Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19602 del 30/09/2016


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Cassazione civile sez. I, 30/09/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 30/09/2016), n.19602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23812-2011 proposto da:

B.L., (c.f. (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK S.P.A., già UNICREDITO GESTIONE

CREDITI S.P.A., quale incorporante della ASPRA FINANCE S.P.A., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BONCOMPAGNI 16, presso l’avvocato PASQUALE

LANDOLFI, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 456/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 16/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2016 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato GIUSEPPE VESCUSO, con delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Il Tribunale di Napoli – Sezione stralcio rigettò l’opposizione proposta da I. e B.A., Fimin s.p.a., Cedina s.p.a., Iniziative Balsamo s.p.a. e T.A. avverso il decreto ingiuntivo di pagamento emesso nei loro confronti (quali fideiussori della Balsamo Costruzioni s.p.a.) su ricorso di Capitalia s.p.a.

2. L’appello, proposto dagli eredi (in epigrafe indicati) di T.A. deceduta durante il giudizio di primo grado, è stato dichiarato inammissibile, perchè proposto oltre il termine c.d. lungo previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1, dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza depositata il 16 febbraio 2011. La corte distrettuale, rilevato che in calce alla sentenza di primo grado risultano apposti due timbri sottoscritti dal Cancelliere – il primo attestante il deposito in Cancelleria il 4 giugno 2003 ed il secondo contenente la dicitura “sentenza pubblicata il 10 ottobre 2003” – e che l’atto di appello risulta notificato in data 24 novembre 2004, ha ritenuto doversi dare rilievo, ai fini della decorrenza del termine per l’appello, al primo dei due timbri, ed ha quindi concluso che il termine per l’appello era scaduto sin dal 19 luglio 2004.

3. Avverso la sentenza gli eredi T. hanno proposto tempestivo ricorso a questa Corte sulla base di due motivi, illustrati anche da memoria, cui resiste con controricorso Unicredit Credit Management Bank s.p.a., quale società incorporante di Aspra Finance s.p.a., a sua volta cessionaria del credito controverso.

4. Con i due motivi i ricorrenti denunciano, rispettivamente, la violazione degli artt. 119, 133 e 327 c.p.c. e la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., oltre al vizio di motivazione. Tali doglianze – esaminabili congiuntamente stante la stretta connessione – sono fondate alla luce degli orientamenti giurisprudenziali sopravvenuti alla emissione della sentenza impugnata ed alla proposizione del ricorso in esame.

4.1. Infatti, alla pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 13794/12 – che, sulla base di una interpretazione del disposto dell’art. 133 c.p.c., avevano risolto il conflitto tra la prima e la seconda data, tra quelle apposte dal cancelliere per attestare il deposito e la pubblicazione della sentenza, nel senso della prevalenza della prima, pur facendo espressamente salvo, a tutela del diritto di difesa, il potere del giudice dell’impugnazione di rimettere in termini, anche d’ufficio, la parte rimasta incolpevolmente ignara del deposito della sentenza – è stata sollevata, da parte di questa Corte (ord. n. 26251/13), questione di legittimità costituzionale dell’art. 133, commi 1 e 2, e art. 327 c.p.c., comma 1. E la Corte Costituzionale, con sentenza n. 3/2015, pur ritenendo la questione non fondata, ha esposto i punti essenziali della interpretazione costituzionalmente orientata delle norme richiamate (tale quindi da rendere conformi a Costituzione le norme stesse), affermando in sintesi che, in presenza della grave patologia costituita dalla separazione temporale dei due passaggi in cui si articola la procedura di pubblicazione della sentenza, solo con il compimento delle operazioni prescritte dalla legge può dirsi realizzata quella pubblicità alla quale è subordinata la titolarità in capo ai potenziali interessati di puntuali situazioni giuridiche, come il potere di prendere visione degli atti e di estrarne copia: parte integrante della garanzia costituzionale del diritto di difesa è infatti che i soggetti abbiano tempestiva conoscenza degli atti oggetto di una possibile impugnazione, in modo che siano utilizzabili nella loro interezza i termini di decadenza previsti per l’esperimento del gravame. Ne deriva secondo la Corte Costituzionale: a) che per costituire dies a quo del termine per l’impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misura volte a garantirne la conoscibilità, e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzato esclusivamente in corrispondenza di quest’ultima; b)che il ritardato adempimento, attestato dalla diversa data di pubblicazione, rende inoperante la dichiarazione dell’intervenuto deposito, pur se formalmente rispondente alla prescrizione normativa: in tali casi, deve soccorrere l’istituto della remissione in termini per causa non imputabile, inteso come doveroso rimedio ad uno stato di fatto contro legem che, in quanto addebitabile alla sola amministrazione giudiziaria, non può in alcun modo incidere sul fondamentale diritto all’impugnazione.

4.2. Alla luce delle chiare indicazioni che precedono, questa Corte ha già avuto modo più volte di affermare che, ai fini della decorrenza del termine lungo, ex art. 327 c.p.c., ove sulla sentenza siano state apposte due date, una di deposito, senza espressa specificazione che il documento contiene soltanto la minuta del provvedimento, e l’altra di pubblicazione, occorre avere riguardo -secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata – alla seconda annotazione, cui consegue l’effettiva pubblicità della sentenza con il compimento delle operazioni prescritte dall’art. 133 c.p.c., quali misure volte a garantire la conoscibilità della decisione, essenziale per l’esercizio del diritto di difesa (cfr. Cass. Sez. 6-L n. 6050/15; n. 641/16). Conclusione, questa, ulteriormente giustificata, tenendo presenti le indicazioni offerte già dalle Sezioni Unite e dalla Corte Costituzionale nelle pronuncie sopra ricordate, da Cass. Sez. 6-2 n. 10675/15 nel senso che si intende rimessa in termini e non decaduta la parte che abbia proposto l’impugnazione nel termine “lungo” decorrente non dalla data di deposito, ma dalla successiva data di pubblicazione, qualora emerga dagli atti, anche per implicito, che dall’attestazione del deposito non sia derivata la conoscenza della sentenza.

4.3. Applicando questi principi alla fattispecie esaminata, l’appello deve ritenersi ammissibile, perchè – tenendo presenti i dati pacifici esposti nella sentenza della Corte d’appello – la sentenza di primo grado è stata depositata, come attestato con timbro-datario recante il nome del cancelliere ( S.M.U.) e dalla sua sottoscrizione, in data 4 giugno 2003, e “pubblicata”, secondo il sottostante timbro-datario anch’esso sottoscritto dal cancelliere, il 10 ottobre 2003, non risultando in alcun modo che dall’attestazione del deposito sia derivata la Conoscenza della sentenza in capo alle parti. Alla seconda annotazione dell’ufficio di cancelleria denominata “pubblicazione della sentenza”, deve essere dunque ancorata la decorrenza del termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., con la conseguenza che la notifica dell’atto di appello in data 24 novembre 2004 è da ritenere tempestiva.

5. Si impone pertanto la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio della causa, per l’ulteriore trattazione, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, che regolaerà anche le spese di questo giudizio di cassazione.

PQM

La Corte cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016

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