Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19603 del 26/09/2011
Cassazione civile sez. I, 26/09/2011, (ud. 01/07/2011, dep. 26/09/2011), n.19603
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA TEODOSIO MACROBIO 3, presso l’avvocato
GABRIELLI ENRICO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato MONFRINI EMILIO, giusta procura speciale per Notaio
Dott. 2011 CARMELO SINATRA di GIARRE (CATANIA) – Rep.n. 35.967 del
13.6.2011 e procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
D.F.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA LIMA 22, presso l’avvocato NICOLOSI MARCO, rappresentato
e difeso dall’avvocato MANGANO ANTONIO, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE
D’APPELLO DI CATANIA;
– Intimato –
avverso la sentenza n. 92/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,
depositata il 24/01/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
01/07/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato E. GABRIELLI che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato M. NICOLOSI che ha chiesto
il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CARESTIA Antonietta che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 18-11-2004, il tribunale di Catania dichiarava che D.F.F., nato a (OMISSIS), era figlio di M. P. e condannava quest’ultimo alle spese del giudizio.
Avverso la sentenza proponeva appello il M.P..
Deduceva la mancata integrazione del contraddittorio, in quanto non era stata citata la propria figlia legittima ritenuta litisconsorte necessaria.
Assumeva, poi, che i testi sulle cui dichiarazioni era stata fondata la pronuncia erano inattendibili, poichè riferivano notizie apprese de relato.
Concludeva, quindi, che l’azione intrapresa dal D.F. era pretestuosa e chiedeva l’annullamento della sentenza per mancanza di prova sulla paternità. Spiegava infine nelle note autorizzate che si era sottratto all’esame del DNA per gravi motivi salute.
Si costituiva il D.F., chiedendo il rigetto dell’appello.
La Corte d’appello di Catania, con sentenza depositata il 24.1.09, rigettava l’appello.
Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione il M. sulla base di tre motivi, illustrati con memoria, cui resiste con controricorso il D.F..
Il collegio in camera di consiglio ha optato per la motivazione semplificata.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente si duole della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della propria figlia.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha già avuto occasione di stabilire che a norma del disposto dell’art. 276 cod. civ., comma 1 legittimato passivo nel giudizio per l’accertamento della paternità naturale è il presunto genitore, ovvero, in caso di mancanza di questo, i suoi eredi. Da ciò consegue che la posizione di altri soggetti, portatori di interessi patrimoniali e non patrimoniali contrari all’accertamento della filiazione, quali il coniuge ed i figli legittimi del presunto genitore, resta regolata dal richiamato art. 276 cod. civ., comma 2 che attribuisce loro la legittimazione a contraddire alla domanda intervenendo nel processo, ma non anche quella ad essere citati in giudizio come contraddittori necessari, senza che ciò comporti contrasto con i precetti degli artt. 3, 29 e 30 Cost. (Cass. 8915/93).
Il secondo motivo, proposto sotto il profilo del vizio di motivazione e della violazione dell’art. 116 c.p.c., è inammissibile perchè privo di quesito ex art 366 bis c.p.c..
Il terzo motivo, relativo alle spese processuali, è inammissibile perchè in realtà non contiene alcuna censura alla liquidazione effettuata dal giudice di merito, ma si limita ad affermare che a seguito dell’esito del presente giudizio le stesse, se esso ricorrente sarà vittorioso andranno poste a carico della controparte.
Il ricorso va in conclusione respinto.
Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio (liquidate in Euro 3000,00 per onorari (oltre Euro 200,00 per esborsi , oltre spese generali e accessori di legge.
Si dispone l’osservanza delle prescrizioni del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 1 luglio 2011.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2011