Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19602 del 27/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19602 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 6878-2010 proposto da:
SPORT MIANI DI MIANI ANTONIO SILVANO & C. S.N.C.
02630780969, in persona del rappresentante legale sig.
ANTONIO SILVANO MIANI, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA LUIGI LUCIANI l, presso lo studio
A

2013
1348

dell’avvocato CARLEO ROBERTO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato D’APRILE GUIDO giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

BELLINI

CRISTINA

BLLCST47E47F740V,

1

elettivamente

Data pubblicazione: 27/08/2013

domiciliata in ROMA, VIA DARDANELLI 13, presso lo
studio

dell’avvocato

MASSIMO

FRONTONI,

che

la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SCOTTI
CAMUZZI PAOLA giusta delega in atti;
– controricorrente –

BELLINI VITTORIO, BELLINI ANTONIO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 2838/2009 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 23/11/2009 R.G.N. 1737/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/06/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito l’Avvocato DANIELE MANCA BITTI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

nonchè contro

R.g.n. 6878-10 (ud. 13.6.2013)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Il 28 settembre 2006 Vittorio Bellini, Antonio Bellini e Cristina Bellini
intimavano dinanzi al Tribunale di Monza sfratto per morosità alla Società Sport Miani
Antonio e Silvano e C. s.n.c., riguardo alla locazione ad uso diverso da quello abitativo di
un immobile sito in Monza, locato a detta società con contratto del settembre 2005.
Adducevano l’esistenza di una morosità per il trimestre dal luglio al settembre 2006.

Sull’opposizione alla convalida della società intimata, il Tribunale, negata la
convalida dello sfratto, disponeva il cambiamento del rito ai sensi dell’art. 667 c.p.c. e,
quindi, all’esito dello svolgimento della cognizione piena, con sentenza dell’aprile 2007
dichiarava risolto di diritto il contratto in forza di una asserita clausola risolutiva espressa
in esso contenuta e condannava la società conduttrice al rilascio dell’immobile, oltre che al
pagamento dell’indennità di occupazione dal secondo trimestre del 2007 sino al rilascio.
§2. Sull’appello della conduttrice e nella resistenza soltanto di Vittorio e Cristina
Bellini, essendo rimasto contumace Antonio Bellini, la Corte d’Appello di Milano, con
sentenza del 23 novembre 2009, confermava la sentenza di primo grado con gravame delle
spese di lite a carico degli appellanti.
§3. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi la
Sport Miani di Miani Antonio Silvano e C. s.n.c.
Ha resistito con controricorso Cristina Bellini, mentre non hanno svolto attività
difensiva Vittorio ed Antonio Bellini.
§4. Le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione degli
art. 1456 c.c., 1455 c.c., 1367 c.c. (ciò in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.)”, nonché
“omessa o quantomeno insufficiente motivazione circa un fatto controversi e decisivo per
il giudizio in relazione agli art. 1362 c.c. — 1363c.c. — 1364 c.c. e 1365 c.c. (e ciò in
relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.)”.
Vi si sostiene, sia sotto il profilo della violazione delle norme di diritto indicate, sia
sotto quello del vizio ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., che la Corte territoriale avrebbe
male interpretato la clausola di cui all’art. 15 del contratto locativo, individuando, sulla
base del solo criterio di esegesi dell’art. 1367 c.c., il suo significato come diretto a
3
Est. Cons.

e Frasca

R.g.n. 6878-10 (ud. 13.6.2013)

prevedere una clausola risolutiva espressa del contratto locativo e, quindi, abbia ritenuto
che sulla base del suo operare la morosità dedotta nella citazione per convalida fosse stata
automaticamente idonea a giustificare la risoluzione di diritto del contratto.
§1.1. L’illustrazione del motivo riproduce il contenuto della clausola, ma non indica
se e dove sia stato prodotto in questa sede il contratto locativo e, quindi, non rispetta il
requisito della c.d. indicazione specifica di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c., ai fini della cui
osservanza, quando il motivo di ricorso per cassazione si fonda su un documento, è

necessario che il ricorrente, oltre a riprodurre direttamente la parte del documento che
fonda il ricorso oppure ad indicarla riassuntivamente, ma individuando la parte del
documento cui tale indiretta riproduzione corrisponde, indichi dove è stato prodotto nelle
fasi di merito e, soprattutto, se e dove sia stato prodotto in sede di legittimità. Ciò, al fine di
consentire alla Corte di percepire, oltre al contenuto fondante il ricorso, dove poter
esaminare il documento al fine di riscontrare quanto su di essa viene fondato.
Nella specie viene in rilievo la consolidata giurisprudenza di questa Corte a partire a
partire da Cass. (ord.) n. 22303 del 2008 e Cass. sez. un. n. 28547 del 2008, cui si può
aggiungere Cass. sez. un. n. 7161 del 2010 e, per gli atti processuali, Cass. sez. un. n.
22726 del 2011; da ultimo si vedano le ampie considerazioni di Cass.(ord.) n. 7455 del
2013.
§1.2. Il motivo sarebbe, comunque privo di fondamento.
Invero, esso si articola in tre censure.
§1.2.1. Con la prima, sulla premessa che la clausola di cui trattasi, là dove ha fatto
richiamo al “grave inadempimento ex art. 1455 c.c.” sarebbe da leggere come se avesse
voluto soltanto prevedere che il mancato pagamento dell’affitto e delle spese accessoria
sarebbe stato causa di risoluzione del rapporto, ma non avrebbe voluto in alcun modo
vincolare il relativo apprezzamento giudiziale, si sostiene che erroneamente la Corte
territoriale l’avrebbe intesa come clausola risolutiva ai sensi dell’art. 1456 c.c. L’assunto è
sostenuto con il richiamo ad una sentenza di merito, che sarebbe espressione di
“orientamento giurisprudenziale”.
La censura, al di là della singolarità di invocazione di un siffatto orientamento sulla
base di una sentenza di merito e tra l’altro senza riferire l’esatta fattispecie che essa
giudicò, è manifestamente infondato, atteso che trascura completamente il dato letterale
per cui la previsione della clausola contrattuale mostra di porsi expressis verbis sul terreno
della risoluzione di diritto, dato che usa tale terminologia.

4
Est. Cons.lRiffaJe Frasca

R.g.n. 6878-10 (ud. 13.6.2013)

§1.2.2. Con la seconda censura ci si duole che la Corte territoriale avrebbe male
applicato l’art. 1367 c.c., in quanto, anziché applicarlo quale criterio di esegesi diretto a
mantenere l’efficacia della clausola, cioè nel senso di darle qualche effetto, l’avrebbe
inteso come giustificativo dell’attribuzione di un effetto maggiore di quello che essa
sarebbe idoneo a produrre.
La censura è fondata sull’assunto che la clausola sarebbe stata idonea soltanto a
richiamare l’operatività del criterio di cui all’art. 1455 c.c., cioè — parrebbe – a sancire che,

di fronte al mancato puntuale pagamento in tutto od in parte anche di una sola rata del
canone, la risoluzione del contratto si sarebbe verificata soltanto in presenza di un grave
inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c., come tale da apprezzarsi da parte del giudice.
L’assunto è privo di pregio.
Lo è perché, se la clausola fosse da interpretare nel senso ipotizzato dalla ricorrente,
sarebbe stata prevista in modo del tutto inutile. Infatti, la previsione che la mancanza di un
adempimento puntuale di una sola rata del canone avrebbe potuto giustificare la
risoluzione del contratto soltanto se fossero ricorsi gli estremi dell’art. 1455 c.c., si sarebbe
risolta in un mero rinvio all’art. 1455 c.c. e, quindi, alla previsione di una norma, che
comunque sarebbe stata applicabile.
Si sarebbe trattato di clausola del tutto inutile.
Ne deriva che, quando la Corte territoriale ha evocato l’art. 1367 c.c. per giustificare
un apprezzamento di essa come di previsione d’una clausola risolutiva espressa, non ha
fatto altro che dare alla clausola “un effetto” e non già, dunque, “un maggiore effetto!,
come ipotizza la ricorrente.
§1.2.3. La terza censura imputa alla sentenza di avere applicato l’art. 1367 c.c. senza
verificare preliminarmente se l’intento delle parti non fosse stato ricostruibile attraverso
l’utilizzazione dei criteri di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.
La censura non viene motivata ed impinge in inammissibilità per difetto di specificità
(si veda, in termini, Cass. n. 4741 del 2005), atteso che non prospetta come e perché tali
altri criteri, evocati con il mero rinvio alle norme, avrebbero potuto e dovuto indurre la
Corte territoriale a ricostruire la clausola in senso diverso, prima di applicare l’art. 1367
c.c.
In disparte tale assorbente rilievo, il Collegio osserva che il richiamo all’art. 1367
c.c., operato dalla Corte territoriale, se si fosse proceduto all’esegesi della clausola in via di
interpretazione anche solo letterale e, particolarmente, secondo il senso fatto manifesto

5
Est. Cons.

Frasca

R.g.n. 6878-10 (ud. 13.6.2013)

dalle parole, sarebbe stato addirittura ultroneo ed inutile per ricostruire il significato della
clausola stessa.
§1.2.4. Queste le ragioni.
La clausola ha il seguente contenuto: <>.
Ne deriva che la motivazione della sentenza impugnata va corretta là dove ha
ipotizzato che l’esercizio dell’azione ai sensi dell’art. 1456 non fosse avvenuta ritualmente
con il procedimento ai sensi dell’art. 657 c.p.c.

forma speciale di cui all’art. 657 c.p.c., si deve rilevare in concreto che l’esercizio di essa
da parte dei Bellini bene fosse avvenuto con l’invocazione della clausola n. 15 del
contratto e con la dichiarazione riportata fra virgolette dalla Corte territoriale e che, in
modo perfettamente consentaneo alle forme speciali del procedimento (il cui petitum
mediato è l’adozione dell’ordinanza di convalida e, semmai, subordinatamente
all’eventuale opposizione, l’eventuale richiesta di adozione dell’ordinanza di rilascio ai
sensi dell’art. 665 c.p.c., che, peraltro bene può farsi anche solo all’udienza di
comparizione), i conduttori avessero richiesto la convalida e non proposto un petitum di
accertamento della verificazione della fattispecie di risoluzione di diritto ai sensi dell’art.
1456 c.c.
Tale petitum era da formulare all’esito del passaggio del procedimento alla
cognizione piena per effetto dell’opposizione dell’intimata.
Il motivo allora risulta privo di fondamento sia là dove suppone che nella citazione
per convalida non fosse stata già esercitata l’azione ai sensi dell’art. 1456 c.c., sia là dove
postula che comunque non potesse tale azione esercitarsi utilmente con la citazione per
convalida di sfratto.
Ne segue l’inutilità dello scrutinio delle successive sue articolazioni, che si muovono
nella supposizione che l’azione de qua fosse stata validamente formulata solo con la
memoria integrativa conseguente al mutamento del rito ai sensi dell’art. 667 c.p.c. e,
quindi, dopo la sanatoria della morosità verificatasi prima del deposito di detta memoria.
§3. Con un terzo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 1456
c.c. e 1591 c.c. (ciò in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.)”, nonché “omessa motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (ciò con riferimento all’art. 360 n. 5
c.p.c.”.
Vi si censura la sentenza impugnata perché non avrebbe ravvisato rinuncia all’azione
risolutiva, pur ricondotta al’art. 1456 c.c., <>.
Senonché, la Corte territoriale si è, in realtà del problema della colpa occupata
immediatamente dopo, quando ha scritto: <>.
Il riferimento alla buona fede è chiaramente evocativo del profilo della colpa di cui il
motivo vorrebbe discutere e, dunque, il motivo avrebbe dovuto correlarsi a tale parte della
motivazione e prendere posizione su di essa.
Ciò è tanto vero che l’illustrazione del motivo, dopo avere argomentato citando due
sentenze di questa Corte con riferimento alla pretesa omissione di motivazione, scrive
testualmente che <>, con ciò mostrando di avvertire il rilievo della
motivazione in tal senso, che, peraltro, poi pretende di elidere con la mera riproduzione di
due capitoli di prova relativi a circostanza successive a quella data [come si fa rimarcare
con due annotazioni], ma senza chiarire come perché tali circostanza, se provate, avrebbero
potuto dimostrare la propria incolpevolezza. Sicché, il motivo, pur con questa correzione di
rotta, è privo della necessaria attività dimostrativa della decisività delle prove non
ammesse (che corrispondono ai capitoli di prova cinque e sei riprodotti nelle conclusioni
che figurano sulla stessa sentenza impugnata) e si risolve nella inammissibile delega alla
Corte a ricercarla.
Si deve, poi, aggiungere, che si omette di trascrivere direttamente od indirettamente
il contenuto della raccomandata del 12 settembre 2006, con evidente inosservanza dell’art.
366 n. 6 c.p.c.

13
Est. Cons.

vizio della sentenza impugnata sotto tale profilo emergerebbe dall’affermazione che il

R.g.n. 6878-10 (ud. 13.6.2013)

Non è senza rilievo, comunque, la circostanza che, se è vero che <>.
§5. Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo nel rispetto del D.M.
Giusta la richiesta formulata nel controricorso se ne dispone la distrazione a favore
del difensore di Cristina Bellini, Avvocato Paola Scotti Camuzzi.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente
Cristina Bellini delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro seimiladuecento, di
cui duecento per esborsi, oltre accessori come per legge. Distrae le spese così liquidate a
favore dell’Avvocato Paola Scotti Camu7zi.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 13
giugno 2013.

n. 140 del 2012.

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