Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19601 del 27/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19601 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 6818-2010 proposto da:
DI NAPOLI BARBARA DNPBBR75P47H501D n.q. di erede unico
di DI NAPOLI NICOLA, elettivamente domiciliata in
ROMA,

PIAZZA

dell’avvocato

BORGHESE

3,

che

VALENTINO,

CALANDRELLI

studio

lo

presso

la

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1346

contro

PISTOLESI LUCIANO PSTLCN40T19H501Z;
– intimato –

avverso la sentenza n. 495/2009 della CORTE D’APPELLO

1

Data pubblicazione: 27/08/2013

di ROMA, depositata il 03/02/2009, R.G.N. 7214/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/06/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito l’Avvocato VALENTINO CALANDRELLI;

Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione

ritualmente notificata,

Pistolesi Luciano

esponeva che l’avv. Nicola di Napoli l’aveva assistito in una
causa promossa nel 1985 contro l’IPACRI per il riconoscimento
della superiore qualifica professionale di funzionario e per il

dal 1975; che il Pretore di Roma aveva riconosciuto il suo
diritto nei limiti della prescrizione eccepita dall’IPACRI
condannando la convenuta al pagamento di L.10.063.759 lorde
annue e lire 50.647.656 a titolo di arretrati;che la sentenza
era stata annullata dal Tribunale di Roma; che la Corte di
Cassazione,su suo ricorso, aveva cassato la sentenza con rinvio
al Tribunale di Frosinone ritenendo e affermando, come
principio cui il giudice di rinvio doveva attenersi, che la
assegnazione alla categoria di funzionario, avvenuta nel 1975,
non poteva essere considerata un mero mutamento di nomenclatura
ma un vero inserimento in un nuova categoria di diversa
istituzione in relazione ad una prestazione lavorativa diversa,
con conseguenti riflessi sulla retribuzione a far data dal
1.1.1976; che su consiglio del difensore non aveva riassunto la
causa di fronte al Tribunale di Frosinone ma solo, considerato
che l’IPACRI stava adempiendo spontaneamente al pagamento delle
differenze retributive previo assegno

ad personam,

indirizzato

lettere di interruzione della prescrizione; che tuttavia
pagamenti delI’IPACRI avvenivano sempre con riserva di diritto
di retrocessione delle somme; che quindi l’IPACRI, non avendo

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pagamento delle relative maggiorazioni professionali a far data

egli riassunto la causa di fronte al giudice di rinvio, nel
termine annuale previsto, aveva cessato nel dicembre 1994 la
corresponsione della somma

mensile di lire 657.762 ; che

1’11.2.1997 aveva iniziato un nuovo processo per il
riconoscimento del diritto ed il pagamento delle differenze

eccepito la prescrizione del diritto e chiesto in via
riconvenzionale il pagamento delle somme già versate in
esecuzione della prima sentenza pari ad oltre 171 milioni di
lire ; che tale assunto era stato accolto dal Pretore di Roma
con conseguente accoglimento del diritto alla restituzione
della somma originariamente pagata da IPACRI. Tutto ciò
premesso, chiedeva dichiararsi la responsabilità del DI NAPOLI
in quanto non gli aveva prospettato correttamente le differenti
conseguenze della omessa riassunzione del processo a seguito di
rinvio dalla Cassazione e della interruzione della prescrizione
relativa alle differenze retributive. Il convenuto si
costituiva e chiedeva il rigetto della domanda; dopo aver
sentito alcuni testi sulla condotta delle parti durante la
causa contro IPACRI ( tra cui un altro soggetto che aveva
proposto la stessa causa) , il giudice di primo grado
accoglieva la domanda del Pistolesi e condannava il convenuto
al pagamento della somma di C 23.541,4 (pari alle somme non
corrisposte dal 1994 al 1997) oltre accessori. Avverso tale
decisione proponeva appello il Di Napoli. In esito al giudizio,
nel corso del quale decedeva l’appellante, per cui la sua

4

LI/1A

retributive a far data dal dicembre 1994; che l’IPACRI aveva

posizione processuale veniva rilevata dalla unica erede Barbara
Di Napoli, la Corte di Appello di Roma con sentenza
depositata in data 3 febbraio 2009 respingeva l’impugnazione.
Avverso la detta sentenza la Di Napoli ha quindi proposto
ricorso per cassazione articolato in tre motivi.

Con la prima

doglianza,

deducendo la contraddittoria

motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, la ricorrente
ha dedotto che la Corte di Appello sarebbe incorsa nel vizio
motivazionale denunciato nella parte in cui dapprima ”

ha

ritenuto che l’unico danno subito dal Pistolesi era costituito
dalla mancata corresponsione delle differenze retributive dal
1980 al 1985 ma poi ha confermato la sentenza di primo grado
che aveva invece riconosciuto come unico danno effettivo la
mancata corresponsione delle maggiorazioni retributive dal 1994
al 1997. (v. pag.7 del ricorso)
Ha quindi individuato il fatto controverso e decisivo, sul
quale vi sarebbe stata contraddittoria motivazione, nel fatto
relativo al danno effettivamente subito dal Pistolesi.
La doglianza è inammissibile per difetto di correlazione con le
ragioni della decisione.
A riguardo, torna utile premettere che il motivo di appello
proposto dall’avv. Di Napoli, così come è stato riportato nel
ricorso in esame, concerneva la pretesa erroneità della
qualificazione della domanda avanzata nei confronti
dell’Ipacri, intesa dal Tribunale ” quale domanda di condanna

5

MOTIVI DELLA DECISIONE

al pagamento di differenze retributive, soggetta al termine di
prescrizione quinquennale” mentre “in realtà tale domanda aveva
ad oggetto principale il riconoscimento della qualifica
professionale del Pistolesi e, solo come conseguenza,
l’applicazione del trattamento economico corrispondente, sicchè
(v. pag. 4 del

ricorso).
La doglianza, sopra riportata è stata quindi disattesa dalla
Corte di appello sulla base della considerazione che
l’affermazione dell’appellante non era corretta in punto di
diritto

NN

perché altro è il diritto alla qualifica

professionale, altro è il diritto alla prestazione retributiva
e quest’ultimo è soggetto alla prescrizione quinquennale anche
se connesso al primo (cfr in termini Cass. sez.lav. 12238/06).
Se il giudizio fosse stato riassunto, non sarebbero mai state
prescritte le maggiorazioni retributive, dato che il ricorso
per il loro pagamento era stato presentato, insieme al ricorso
per il riconoscimento della qualifica il 24.7.1985; e quindi
sarebbero state salve le differenze fino al 1980 (differenze
che poi il Pretore di Roma ha riconosciuto ad Ipacri in via
riconvenzionale nel 1997)

(v. pag.3 della sentenza).

La premessa torna utile nella misura in cui evidenzia come la
questione,
maggiorazioni

riguardante
retributive

la mancata
dal

1994

corresponsione
al

1997,

delle
esulasse

completamente dal dibattito e dal tema decisionale del giudizio
di appello, non essendo stata investita da alcuna specifica

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tale domanda si prescriveva in dieci anni”

doglianza. Correttamente, pertanto, la Corte di appello non ha
affrontato la detta questione, il cui esame le era precluso,
limitandosi ad esaminare la doglianza, ritualmente proposta secondo cui la domanda andava qualificata come volta al
riconoscimento della qualifica professionale e quindi soggetta
a prescrizione decennale – disattendo tale doglianza sotto il
profilo dell’alterità del diritto alla prestazione retributiva,
come tale, soggetto alla prescrizione quinquennale, rispetto al
diritto alla qualifica professionale, soggetto a prescrizione
decennale.
Tutto ciò considerato, appare evidente come la censura proposta
dalla ricorrente in ordine alla pretesa contraddittorietà della
motivazione non sia assolutamente correlata con la

ratio

decidendi della decisione impugnata difettando della necessaria
specificita’. Ed, invero, è appena il caso di osservare che le
ragioni di gravame, per risultare idonee a contrastare le
ragioni della decisione, devono correlarsi con le stesse, in
modo che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata
risultino contrapposte quelle dell’impugnante, volte ad
incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime.
Passando all’esame della seconda doglianza per violazione
dell’art.112 cpc, va rilevato che la ricorrente ha censurato la
sentenza impugnata per aver la Corte di appello omesso di
pronunziare su un’eccezione sollevata sin dal giudizio di primo
grado, dalla quale si ricavava l’esclusiva responsabilità del
Pistolesi per il danno subito per non avere ottemperato

7

.

all’accordo intrattenuto con il legale di inviare fin dal 1991
le lettere interruttive della prescrizione.
Ha quindi concluso il motivo con il seguente quesito di
diritto: “Dica l’Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione se la Corte
di appello di Roma ha violato l’art.112 cpc non avendo

ricorrente di responsabilità esclusiva del Pistolesi per non
avere ottemperato all’accordo di inviare fin dal 1991 le
lettere di interruzione della prescrizione”.
Anche tale censura è inammissibile sia pure per ragioni
diverse. Ed invero, come ha già avuto modo di statuire questa
Corte, il vizio di “omessa pronuncia”, integrante un difetto di
attività del giudice, quindi un error in procedendo, produttivo
della nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4), si
verifica quando l’omesso esame concerne direttamente una
domanda ovvero un’eccezione introdotta in causa e, pertanto,
nel caso del motivo di appello, uno dei fatti costituitivi
della domanda di impugnazione. In effetti, si configura
esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti
che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto
(Cass.3357/09, 16525/03) e non anche

quando il giudice non

esamini un argomento difensivo (Cass. 168/05, 18578/04)
Nella

specie,

la

Corte

d’Appello,

secondo

la

stessa

prospettazione della ricorrente, non avrebbe invece esaminato
una mera argomentazione o deduzione relativa ad un motivo di
appello,

con la conseguenza che l’attività di esame del

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pronunciato sulla eccezione fatta valere dall’odierna

giudice che si assume omessa non concerne la domanda
del’appello direttamente, bensì una circostanza di fatto la
cui mancata considerazione potrebbe configurare al più un vizio
di motivazione della sentenza.
Resta da esaminare l’ultima doglianza, svolta per violazione

l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui la
Corte di Appello ha ritenuto che dalle risultanze processuali
non sarebbe emersa la prova che la scelta di non riassumere il
giudizio fosse stata compiuta dal Pistolesi nella
consapevolezza del danno che avrebbe potuto ricevere, non
risultando che il legale avesse correttamente descritto le
conseguenze derivanti dalla mancata riassunzione.
La Corte di appello avrebbe inoltre trascurato il contrasto
giurisprudenziale esistente all’epoca.
Ha quindi concluso il motivo con il seguente quesito di
diritto: “Dica l’Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione se il danno
lamentato dal Pistolesi sia conseguenza della negligenza
dell’avv. Di Napoli ai sensi del comb.disp. degli artt.1176
co.2 e 2236 cc o se alcuna responsabilità può farsi gravare
sull’avv.Di Napoli avendo costui suggerito al cliente di non
riassumere il giudizio innanzi al Tribunale di Frosinone sulla
base di una valutazione avallata dall’orientamento
giurisprudenziale

formatosi nel

1991

sulla prescrizione

decennale del diritto alle differenze retributive connesso alla

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degli artt.1176 co.2 e 2236 cc, con cui la ricorrente lamenta

domanda di accertamento della qualifica professionale del
lavoratore” .
La doglianza è inammissibile per un duplice ordine di
considerazioni. In primo luogo, perché il quesito di diritto
non soddisfa le prescrizioni di legge. Ed invero, il quesito

sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo
né nell’invito alla S.C. perché si pronunzi su determinate
questioni, così come è avvenuto nella specie. Occorre invece
che il ricorrente nella redazione del quesito proceda
all’enunciazione di un principio di diritto diverso da quello
posto a base del provvedimento impugnato e, perciò, tale da
implicare un ribaltamento della decisione adottata dal giudice
a quo, indicandone l’errore o gli errori compiuti e
specificando la regola da applicare” (cfr S.U. n. 3519/2008,
Cass.n.19769/08).
In secondo luogo, l’inammissibilità deriva dal rilievo che, a
ben vedere, gli argomenti svolti dalla ricorrente non
concernono violazioni o false applicazioni del dettato
normativo bensì la valutazione della realtà fattuale, come è
stata operata dalla Corte di merito. Ora, deve ritenersi
inammissibile la doglianza mediante la quale la parte
ricorrente avanza, nella sostanza delle cose, un’ulteriore
istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del
giudice di merito, diretta all’ottenimento di una nuova

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non può risolversi in una generica istanza di decisione

pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle
finalita’ del giudizio di cassazione.
Ne consegue che il ricorso per cassazione in esame deve essere
• dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere sulle
spese in quanto la parte vittoriosa, non essendosi costituita,

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per spese.
Così deciso in Roma in camera di Consiglio in data 13.6.2013

non ne ha sopportate.

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