non già di organi di autodichia operanti secondo le regole dei quorum costitutivi e deliberativi.

2.10. Non appare condivisibile neppure l’ulteriore argomentazione dell’Ordine ricorrente circa le conseguenze dell’assenza del Consigliere G. sulle modalità di decisione della controversia da parte del Consiglio Nazionale, in ragione del voto doppio attribuito al Presidente per dirimere l’empasse in caso di mancata formazione della maggioranza nell’organo composto da un numero pari di membri.

A parte l’irrilevanza dell’argomento nel caso concreto, non constando (nè invero potendo constare, in ragione del segreto della camera di consiglio) che la maggioranza si sia formata nel Consiglio Nazionale grazie al decisivo voto doppio presidenziale, la regola citata è normativamente prevista dal D.M. 15 febbraio 1949, art. 8, comma 4, oltre che dal D.Lgs. 28 giugno 2005, n. 139, art. 30, comma 2, sicchè risulta precostituita per legge e non è ignota al nostro ordinamento giuridico, anche se la disciplina dell’ordinamento giudiziario evita normalmente di farvi ricorso, prevedendo collegi perfetti con numero dispari di membri.

Infatti l’ordinamento giudiziario conosce anche casi di giudici a composizione pari come i Tribunali e le Sezioni di Corte di appello per i minorenni, al cui proposito la Corte Costituzionale (26/01/1994, n. 10; 31/5/1988 n. 590) ha ritenuto manifestamente inammissibile, in quanto implicante scelte discrezionali attribuite alla potestà del legislatore, la questione di legittimità costituzionale del R.D. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 5 e R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 58 sollevata con riferimento agli art. 3 e 97 Cost., nella parte in cui non prevedono che il numero dei componenti del collegio giudicante della sezione per i minorenni della corte d’appello sia cinque (tre magistrati e due giudici onorari) e non quattro (due magistrati e due giudici onorari).

La soluzione del voto doppio attribuito al Presidente non è infine ignota al nostro ordinamento giudiziario; si vedano in proposito la L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 70, comma 8, in tema di funzionamento deliberativo del Tribunale di sorveglianza e la Legge Cost. 11 marzo 1953, n. 87, art. 16, comma 3, con riferimento alla Corte Costituzionale.

3. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, l’Ordine ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 133 c.p.c., art. 275 c.p.c., u.c. e art. 276 c.p.c., u.c., ovvero del D.M. 15 febbraio 1949, art. 10 e/o del Decreto Dir.gen. giustizia civile 18 luglio 2003, art. 9; in subordine propone questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 giugno 2005, n. 139, artt. 29,31 e 32 in riferimento all’art. 24 Cost., comma 2, art. 111 Cost., comma 1 e 6, art. 117 Cost., comma 1, lett. I).

3.1. il D.M. 15 febbraio 1949, art. 10 e/o il Decreto Dir.gen. giustizia civile 18 luglio 2003, art. 9 prescrivono il deposito del testo della decisione con la motivazione, con formazione sincronica di dispositivo e motivazione e pubblicazione simultanea.

Il ricorrente lamenta che la decisione impugnata si sia caratterizzata invece per un anomalo iter formativo con la previa conoscibilità del dispositivo, peraltro non letto in udienza secondo il modello dell’art. 429 c.p.c., comma 1; tale circostanza aveva costretto l’Ordine ad impugnare la decisione già nella forma parziale con la conseguente contrazione innaturale dei tempi a disposizione per dispiegare l’impugnazione.

I principi costituzionali richiamati invece esigono che la motivazione vi sia all’atto della decisione e non semplicemente che ve ne sia una; la formazione del dispositivo al termine della deliberazione è e deve restare segreta e non ostensibile pubblicamente sin che la motivazione non ne fornisca adeguato supporto logico giuridico.

3.2. Il motivo è anzitutto inammissibile per difetto di specificità e autosufficienza.

L’Ordine ricorrente, quale sostrato della propria doglianza di carattere processuale, fonte della ravvisata nullità, assume che il dispositivo della decisione deliberata l’11/9/2018 sia stato formato all’esito della stessa udienza dell’11/9/2018, con disposizione della comunicazione al Ministero della Giustizia per l’adozione di tutti i provvedimenti conseguenti, senza comunicazione all’Ordine, mentre la decisione,’ corredata da motivazione era stata depositata successivamente il 9/10/2018.

Tale circostanza è priva di alcuna prova e dimostrazione, tantomeno documentale; non viene spiegato sulla base di quali elementi l’Ordine assuma tale circostanza, che l’avrebbe per giunta posto in difficoltà, inducendolo a valutare la proposizione di un ricorso immediato per cassazione contro il mero dispositivo e comprimendo i tempi per la proposizione del ricorso per cassazione avverso la successiva decisione motivata.

Della collocazione di questo documento negli atti processuali non v’è traccia e inoltre non si comprende su quali basi ne venga affermata l’esistenza, visto che, secondo il ricorrente stesso, non è stato letto in udienza e non gli è stato comunicato.

Certamente tale circostanza non può essere desunta dal fatto che il dispositivo della decisione motivata depositata il 9/10/2018 rechi riferimento alla disposta comunicazione al Ministero della Giustizia per l’adozione di tutti i provvedimenti conseguenti, evidentemente riferibile alla data della pubblicazione.

3.2. Il D.M. 15 febbraio 1949, art. 9 recante approvazione del regolamento contenente le norme di procedura per la trattazione dei ricorsi dinanzi al Consiglio nazionale dei professionisti in economia e commercio prevede che la decisione sia pronunciata in nome del popolo italiano e debba contenere il nome del ricorrente, l’oggetto dell’impugnazione, i motivi sui quali si fonda, il dispositivo, l’indicazione del giorno, mese ed anno in cui è pronunciata, la sottoscrizione del presidente e del segretario.

Il dispositivo è quindi un elemento della decisione, resa pubblica, a norma del successivo art. 10, mediante deposito nella segreteria dell’originale.

La pubblicazione del dispositivo immediatamente dopo la decisione e prima della redazione della pronuncia corredata di motivazione, quand’anche fosse avvenuta come sostenuto, non integrerebbe alcuna ragione di nullità, ma una semplice irregolarità priva di conseguenze, tanto più che siffatto modus procedendi è tutt’altro che ignoto al nostro ordinamento (art. 429 c.p.c., comma 1, art. 430 c.p.c., comma 1, art. 437 c.p.c., comma 1, art. 438 c.p.c., comma 1,; art. 615 e 617 c.p.p.; art. 119, comma 5, art. 120, comma 9, art. 130, comma 7 cod.proc.amm.).

3.3. Non sussistono poi neppure le addotte conseguenze della pretesa pubblicazione anticipata del dispositivo.

Il termine per impugnare non poteva decorrere che dalla data di pubblicazione della decisione del Consiglio Nazionale, stante la natura del tutto eccezionale dei casi di ammissibilità dell’impugnazione del solo dispositivo, peraltro prevista al limitato fine di ottenere la sospensione della sua esecutività, prevista dalla legge, nelle more della pubblicazione della sentenza, in casi in cui viene ravvisata una particolare esigenza di celerità.

Il dispositivo della decisione non è provvedimento autonomamente suscettibile di impugnazione per cassazione (Sez.6-4, 12/7/2011 n. 15337).

Ancor meno convincenti appaiono le lamentate ripercussioni della dedotta formazione preliminare del dispositivo sulla rigidità delle motivazioni giustificatrici di una decisione assunta dal Collegio nazionale nella camera di consiglio dell’11/9/2018 e successivamente corredata della motivazione, come attestato dalle sottoscrizioni del Presidente, del Consigliere estensore e del Consigliere segretario.

Appare logico e anzi ovvio che le motivazioni debbano rispecchiare e giustificare il contenuto della decisione assunta dall’organo collegiale all’esito della discussione in camera di consiglio, espressa nel dispositivo: non è affatto anormale, quindi, che l’estensore non abbia esplorato altre vie, precluse dal dispositivo, perchè un mutamento della decisione, quand’anche ammissibile, avrebbe reso semmai necessaria la riconvocazione dell’organo collegiale.

Posto che le motivazioni appaiono coerenti al dispositivo e lo giustificano, nessun vulnus può essere stato arrecato alle parti per il fatto di aver conosciuto – come si è detto, non è ben chiaro in che modo – preventivamente il contenuto del dispositivo.

4. I tre successivi motivi di ricorso esigono un esame congiunto, previo capovolgimento del loro ordine sequenziale, reimpostato nella corretta scansione logico-giuridica, come osservato correttamente dai controricorrenti.

4.1. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, l’Ordine ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, art. 51 c.p.c., n. 1 e 4, art. 112 c.p.c. e art. 97 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 24 Cost., comma 2, art. 11 Cost., commi 1 e 2.

La decisione impugnata aveva respinto l’eccezione di improcedibilità per mancanza di interesse sulla base della regiudicata ravvisata nella sentenza 8254/2017 del Tribunale di Roma, non impugnata dall’Ordine.

Era stato così violato il divieto c.d. della “terza via” poichè nessuna delle parti aveva mai allegato e tantomeno provato tale regiudicata. Come emergeva dalla sentenza n. 8542/2017, documento prodotto ex art. 372 c.p.c., nella controversia decisa dal Tribunale di Roma l’Ordine romano non aveva assunto qualità di parte, poichè stava in quel giudizio solo il Dott. C. uti singulus.

Inoltre il Consiglio Nazionale ha utilizzato tale documento, non allegato e non prodotto, perchè ne disponeva quale parte volontariamente costituitasi in quel procedimento con apposito difensore, facendo quindi uso di scienza privata in antagonismo a terzi, e così venendo meno al dovere di terzietà e imparzialità e inficiando la regolarità del giusto processo pretesa dalla Costituzione.

4.2. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4 e 3, l’Ordine ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c.

La predetta pronuncia del Tribunale di Roma che aveva decretato la inammissibilità dei ricorsi proposti dai componenti delle liste n. 2 e n. 3 per l’annullamento delle decisioni del Consiglio Nazionale che avevano confermato l’ammissione della Lista 1 alle elezioni per componenti del Consiglio ODCEC di Roma, rigettando il proposto motivo di ineleggibilità del Dott. C., era stata resa nel contraddittorio fra il Dott. C. e i ricorrenti e aveva natura meramente processuale con conseguente incapacità di fare stato.

4.3. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, l’Ordine ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 112,100 c.p.c., art. 394 c.p.c., commi 1 e 2, e/o degli artt. 101,115,97 disp. att. c.p.c. e/o dell’art. 8 del Regolamento elettorale CNDEC e del D.Lgs. n. 139 del 2005, art. 22.

Secondo il Consiglio Nazionale, la questione dell’interesse ad agire non avrebbe potuto più essere sollevata in sede di giudizio di rinvio in quanto non dedotta nel giudizio di legittimità dinanzi alla Corte di Cassazione.

Secondo l’Ordine ricorrente, a parte il fatto che la carenza di interesse ad agire è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, il principio di diritto enunciato dalla Cassazione era limitato alla diversa interpretazione delle norme sull’ineleggibilità, sicchè l’accertamento della sopravvenuta carenza di interesse non avrebbe affatto avuto l’effetto di porre nel nulla o limitare gli effetti della sentenza di cassazione.

Viene inoltre stigmatizzato dal ricorrente il ricorso del Consiglio Nazionale a ulteriore scienza privata, e cioè ai pareri redatti dal prof. O. in data 8/6/2018 e 28/6/2018, recepiti pedissequamente nella decisione.

In ogni caso, secondo l’Ordine romano, era del tutto erronea la conclusione che il reclamo fosse di per sè idoneo a mettere in discussione il risultato delle elezioni, che ha operato una inammissibile identificazione di due diversi rimedi inerenti a fasi distinte del procedimento elettorale, ossia il reclamo ex art. 8 del regolamento elettorale e il reclamo D.Lgs. n. 139 del 2005, ex art. 22.

4.4. Con il quinto motivo l’Ordine ricorrente sostiene che la questione dell’interesse ad agire dei ricorrenti, asseritamente venuta meno per effetto della mancata impugnazione dell’esito delle elezioni, era suscettibile di deduzione e rilevabile d’ufficio anche nell’ambito del giudizio di rinvio, senza che tale tema fosse precluso nell’ambito del giudizio rescissorio di rinvio dalle decisioni rescindenti di legittimità.

Con il terzo motivo l’Ordine censura l’adozione a sorpresa della “terza via” in violazione del contraddittorio per aver il Consiglio Nazionale attribuito alla sentenza del Tribunale di Roma un effetto di giudicato interno sulla portata del presente procedimento e con il quarto contesta tale valenza, anche solo sulla scorta dell’estensione soggettiva del contraddittorio in quel procedimento.

A fronte dell’eccezione dell’Ordine (p. 2.3. della decisione impugnata) il CNDCEC ha opposto due diverse concorrenti rationes decidendi, ciascuna idonea a sorreggere da sola la decisione.

Al p. 2.3.1. il Consiglio Nazionale ha sostenuto che la carenza di interesse ad agire non poteva più essere rilevata nel giudizio di rinvio poichè la circostanza su cui si fondava – ossia il fatto che le elezioni erano terminate senza la proposizione di alcun reclamo – si era già verificata al momento del giudizio di legittimità.

Al p. 2.3.2. ha invece addotto “ulteriori considerazioni” che dimostravano l’infondatezza dell’eccezione, basate proprio sulla citata sentenza del Tribunale di Roma, in thesi esaminata indebitamente e non opponibile all’Ordine.

A rigore, anzi, la prima motivazione nel senso della inammissibilità dell’eccezione sarebbe assorbente rispetto alla seconda che milita sul subalterno versante della fondatezza.

4.5. La prima motivazione indicata dal Consiglio Nazionale è corretta e condivisibile.

Ai sensi dell’art. 394 c.p.c., comma 3, nel giudizio di rinvio le parti non possono prendere conclusioni diverse da quelle rassegnate nel giudizio nel quale fu pronunciata la sentenza, salvo che la necessità delle nuove conclusioni sorga dalla sentenza di cassazione.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di rinvio è inibito alle parti proporre conclusioni diverse dalle precedenti, o che non siano conseguenti alla cassazione, così come non sono modificabili i termini oggettivi della controversia espressi o impliciti nella sentenza di annullamento.

Tale preclusione investe non solo le questioni espressamente dedotte o che avrebbero potuto essere dedotte dalle parti, ma anche le questioni di diritto rilevabili d’ufficio, ove esse tendano a porre nel nulla o a limitare gli effetti intangibili della sentenza di cassazione e l’operatività del principio diritto, che in essa viene enunciato non già in via astratta, ma agli effetti della decisione finale della causa.

Quanto precede – peraltro – non preclude l’esame della rilevanza di fatti sopravvenuti che determinino il venire meno dell’interesse ad agire anche nel giudizio di rinvio (Sez. 2, 27/01/2014, n. 1615, con riferimento a fatti sopravvenuti al giudizio di legittimità, in deroga al principio generale ritenuti suscettibili di essere esaminati; Sez. 3, 18/02/2016, n. 3177, con riferimento a una transazione già stipulata all’epoca del giudizio di legittimità; più in generale: Sez. L, n. 19436 del 20/07/2018, Rv. 649971 – 01; Sez.2, 12/01/2010, n. 327; Sez. 3, n. 22885 del 10/11/2015, Rv. 637823 – 01; Sez. 5, n. 26200 del 12/12/2014, Rv. 633434 – 01; Sez. un., 03/07/2009, n. 15602; oltre a Sez. L, n. 10046 del 10/07/2002, Rv. 555653 – 01; Sez. 3, n. 1437 del 09/02/2000, Rv. 533659 – 01; Sez. L, n. 20474 del 29/09/2014, Rv. 632814 – 01, pronunce queste ultime tre citate nella decisione impugnata).

Nella specie è evidente che le circostanze poste a fondamento della dedotta carenza di interesse si erano verificate prima dell’introduzione e della discussione del giudizio di legittimità e avrebbero dovuto essere fatte valere dall’Ordine DCEC di Roma in quella sede.

Di conseguenza, il loro rilievo in sede di giudizio di rinvio avrebbe proprio il risultato – inammissibile – di porre nel nulla gli effetti intangibili della sentenza di cassazione e l’operatività del principio di diritto, in essa enunciato agli effetti della concreta decisione finale della causa.

Diversa sarebbe la soluzione nel caso, che qui non ricorre, in cui la carenza di interesse sia addebitabile a fatti sopravvenuti alla decisione rescindente di legittimità.

Gli argomenti del ricorrente volti a circoscrivere la portata delle decisioni n. 12461 e 12462 del 2018 di questa Corte sono evidentemente viziati dall’obliterazione del principio sotteso alla giurisprudenza consolidata in precedenza citata, che muove dall’assunto fondamentale che la funzione dell’enunciazione del principio di diritto da parte della Corte di Cassazione, salvo il caso eccezionale dell’esame nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c., comma 3, non è puramente astratta e nomofilattica (jus constitutionis), ma opera agli effetti della concreta decisione finale della causa (jus partium).

4.6. Quanto esposto in sede di esame del quinto motivo assorbe le ulteriori censure dedicate con il terzo e quarto motivo alla concorrente ratio decidendi, peraltro subalterna, prospettata dal Consiglio Nazionale.

4.7. Restano tuttavia da esaminare due ulteriori profili critici sollevati con il quinto motivo, che non attengono – almeno direttamente – alla questione dell’interesse ad agire.

4.8. L’Ordine ricorrente stigmatizza il ricorso del Consiglio Nazionale a scienza privata e cioè ai pareri redatti dal prof. O. in data 8/6/2018 e 28/6/2018, recepiti pedissequamente nella decisione.

La censura presenta plurimi profili di inammissibilità.

In primo luogo, l’Ordine ricorrente non ha indicato come e quando i predetti pareri del Prof. O. sarebbero stati acquisiti al fascicolo processuale e non ha documentato la loro acquisizione da parte del Consiglio Nazionale, con il conseguente difetto di specificità e autosufficienza.

In secondo luogo, non vi è alcun elemento concludente a sostegno dell’influenza asseritamente esercitata da tali pareri sull’attività decisoria del Consiglio Nazionale, che non ha formulato nella decisione alcun richiamo al loro contenuto. Nè una diversa conclusione si può giustificare solo alla luce della conformità delle conclusioni raggiunte nei pareri e nella decisione consiliare sulla questione di diritto – conclusioni peraltro pienamente corrette – che può autorizzare al riguardo solo mere supposizioni, come obiettano efficacemente i controricorrenti.

In terzo luogo, i vizi dell’attività del giudice che possano comportare la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non sono eretti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato error in procedendo, sicchè il ricorrente non può limitarsi a dedurre la violazione, ma deve allegare e dimostrare un concreto pregiudizio al diritto di difesa (Sez. 1, n. 2626 del 02/02/2018, Rv. 646877 – 01; Sez. 2, n. 28229 del 27/11/2017, Rv. 646319 – 01; Sez. 1, n. 19759 del 09/08/2017, Rv. 645194 – 01).

Nella specie difetta del tutto la deduzione del preteso vulnus, prospettato in modo meramente automatico dal ricorrente per il solo fatto dell’esistenza dei pareri giuridici in questione.

Vertendosi poi in tema di apprezzamento di puro diritto, e in particolare di diritto processuale, quand’anche il CNDCEC si fosse appiattito sul parere dell’esperto, è la correttezza delle statuizioni in rito mutuate dal parere dell’esperto giurista che il ricorrente avrebbe dovuto censurare e non il modo in cui sarebbero maturate.

O la decisione e i pareri sono conformi a diritto – e, come si è detto, lo sono – ed allora nessun pregiudizio è stato subito dalla parte processuale; oppure decisione e pareri non sono conformi a diritto e così non è – ed allora è solo l’errata decisione che doveva essere impugnata.

Non appaiono infine pertinenti le doglianze di violazione dell’art. 115 c.p.c. e del divieto di scienza privata, ex art. 97 disp. att. c.p.c. formulate non appropriatamente con riferimento a pareri giuridici e non già ai fatti storici oggetto della cognizione del giudice.

4.9. L’Ordine ricorrente osserva poi che in ogni caso era del tutto erronea la conclusione che il reclamo fosse di per sè idoneo a mettere in discussione il risultato delle elezioni, e lamenta da parte del Consiglio Nazionale una inammissibile identificazione di due diversi rimedi inerenti a fasi distinte del procedimento elettorale, ossia il reclamo ex art. 8 del regolamento elettorale e il reclamo D.Lgs. n. 139 del 2005, ex art. 22.

In sostanza, l’Ordine contesta la decisione del CNDCEC e la sua osservazione secondo la quale il reclamo proposto circa la ineleggibilità del Dott. C. era di per sè idoneo a mettere in discussione il risultato elettorale.

4.10. La censura ripropone per altra via argomentativa, il tema dell’assenza di interesse ad agire in ragione della mancata impugnazione del risultato elettorale, ragione per cui incorre nelle precedenti considerazioni.

Nel p. 2.3.3. il CNDCEC afferma la propria competenza a decidere della ineleggibilità e decadenza del Dott. C. richiamando dapprima la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale riguardo al contenzioso in materia di elezioni dei Consigli degli Ordini professionali sussiste la sua competenza anche per le controversie relative alla fase di convocazione dell’assemblea degli iscritti per procedere alle votazioni, atteso che la materia elettorale relativa alle professioni non è stata ripartita tra più giudici (nè il giudice amministrativo, ai sensi della L. n. 1034 del 1971, art. 6, comma 1, ha altra attribuzione che il potere di decidere i ricorsi riguardanti le controversie elettorali dei consigli comunali, provinciali e regionali) e che il legislatore ha voluto salvaguardare, con l’istituzione della giurisdizione professionale, l’autonomia dei collegi nazionali degli ordini professionali, alla quale una interpretazione restrittiva recherebbe menomazione (Sez. U, n. 9296 del 10/06/2003, Rv. 564112 – 0; Sez. U, n. 23209 del 03/11/2009, Rv. 610230 – 01).

Il Consiglio Nazionale ha ricondotto il reclamo in punto ineleggibilità alla matrice di cui al D.Lgs. n. 139 del 2005, art. 22 e lo ha ritenuto idoneo a mettere in discussione il risultato elettorale della competizione alla quale ha partecipato il candidato ineleggibile.

Il D.Lgs. n. 139 del 2005, art. 22 in tema di “Reclami contro i risultati delle elezioni” prevede che contro i risultati delle elezioni, ciascun iscritto nell’Albo possa proporre reclamo al Consiglio nazionale, entro il termine perentorio di quindici giorni successivi alla proclamazione.

L’art. 29, lett. i), come precedentemente rammentato, attribuisce, tra l’altro, al CNDCEC la cognizione sui ricorsi relativi alle elezioni dei Consigli dell’Ordine.

L’art. 8, comma 3, del Regolamento per lo svolgimento delle elezioni dei Consigli dell’Ordine dei dottori commercialisti, degli esperti contabili e del collegio revisori dei conti, approvato dal Ministero della Giustizia il 17/8/2016 (doc. 2 ricorrente) dispone che la violazione delle formalità previste per la presentazione delle liste ne comporta l’esclusione dalla competizione elettorale e che avverso il provvedimento con cui il Consiglio dell’Ordine ammette o esclude le liste è ammesso reclamo innanzi al Consiglio Nazionale soggetto a termine di decadenza di giorni quindici.

E’ evidente quindi che tale procedimento partecipa della stessa natura del reclamo D.Lgs. n. 139 del 2005, ex art. 22 salvo dirigersi, a monte, avverso il provvedimento ammissivo di una lista alla competizione elettorale, anzichè, a valle, sullo svolgimento delle operazioni elettorali e sul loro risultato.

La declaratoria di ineleggibilità di un candidato alla presidenza e di illegittimità della sua lista vizia di per sè consequenzialmente le operazioni elettorali per effetto dell’indebita partecipazione di una lista formata ed ammessa contra legem, ancorchè maturata all’esito del procedimento giurisdizionale di impugnazione nella competente sede del provvedimento illegittimo di ammissione.

Non vi è quindi necessità che il tempestivo reclamo contro l’indebita ammissione di una lista alla competizione sia accompagnato da una superflua successiva impugnazione anche del risultato delle operazioni elettorali, irrimediabilmente viziate a monte, che si risolverebbe in una mera e defatigante reiterazione di rimedi giuridici contro lo stesso vulnus.

Non a caso, infatti, l’art. 8, comma 3, sopra ricordato, prevede che la violazione delle formalità previste per la presentazione delle liste ne comporta l’esclusione dalla competizione elettorale, che nel caso in esame, in cui il Consiglio dell’Ordine ha ammesso illegittimamente la presentazione della lista, sopravviene all’esito dell’iter giudiziario che produce, ora per allora, il risultato conforme a legge.

Tale conclusione scaturisce linearmente dalle caratteristiche di un sistema che prevede il ricorso giurisdizionale immediato avverso il provvedimento positivo di ammissione di una lista.

Diversamente si atteggia la soluzione prevista dall’art. 129 Codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104) quanto al giudizio avverso gli atti di esclusione dal procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali: in quel caso solo i provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali e per il rinnovo dei membri del Parlamento Europeo spettanti all’Italia sono impugnabili innanzi al tribunale amministrativo regionale competente nel termine di tre giorni dalla pubblicazione, mentre gli atti diversi da quelli di cui al comma 1 (e quindi anche gli atti illegittimi di positiva ammissione di un candidato o di una lista) possono essere impugnati solo alla conclusione del procedimento unitamente all’atto di proclamazione degli eletti.

Corretto quindi appare il ragionamento svolto dal CNDCEC nel p. 2.3.3. sopra rammentato.

5. Come sopra osservato, il terzo e il quarto motivo di ricorso, diretti contro una concorrente ratio decidendi, restano assorbiti per effetto del rigetto del quinto motivo, rivolta contro la concorrente ratio decidendi, di per sè idonea ad sorreggere autonomamente la decisione in punto eccezione di carenza di interesse.

6. Il ricorso deve quindi essere rigettato e l’Ordine ricorrente dev’essere condannato alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidate nella somma di Euro 8.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2020

 

 

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