Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19603 del 30/09/2016


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Cassazione civile sez. I, 30/09/2016, (ud. 14/07/2016, dep. 30/09/2016), n.19603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 350-2012 proposto da:

COMUNE DI EBOLI, (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 57,

presso l’avvocato CLAUDIA DE CURTIS, rappresentato e difeso dagli

avvocati DOMENICO ROMANO, ALDO STARACE, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G.F., SOCIETA’ CONSORTILE MISTA PER L’ATTUAZIONE

DEL PIANO PER GLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI DEL COMUNE DI EBOLI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 164/2011 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 24/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2016 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.G.F. convenne in giudizio innanzi alla Corte d’Appello di Salerno il Comune di Eboli e la Società Consortile Mista per l’attuazione del PIP, approvato con Delib. n. 194 del 1998, proponendo opposizione avverso la determinazione delle indennità di occupazione ed espropriazione dell’area di mq. 511, di sua proprietà, facente parte di quel piano.

La Corte adita, nel contraddittorio coi convenuti, con la decisione indicata in epigrafe, e per quanto d’interesse: a) indicò nel Comune in cui favore era stata pronunciata l’espropriazione il soggetto tenuto al deposito della relativa indennità, escludendo la sussistenza di una concessione traslativa a vantaggio della Società Consortile; b) determinò l’ammontare del dovuto, in riferimento al valore venale di E/mq. 45,77 del terreno espropriato, di natura edificatoria, in conformità di una consulenza posta a base della sentenza n. 625 del 2010, emessa da essa Corte e riferita ad altri terreni espropriati nella medesima zona PIP, ritenendo di non poter condividere la minore stima compiuta dal nominato CTU, che aveva operato una selezione degli atti da utilizzare in comparazione in modo non convincente; c) escluse la rilevanza della dichiarazione infedele, a fini dell’ICI, sanzionata sotto il solo profilo fiscale; d) escluse di poter procedere alla chiesta riduzione del 25%, di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89 ritenuta inapplicabile ratione temporis, ai sensi dell’art. 90 cit. legge.

Il Comune di Eboli ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, con quattro motivi. Gli intimati non hanno svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, si deduce la violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c., oltre che vizio di motivazione. Il ricorrente afferma che, costituendosi in giudizio, aveva negato la sua legittimazione passiva e proposto in subordine domanda di regresso nei confronti della Cooperativa e degli assegnatari. Escluso il litisconsorzio nei confronti dei predetti assegnatari (rappresentati dalla Società Consortile) e rigettata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, secondo quanto affermato al punto a) della narrativa, prosegue il ricorrente, la Corte avrebbe dovuto pronunciare sulla domanda di garanzia – manleva- regresso.

1.1. Il motivo è infondato. La Corte territoriale non aveva alcun dovere (costituente il presupposto del vizio di omessa pronuncia) di procedere all’esame di detta domanda e di statuire al riguardo (Cass. n. 2445 del 2010; n. 12412 del 2006), in considerazione della sua inammissibilità, derivante dall’incompatibilità con il giudizio di determinazione della stima, che è circoscritto alle questioni relative all’ammontare delle indennità di occupazione ed espropriazione, a quelle accessorie di pagamento degli interessi e dell’eventuale maggior danno per il tardato adempimento, nei soli rapporti tra il soggetto espropriante e quello espropriato. Sotto tale profilo, va richiamato il costante orientamento di questa Corte, secondo il quale ogni domanda di rivalsa, in quanto incompatibile con tale giudizio, e riconducibile nell’alveo della c.d. garanzia impropria, è dotata di piena autonomia e deve essere proposta separatamente (Cass. n. 24086 del 2015 e giurisprudenza ivi richiamata). Il collegio condivide tale indirizzo, al quale intende dare continuità, dovendo evidenziare che il testo unico sulle espropriazioni nulla ha innovato al riguardo, e ciò al fine di salvaguardare la celerità che il legislatore ha inteso imprimere al giudizio di opposizione alla stima – che si svolge, infatti, in un unico grado – e che, diversamente sarebbe, certamente, compromessa. 1.2. Resta da aggiungere che tale conclusione non interferisce in alcun modo col principio, invocato dal ricorrente, del pareggio tra costo di acquisizione dai privati delle aree necessarie per la realizzazione dei piani e delle relative opere di urbanizzazione, se già realizzate, e prezzo dell’assegnazione, principio che andrà fatto valere nei confronti degli assegnatari.

2. Il secondo motivo, col quale il Comune ha lamentato la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16 in riferimento al punto c) di parte narrativa, prospetta una questione totalmente superata: la Corte Cost. con la sentenza n. 338 del 2011 ha, infatti, dichiarato illegittima la disposizione invocata perchè non compatibile con il nucleo minimo di tutela del diritto di proprietà, quale precisato dalla giurisprudenza della stessa Corte Cost. e della Corte EDU, secondo cui l’indennità di espropriazione non può ignorare “ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene” nè può eludere un “ragionevole legame” con il valore di mercato del bene stesso.

3. Col terzo motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90, in riferimento alla statuizione di cui al punto d) della narrativa. In base alla norma interpemporale di cui al comma 90 della menzionata disposizione, la novella andava applicata. 3.1. Il motivo è infondato: le disposizioni invocate si applicano soltanto alle procedure espropriative soggette al predetto Testo Unico cioè quelle in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta dopo la sua entrata in vigore (30 giugno 2003), secondo le previsioni dell’art. 57, come modificato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302 – mentre nelle procedure soggette al regime pregresso, quale quella in esame, rivive la L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 e va, quindi, fatto riferimento al valore di mercato (cfr. da ultimo, Cass. n. 6798 del 2013). Ad abundantiam, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il presupposto dell’intervento di riforma economico-sociale, che giustifica l’invocata riduzione del 25 per cento del valore venale del bene ai fini della determinazione dell’indennità, resta integrato quando l’intervento riguardi l’intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate e sia, quindi, attuato in forza di una previsione normativa che in tal senso lo definisca (Cass. n. 2774 del 2012; Cass. n. 1621 del 2016).

4. Con il quarto mezzo, si deduce il vizio di motivazione in relazione alla determinazione del valore venale del suolo, di cui alla statuizione sub b) della narrativa. Il ricorrente afferma che l’esclusione dalla comparazione di alcuni atti era stata congruamente giustificata dal nominato CTU, dalla cui valutazione la Corte si era, invece, discostata con motivazione apparente, e rinviando acriticamente alla stima svolta in altro giudizio, stima del tutto erronea perchè desunta da valori di altra zona, ed effettuata senza tener conto delle differenze di dotazioni infrastrutturali e dando rilievo alla distanza topografica in sè poco significativa. Sotto altro profilo, prosegue il ricorrente, la mancata valutazione dei costi delle opere di urbanizzazione, perchè non documentati, collide col principio secondo cui tali costi derivano notoriamente e necessariamente da “elementi tecnici tipici”. 4.1. Il motivo è infondato. La Corte territoriale si è discostata dal parere espresso dal CTU, che non aveva tenuto conto di alcuni atti quali parametri di comparazione, con argomentazioni del tutto congrue, (in particolare, la circostanza che si trattava di atti risalenti è stata ritenuta inidonea a giustificarne l’esclusione, perchè non supportata da elementi attestanti una progressiva riduzione del valore di beni similari). Legittimamente, dunque, i giudici del merito hanno fatto riferimento per la determinazione del valore del bene alla sentenza n. 625 del 2010 emessa nei confronti del Comune e della Società consortile a seguito di opposizione alla stima di altri proprietari del medesimo PIP, decisione ormai passata in giudicato a seguito della sentenza n. 8861 del 2012 con cui questa Corte ha rigettato il ricorso del Comune e dichiarato inammissibile quello proposto da una parte assegnataria. 4.2. Deve, infatti, ritenersi che il c.d. criterio sintetico-comparativo (utilizzato nella specie) sia correttamente applicato anche quando si fondi su elementi ricavati da precedenti consulenze tecniche o da decisioni giudiziali, atteso che il probabile valore di mercato del bene da stimare non va necessariamente desunto dai contratti di compravendita, semprecchè, ed il caso ricorre nella specie (tanto che parte ricorrente riproduce nel ricorso stralci di quella consulenza) tali fonti alternative siano esattamente individuate, cosi consentendo il dispiegarsi del diritto di difesa (Cass. n. 3175 del 2008; 5515 del 2016). 4.3. Le censure a tale stima, riferite all’incidenza dei costi di urbanizzazione sono poi inammissibili, perchè attingono al merito, tenuto conto peraltro che la censura è essenzialmente modellata sul diverso computo relativo all’ammontare del prezzo dovuto dagli assegnatari (cui vanno computati detti costi) mentre nella specie è in valutazione il valore del suolo espropriato, la cui pacifica destinazione edificatoria rende inconferente il riferimento operato dal ricorrente ai VAM, peraltro dichiarati incostituzionali con sentenza n. 181 del 2011 della Corte Cost.

5. Non va provveduto sulle spese, in assenza di attività difensiva delle parti intimate.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016

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