Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19604 del 30/09/2016

Cassazione civile sez. I, 30/09/2016, (ud. 14/07/2016, dep. 30/09/2016), n.19604

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23321-2011 proposto da:

RIO BIANCO S.R.L., nella qualità di successore a titolo particolare

della SIMA COSTRUZIONI S.R.L., sua volta cessionaria del FALLIMENTO

della (OMISSIS) S.P.A. in liquidazione, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIOSUE’ SORSI 4, presso l’avvocato FEDERICA SCAFARELLI, che la

rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio

S.E. di (OMISSIS) del (OMISSIS), con apostille del (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

FONDAZIONE SAN GIOVANNI BATTISTA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TACITO 41, presso l’avvocato SALVATORE PATTI, rappresentata e difesa

dagli avvocati PAOLA SERRA, ANTONIO SERRA, giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.P.A., SIMA COSTRUZIONI S.R.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 442/2010 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI –

SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata il 08/07/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato LUCA MAZZEO, con delega orale,

che si riporta al ricorso (deposita n. 5 originali cartoline

ricevimento);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo

del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato agosto 1987, preceduto da una domanda di arbitrato declinata dalla controparte, la (OMISSIS) s.p.a. (all’epoca in bonis) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Sassari, la Fondazione San Giovanni Battista, chiedendone la condanna al pagamento della somma di Lire 224.518.250, oltre accessori di legge, per talune riserve iscritte nel registro di contabilità e nel conto finale dei lavori, in relazione del contratto di appalto del (OMISSIS), avente ad oggetto il completamento del centro psicopedagogico di (OMISSIS). La domanda veniva parzialmente accolta dal Tribunale adito, con sentenza n. 1928/2005, avverso la quale proponeva appello la SIMA Costruzioni s.r.l., divenuta cessionaria del credito litigioso da parte del fallimento (dichiarato nelle more del giudizio di primo grado) della (OMISSIS) s.p.a..

2. Il gravame veniva parzialmente accolto dalla Corte di Appello di Cagliari, con sentenza n. 442/2010, depositata l’8 luglio 2010, con la quale il giudice di seconde cure – per quel che ancora interessa -riteneva infondate le pretese dell’appellante concernenti il mancato utile e la liquidazione di maggiori compensi per il mancato ammortamento di mezzi e personale, conseguenti alla condotta inadempiente dell’appaltante, e riconosceva la rivalutazione monetaria sulle somme liquidate, ma con decorrenza solo dalla data di proposizione della domanda di arbitrato.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso la Rio Bianco s. a. r. l. (cessionaria del credito per cui è causa dalla SIMA Costruzioni s.r.l.) nei confronti della Fondazione San Giovanni Battista, del Fallimento della (OMISSIS) s.p.a. e della SIMA Costruzioni s.r.l., affidato a tre motivi.

4. La resistente Fondazione San Giovanni Battista ha replicato con controricorso e con memoria ex art. 378 c.p.c.. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, la Rio Bianco s. a. r. l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2697, 2729 c.c., art. 115 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (nel testo applicabile ratione temporis).

1.1. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte di Appello abbia escluso – peraltro con motivazione del tutto incongrua ed inadeguata – il risarcimento del danno da mancato utile, derivante dal ritardo nell’esecuzione delle opere per causa imputabile alla stazione appaltante, sotto il profilo della mancata partecipazione ad altre gare, per non avere la (OMISSIS) s.p.a., originaria titolare del credito, provato quali gare si fossero tenute nel periodo in contestazione, a quali di esse la predetta società avrebbe potuto partecipato, e di quali tra esse la medesima avrebbe potuto rendersi aggiudicataria. Sostiene, per contro, la istante che la prova di tale pregiudizio che – a suo avviso – non dovrebbe essere particolarmente specifica e rigorosa, ben avrebbe potuto essere desunta dal giudice di merito, sul piano presuntivo, dalla stessa “qualità di imprenditore operante nel settore delle opere pubbliche” (p. 25), pacificamente rivestita – all’epoca della stipula del contratto di appalto – dalla (OMISSIS) s.p.a.

1.2. La censura è infondata.

1.2.1. L’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di “chance” esige, infatti, la prova, anche presuntiva, purchè fondata su circostanze specifiche e concrete, dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (cfr. Cass. 4052/2009; 11353/2010; 22376/2012). In particolare, la perdita di “chance” – in astratto configurabile nel caso concreto – costituisce un danno patrimoniale risarcibile, qualora sussista un pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare) consistente non in un lucro cessante, bensì nel danno emergente da perdita di una possibilità attuale. Ne deriva che la “chance” è anch’essa un’entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta “chance”, intesa come attitudine attuale (Cass. 11322/2003; 12243/2007).

1.2.2. Ebbene, non può revocarsi in dubbio che, nel caso di specie, la mera appartenenza dell’impresa appaltatrice al settore degli appalti pubblici non può concretare – come assume la ricorrente – una presunzione di perdita certa, o altamente probabile, della chance di aggiudicarsi altre gare nel periodo in considerazione. Tale conclusione non può, invero, desumersi – come ha del tutto correttamente ritenuto la Corte di Appello – dalla sola qualità soggettiva dell’impresa esecutrice dei lavori, senza alcuna allegazione concreta di domande di partecipazione a gare, nonchè di elementi di valutazione circa il possesso di particolari requisiti tecnici e finanziari per partecipare ed aggiudicarsi, con rilevante probabilità, le gare tenutesi nell’arco temporale in discussione.

1.3. Per tali ragioni, dunque, la doglianza non può essere accolta.

2. Con il secondo motivo di ricorso, la Rio Bianco s. a. r. l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2697 c.c. e art. 167 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (nel testo applicabile ratione temporis).

2.1. Lamenta la ricorrente che la Corte di Appello – peraltro in forza di una motivazione del tutto incongrua – non abbia liquidato in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., i danni per il personale ed i mezzi rimasti inutilizzati durante la sospensione dei lavori, e che la medesima non abbia neppure tenuto conto, a tal fine, della mancata contestazione, da parte dell’appaltante, dell’elenco di uomini e mezzi prodotto, sia in sede di iscrizione della relativa riserva, che nel giudizio di merito, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., che – anche nel testo applicabile ratione temporis (precedente la riforma del 1995) – a parere della istante imponeva al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda.

2.2. La doglianza è infondata.

2.2.1. Per quanto concerne la liquidazione equitativa, va osservato, invero, che la liquidazione del danno da lucro cessante richiede come dianzi detto – un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), che può essere equitativamente svolto solo in presenza di elementi specifici e certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l’entità del danno subito (cfr. Cass. 24632/2015; 11254/2011). Nel caso concreto, la Corte territoriale ha, per contro, accertato che l’appellante SIMA s.r.l. non aveva dato “concreta dimostrazione degli elementi di fatto (mezzi e personale) rimasti in cantiere durante la sospensione dei lavori: elementi necessari per potere (….) procedere al calcolo della relativa pretesa” (pp. 15 e 16). Nè tale prova – e sul punto la motivazione dell’impugnata sentenza è da reputarsi del tutto corretta – poteva essere costituita dall’elenco unilateralmente formato dalla stessa impresa appaltatrice e prodotto in sede di iscrizione della relativa riserva e nel corso del giudizio di merito.

2.2.2. Quanto alla mancata contestazione di tale elenco, va osservato che, nei giudizi instaurati – come il presente, incardinato con citazione notificata l’1 agosto 1987 – con rito ordinario anteriormente all’entrata in vigore della L. 26 novembre 1990, n. 353, (che ha modificato il comma 1 dell’art. 167 c.p.c., imponendo al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda), affinchè il fatto allegato da una parte possa considerarsi pacifico, sì da poter fondare la decisione ancorchè non provato, non è sufficiente la mancata contestazione, occorrendo che la controparte ammetta il fatto esplicitamente o che imposti il sistema difensivo su circostanze e argomentazioni logicamente incompatibili con la sua negazione (Cass. 10815/2004; 20211/2012; 8591/2014). Ebbene, nel caso di specie, è da escludersi che la Fondazione San Giovanni Battista abbia ammesso la sussistenza di tali voci di danno o che la medesima abbia impostato le proprie difese nel senso di non contestare il pregiudizio in discussione, risultando, per contro, dalla comparsa di risposta trascritta, sul punto, nel controricorso (p. 9), che l’ente appaltante aveva specificamente contestato le allegazioni dell’appaltatrice circa i pretesi pregiudizi derivanti dal mancato ammortamento dei beni strumentali e dazi costi del personale non utilizzato, mancando “assolutamente la prova che la società abbia inutilmente sopportato i costi corrispondenti”.

2.3. Il mezzo va, di conseguenza, rigettato.

3. Con il terzo motivo di ricorso, la Rio Bianco s. a. r. l. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., comma 2, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (nel testo applicabile ratione temporis).

3.1. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte di Appello abbia riconosciuto la rivalutazione monetaria sugli importi liquidati a titolo di risarcimento dei maggiori oneri e danni subiti dall’appaltatrice, in conseguenza della condotta inadempiente della stazione appaltante, ma solo con decorrenza dalla data della domanda proposta in sede arbitrale, e non – come avrebbe dovuto – dalla data in cui il danno si è verificato o da quella di iscrizione delle riserve.

3.2. La doglianza è infondata.

3.2.1. Ed invero, va osservato che negli appalti pubblici, ove sussista l’indicato inadempimento dell’amministrazione appaltante, in applicazione dei principi generali sulla responsabilità contrattuale, sulla somma corrispondente al risarcimento – soggetta a rivalutazione monetaria in quanto debito di valore – competono all’appaltatore anche gli interessi legali, gli uni e l’altra con decorrenza dalla domanda giudiziale (o da altro atto idoneo di costituzione in mora), non già dalla data dell’evento dannoso, come avviene per l’illecito extracontrattuale (cfr. Cass. 4869/1994; 12652/1997; 9338/2009; 6545/2016). Con specifico riferimento alla formulazione di riserve, si è, dipoi, affermato che la “riserva” di cui l’appaltatore è onerato al fine di evitare la decadenza da domande di ulteriori compensi, indennizzi o risarcimenti richiesti in dipendenza dello svolgimento del collaudo, non può assurgere al valore di atto di costituzione in mora secondo il regime civilistico dell’istituto, con la conseguenza che gli interessi sulle somme risultanti effettivamente dovute da parte dell’amministrazione vanno liquidati con decorrenza dalla data della domanda introduttiva del giudizio arbitrale, quale unico momento all’uopo rilevante, in quanto è allo stesso appaltatore consentito di attuarsi per la relativa proposizione (Cass. 11209/1990).

3.2.2. Alla stregua dei principi suesposti non può, pertanto, revocarsi in dubbio che la decorrenza della rivalutazione monetaria, determinata dalla Corte territoriale con riferimento alla data di proposizione della domanda di arbitrato, deve ritenersi del tutto corretta. 3.3. Il motivo va, pertanto, disatteso.

4. Per tutte le ragioni che precedono, il ricorso proposto dalla Rio Bianco s. a. r. l. deve essere, di conseguenza, integralmente rigettato.

5. Le spese del presente giudizio, sostenute dalla Fondazione San Giovanni Battista, seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione;

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016

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