Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19600 del 27/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19600 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: VINCENTI ENZO

SENTENZA
sul ricorso 6881-2010 proposto da:
BLUNT DI GIANNINI CHRISTIAN S.A.S. (03586330106) e GIANNINI
CHRISTIAN (GMMCRS71R09D969S), elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA MONTE DELLE GIOIE 22, presso lo studio
dell’avvocato TIRABOSCHI GIUSEPPE MARIA, rappresentati e
difesi dall’avvocato BURATTI MARCO giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

MASSA FRANCESCO (MSSFNC65D15D969L), domiciliato

ex lege

in

ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

lkjor)
)033

rappresentato e difeso dall’avvocato NARI FULVIA con studio
in GENOVA, VIA PALESTRO 10/7 e SPALLAROSSA MARIA CARLA giusta
delega in atti;
– controricorrente

1

Data pubblicazione: 27/08/2013

nonchè contro
CASTELLO FEDERICA;
– intimata avverso la sentenza n. 1205/2009 della CORTE D’APPELLO di
GENOVA, depositata il 27/11/2009, R.G.N. 466/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

udito l’Avvocato GIUSEPPE TIRABOSCHI per delega orale
dell’Avvocato MARCO BURATTI;
udito l’Avvocato GIANLUCA MARZIO per delega;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, il rigetto.
RITENUTO IN FATTO
l. – Con scrittura privata del 17 marzo 2003 intercorsa tra Federica Castello e Francesco Massa, soci
della Surfactivity Beach Club s.a.s., e Christian Giannini il Massa aveva promesso di vendere al Giannini, che aveva
promesso di acquistare, la sua quota di partecipazione nella
società, impegnandosi gli anzidetti soci ad estinguere tutti
i pregressi debiti sociali, ad eccezione del mutuo contratto
con la Banca Carige S.p.A. ed intestato alla società, là dove
il Giannini si era impegnato a sostituire la propria garanzia
personale a quella prestata dal Massa in favore della Banca
Carige.
In data 30 aprile 2003 veniva stipulato l’atto notarile
di cessione della predetta quota di partecipazione, con
conseguente mutamento di denominazione della società in Blunt
s.a.s. di Christian Giannini & C. e con pattuizione che parte
del prezzo, di complessivi euro 36.000,00 portato da quattro
effetti cambiari depositati presso il rag. Luciano Precisano,
fosse tenuto a garanzia delle somme eventualmente dovute in
conto della precedente gestione.

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del 12/06/2013 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

A seguito della mancata prestazione di garanzia
sostitutiva da parte del Giannini, il Massa aveva dovuto
versare alla Banca Carige euro 51.183,49 per estinguere il
mutuo; inoltre, lo stesso Massa non aveva ottenuto dal
Precisano la consegna di due cambiali scadute nel dicembre
2003 e nel dicembre 2004 e ciò per la mancata previa
autorizzazione del Giannini.

dinanzi al Tribunale di Genova, Christian Giannini e la Blunt
s.a.s. di Christian Giannini & C. per sentir dichiarare
l’inadempimento del primo alle obbligazioni assunte con la
scrittura privata del 17 marzo 2003 e sentir condannare la
seconda al rimborso ad esso attore della somma di euro
51.183,59, oltre al danno patrimoniale costituito dagli
interessi legali maturati e maturandi sulla predetta somma
versata ad estinzione del muto, nonché per sentir condannare
il Giannini al pagamento della somma di euro 18.300,00, oltre
accessori, per le due cambiali scadute.
I convenuti Blunt s.a.s. e Giannini si costituivano
contestando le domande attoree e adducendo che il Massa e la
Castello non avevano adempiuto all’obbligazione di estinguere
i pregressi debiti societari (ammontanti ad euro 91.024,84) e
che esso Giannini non aveva potuto prestare garanzia
personale in favore della Carige perché quella prestata dal
Massa era di natura reale, sicché residuava in capo alla
Blunt s.a.s. l’obbligo di estinguere il mutuo, ma non già in
via anticipata. I convenuti, quindi, chiedevano, in via
riconvenzionale, la condanna in solido del Massa e della
Castello al rimborso di tutte le somme pagate o da pagarsi a
titolo di debiti pregressi della società, oltre al
risarcimento del danno; in subordina, chiedevano che
l’eventuale condanna al rimborso del mutuo fosse conforme al
piano di restituzione del mutuo stabilito con la Banca
Carige.

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1.1. – Francesco Massa, pertanto, conveniva in giudizio,

A seguito di riassunzione della causa dopo la sua
cancellazione da ruolo, si costituiva anche Federica
Castello, la quale instava per l’invalidità o la risoluzione
delle scritture private del 17 marzo 2003 e 30 aprile 2003,
proponendo domanda di danni nei confronti della Blunt s.a.s.
e del Giannini sia per omessa redazione di bilancio e
rendiconto per gli anni 2003-2004, sia per lesione

manleva contro il Massa in relazione alle pretese svolte nei
suoi confronti in via riconvenzionale dalla società Blunt e
dal Giannini.
1.2. – Il Tribunale di Genova condannava la Blunt s.a.s.
al pagamento in favore del Massa della somma di euro
50.627,58, oltre accessori, nonché il Giannini al pagamento,
sempre in favore del Massa, della somma di euro 18.300,00,
oltre accessori, rigettando ogni altra domanda proposta
dall’attore e, in via riconvenzionale, da tutti i convenuti.
2. – Avverso tale decisione proponevano appello
principale la Blunt s.a.s. di Christian Giannini & C. e
Christian Giannini, appello incidentale condizionato
Francesco Massa ed appello incidentale Federica Castello.
Con sentenza resa pubblica il 27 novembre 2009, l’adita
Corte di appello di Genova respingeva i gravami e confermava
la sentenza impugnata.
2.1. – Per quanto ancora interessa in questa sede, la
Corte territoriale dava atto, anzitutto, che non era stata
oggetto di impugnazione la statuizione di condanna del
Giannini al pagamento in favore del Massa della somma di euro
11.300 (recte: 18.300), oltre interessi.
2.2. – Quanto poi al motivo di gravame che censurava la
sentenza del Tribunale là dove aveva ritenuto che il
contratto del 30 aprile 2003 avesse sostituito il preliminare
del 17 marzo 2003, il giudice di appello osservava che
nell’atto notarile di cessione della quota di partecipazione
societaria del Massa, stipulato il 30 aprile 2003, non si
4

dell’immagine personale e professionale, altresì agendo in

rinveniva più alcun cenno agli obblighi, effettivamente
previsti nel contratto preliminare, di estinzione delle
pregresse obbligazioni sociali, ad eccezione del muto acceso
con la Banca Carige, mentre si richiamava unicamente
l’obbligo di tenere indenne la società dalle pretese
eventualmente avanzate da Annamaria Barbieri. Ciò rendeva
evidente un mutamento della volontà delle parti in ordine

confortato dalla circostanza per cui, in forza di prevista
condizione risolutiva, gli obblighi consacrati nel
preliminare avrebbero dovuto essere adempiuti prima della
stipula del definitivo, mentre a tale stipula si era
pervenuti nonostante il mancato adempimento di detti
obblighi.
Peraltro, nella specie non si era trattato di novazione
del rapporto contrattuale, del resto mai richiamata dal
Tribunale, bensì degli effetti consequenziali al principio
per cui il contratto definitivo, una volta stipulato,
sostituisce il contratto preliminare e rappresenta “l’unica
fonte dei diritti e degli obblighi inerenti al negozio
voluto”; sicché, era corretta la reiezione, da parte del
Tribunale, di tutte le domande che le parti in causa avevano
proposto in forza del contratto preliminare.
Il giudice del gravame riteneva poi inammissibile la
produzione documentale degli appellanti, originari convenuti,
concernente una scrittura privata, successiva alla stipula
del contratto definitivo, con la quale le parti ribadivano
l’efficacia delle clausole del preliminare relative
all’assunzione dell’obbligo di adempiere ai pregressi debiti
societari; si sarebbe, infatti, trattato di una modifica
dell’assetto negoziale derivante dal contratto definitivo e,
dunque, di una domanda nuova in base a fatti costitutivi “ora
fondati su una diversa fonte negoziale, con sostanziale
mutamento della situazione giuridica prospettata in primo
grado”. Sicché, la novità della domanda determinava
5

alla portata dei rispettivi obblighi, che era, altresì,

”l’irrilevanza della produzione, non indispensabile per tale
ragione al fine del decidere”.
2.3. – In ordine poi alla censurata condanna della Blunt
s.a.s. al rimborso della somma versata dal Massa per
l’estinzione del mutuo “in unica soluzione anziché secondo il
piano rateale di restituzione concordato con l’istituto di
credito”, la Corte territoriale osservava, anzitutto, che

definitivo non contemplava più la relativa clausola presente
nel preliminare), bensì sull’art. 2781 cod. civ., “in
accoglimento dell’azione di regresso esercitata dal Massa,
terzo datore di ipoteca, nei confronti della società
mutuataria, per avere il Massa estinto l’obbligazione con il
pagamento alla Carige”. Ciò posto, il giudice di appello
riteneva inammissibile la produzione in sede di gravame, da
parte degli appellanti principali, del contratto di mutuo e
del relativo piano di ammortamento, volta alla verifica della
“inferiorità dell’importo ancora da pagare rispetto
all’ammontare anticipatamente corrisposto”, per la quale
verifica sarebbe stato, però, necessario disporre consulenza
tecnica contabile; donde, la non indispensabilità di detti
documenti, posto che “il loro esame non produrrebbe in ogni
caso l’accoglimento dell’appello, dovendo detto esame essere
integrato con la disposizione di c.t.u. contabile, appunto
volta a determinare se l’importo pagato dal Massa
anticipatamente sarebbe stato inferiore all’ammontare (in
parte) ancora dovuto in base al piano di ammortamento”.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono
Christian Giannini e la Blunt di Christian Giannini & C.
s.a.s., affidando le sorti dell’impugnazione a quattro
motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso Francesco Massa, mentre non ha
svolto attività difensiva l’intimata Federica Castello.
CONSIDERATO IN DIRITTO

6

essa si fondava non già sui contratti anzidetti (~3 che il

l. – Con il primo mezzo è denunciata la «erroneità
della sentenza di appello laddove ha ritenuto che “non è
stata impugnata la statuizione di condanna del Giannini al
pagamento in favore del Massa di euro 11.300 oltre
interessi”>>, nonché violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 324 cod. proc. civ. e/o dell’art. 346 cod. proc.
civ.

euro 11.300,00 in luogo di quella di euro 18.300,00 è frutto
di “mero errore di scritturazione”, i ricorrenti si dolgono
dell’omesso esame sulle ragioni per cui l’appellante
principale Giannini aveva invocato la reiezione di ogni
domanda proposta nei suoi confronti dal Massa, così come
declinato nelle conclusioni dell’atto di appello, e pertanto
anche di quella relativa al pagamento di euro 18.300,00 e ciò
in forza di una impostazione difensiva che aveva sempre
contestato la debenza di “alcunché al Massa”.
1.1. – Il motivo è infondato.
Posto che il giudizio di appello ha natura di

revisio

pzioris instantiae e non di novum ludicium, perché un capo di
sentenza possa ritenersi validamene impugnato non è
sufficiente che nell’atto di gravame sia manifestata una
volontà in tal senso, ma è necessario che sia contenuta una
parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione
della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura,
miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico (tra le
altre, segnatamente, Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n.
23299).
Come si evince dai motivi di appello (riportati nella
stessa narrativa in fatto del ricorso) proposti dalla Blunt
s.a.s. e dal Giannini avverso la sentenza di primo grado, non
si fa menzione alcuna di una critica alla statuizione di
condanna del medesimo Giannini al pagamento di euro 18.300,00
in favore del Massa, incentrandosi detti motivi su
tutt’altro. Sicché le conclusioni oltremodo generiche
7

Premesso che l’indicazione in sentenza della somma di

dell’atto di impugnazione (con le quali si chiede il rigetto
della “domanda proposta da Francesco Massa nei confronti di
Giannini Christian e Blunt s.a.s.”, là dove, peraltro,
quest’ultimo aveva avanzato più pretese in forza di distinti
titoli) non possono ovviare al mancato assolvimento
dell’onere di impugnazione sorretto dalla specificità dei
motivi di censura, come richiesto dall’art. 342 cod. proc.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta “erroneità della
sentenza di appello nell’interpretare il contenuto della
domanda del Massa. Erroneità della sentenza laddove ha
ritenuto le obbligazioni assunte dalle parti con il contratto
preliminare del 17/3/2003 sostituite dal contratto definitivo
del 30/4/2003; in subordine laddove ha escluso il vizio di
ultrapetizione”; nonché violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 1362 cod. civ..
La Corte territoriale avrebbe violato l’art. 112 cod.
proc. civ. nel reputare che il Massa avesse agito
sull’erroneo convincimento che il contratto definitivo avesse
riprodotto le pattuizioni del contratto preliminare, là dove
invece il Massa, nelle conclusioni dell’atto di citazione
introduttivo del giudizio, aveva fatto riferimento soltanto
al contratto preliminare del 17 marzo 2003.
Inoltre, il giudice di appello avrebbe violato l’art.
1362 cod. civ. nell’affermare, senza alcuna indagine sul
comportamento delle parti, anche successivo alla stipula del
preliminare e del definitivo, che la volontà delle parti
fosse quella di ritenere validi soli i patti di cui all’atto
notarile del 30 aprile 2003. A tal riguardo, la prova della
volontà delle parti nei contratti non necessitanti la forma
scritta può essere fornita anche con elementi “differenti al
contratto stesso”, i quali erano stati evidenziati negli
scritti difensivi di essi originari convenuti.
Infine, la Corte di appello sarebbe incorsa anche nella
violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., al pari del
8

civ.

Tribunale, per aver deciso su un fatto e su un principio di
diritto – quello della sostituzione del contratto definitivo
al preliminare – mai dedotto dalle parti in causa.
2.1. – Il motivo non può trovare accoglimento in nessuno
dei profili nei quali si articola.
Quanto al primo profilo, i ricorrenti non colgono
appieno gli effetti conseguenziali alla ratio decidendl della

corretta prospettazione del vizio processuale dedotto, che
richiede il rispetto del principio di autosufficienza, da
intendere come un corollario del requisito della specificità
dei motivi d’impugnazione (tradottosi nelle disposizioni di
cui degli artt. 366, primo camma, n. 6, e 369, secondo comma,
n.

4,

cod. proc. civ.), discendendone che l’esame diretto

degli atti che la Corte è chiamata a compiere è pur sempre
circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte
abbia specificamente indicato ed allegato (Cass., sez. un.,
22 maggio 2012, n. 8077).
Infatti, l’affermazione della Corte territoriale sul
fatto che la domanda del Massa non era fondata sul contratto
preliminare, bensì che l’azione si basava sul convincimento
(erroneo) che il definitivo avesse riprodotto il preliminare,
avrebbe dovuto essere censurata aggredendo, ed esibendo, il
complessivo contenuto dell’atto di citazione proposto dallo
stesso Massa e non già circoscrivere la doglianza alle sole
indicazioni emergenti dalle relative conclusioni, giacché a
tal fine del tutto insufficienti a dar contezza della
supposta erroneità decisione assunta sul punto dal giudice di
secondo grado.
Quanto al secondo profilo, la denuncia non solo si
scontra con un difetto di autosufficienza, mancando di
completezza sui contenuti dei contratti rilevanti nella
controversia (essendone riportati solo stralci di per sé
insufficienti a rendere intelligibile l’intero programma
negoziale), ma, in ogni caso, si infrange anche sulla
9

impugnata sentenza e con ciò mancano di conformarsi ad una

motivazione, priva di vizi logici e giuridici, assunta dalla
Corte territoriale (si veda anche punto 2.2. del “Ritenuto in
fatto” che precede) in ordine alla rilevanza esclusiva della
volontà delle parti siccome consacrata nel contratto
definitivo di cessione delle quote societarie del 30 aprile
2003, assumendosi che in esso era stato assunto un solo
obbligo di adempimento di posizione pregressa (a differenza

del 17 marzo 2003) e che, dunque, si era giunti alla stipula
nonostante che il preliminare fosse condizionato
risolutivamente dall’adempimento degli obblighi ivi sanciti.
Ciò è sufficiente a ritenere che il giudice di appello abbia
fatto buon governo delle regole di ermeneutica contrattuale
(adeguando alla realtà concreta della controversia i criteri
di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod.
civ. e, con essi, il principio più generale della prevalenza
del contratto definitivo nell’assetto dei rapporti
obbligatori tra le parti negoziali; tra le tante, Cass., 5
giugno 2012, n. 9063), adottando una interpretazione
plausibile della vicenda negoziale tra quelle possibili
(Cass., 20 novembre 2009, n. 24539) e che, invero, i
ricorrenti intendono superare attraverso la propria versione
esegetica (peraltro, adducendo circostanze generiche e prive
di decisività) e, dunque, sostituendo, inammissibilmente, il
proprio apprezzamento a quello del giudice del merito.
In ordine al terzo profilo, non solo la deduzione (in
assenza della indicazione dei contenuti degli atti
processuali rilevanti) contrasta con il principio di
autosufficienza da rispettarsi anche nella prospettazione del
vizio processuale (come innanzi già rammentato, sulla scorta
della citata Cass., sez. un., n. 8077 del 2012), ma, in ogni
caso, posto che non si contesta l’esorbitanza della pronuncia
rispetto a quanto domandato dal Massa, né che i fatti
costitutivi della stessa poggiavano sulla dinamica dei due
contratti inter partes

(preliminare e definitivo), non è dato
10

di quello ben più ampio presente nel contratto preliminare

apprezzare alcuna violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
per ultrapetizione, venendo in rilievo soltanto
l’interpretazione giuridica dei fatti riservata al giudice
del merito e resa nell’alveo della pretesa azionata dal
Massa.
3. – Con il terzo mezzo è prospettata “erroneità della
sentenza di appello laddove ha ritenuto la novità della

laddove ha ritenuto non ammissibile la produzione in grado di
appello della scrittura 30.4.2003”; violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ.
La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere nuova la
domanda proposta in appello da essi attuali ricorrenti posto
che la causa petendi risiedeva, anche in primo grado, “nella
obbligazione di Massa e Castello di provvedere al pagamento
dei debiti sociali sorti anteriormente all’ingresso del
Giannini in società”, siccome derivante dalla scrittura
privata del 17 marzo 2003; sicché, l’aver fatto riferimento,
rispetto alla medesima predetta obbligazione, alla scrittura
del 30 aprile 2003, stipulata contestualmente al contratto
definitivo, non poteva integrare una mutati° libelli. Di qui,
pertanto, anche l’erroneità della conseguenziale statuizione
sulla non indispensabilità del documento prodotto in fase di
gravame, riproducente detta scrittura privata contestuale al
contratto definitivo.
3.1. – Il motivo è infondato.
La decisione della Corte di appello si sottrae alle
censure di error in procedendo mosse dai ricorrenti, giacché
appare corretta la qualificazione in termini di

mutati°

libelli della domanda fondata sul titolo contrattuale oggetto
della richiesta produzione documentale in secondo grado
(scrittura privata, successiva alla stipula del contratto
definitivo, con la quale le parti ribadivano l’efficacia
delle clausole del preliminare relative all’assunzione
dell’obbligo di adempiere ai pregressi debiti societari).
11

domanda di Blunt s.a.s. e di Giannini proposta in appello e

Ciò in quanto la domanda svolta originariamente trovava
fondamento sui reciproci obblighi tra le parti nascenti dalla
correlazione tra il contratto preliminare del 17 marzo 2003
ed il contratto definitivo del 30 aprile 2003, sicché non
potevano gli appellanti, senza, per l’appunto, incorrere nel
divieto della mutatio libelli, far valere le proprie pretese
sulla scorta di un negozio ulteriore e differente dai

produrre in giudizio – il quale, in sostanza, veniva a
determinare la riviviscenza degli obblighi contrattuali
originari, sostituendosi al contratto definitivo che aveva
dato ai rapporti obbligatori inter partes un diverso assetto.
Di qui, dunque, la prospettazione – attraverso l’anzidetta
produzione documentale – di un fatto costitutivo mai dedotto
in precedenza, come tale modificativo del titolo giuridico su
cui faceva leva l’originaria pretesa azionata e, dunque,
volto a sorreggere una domanda nuova, inammissibile in
appello.
4. – Con il quarto mezzo è denunciata la “erroneità
della sentenza di appello laddove ha ritenuto inammissibile
la produzione del piano di ammortamento del mutuo e laddove
ha respinto il motivo di appello di Blunt s.a.s. teso a
sentir dichiarare che dalla società il mutuo doveva essere
restituito (non in unica soluzione ma) secondo il suddetto
piano di ammortamento”; violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 345 cod. proc. civ. e/o dell’art. 1831 cod. civ.
La Corte territoriale avrebbe errato a non ammettere
l’anzidetta produzione documentale giacché decisiva, in
quanto – sebbene essi appellanti la ritenevano non necessaria
(non essendo stata mai in discussione l’esistenza del mutuo e
del relativo piano di rateizzazione) ed avendo altresì
sostenuto che il Tribunale si sarebbe potuto limitare “ad
affermare che Blunt s.a.s. non aveva mai assunto né poteva
derivargli dalla legge l’obbligo di rimborsare in unica
soluzione a Massa quanto da questi pagato alla Carige per
12

precedenti – documentato nella scrittura che intendevano

l’estinzione del mutuo … posto che l’obbligo che gravava su
Blunt s.a.s. e/o Giannini era semplicemente quello, derivante
dall’accollo del mutuo, di pagare le rate alla loro scadenza”
– detta produzione era stata effettuata solo in ragione del
fatto che il giudice di primo grado potesse aver messo in
dubbio l’esistenza del piano di ammortamento medesimo.
Peraltro, la Corte di appello avrebbe dovuto accogliere

in questione, “dichiarando l’obbligo degli odierni appellanti
di restituzione della somma pagata dal Massa ad estinzione
del mutuo secondo il piano rateale concordato con l’istituto
mutuante e ciò sia perché un tale obbligo non potrebbe
derivare loro dalla legge, né dalle norme in materia di mutuo
né dalle norme in materia di azione di regresso”.
4.1. – Il motivo è inammissibile.
La decisione della Corte territoriale, prima di ogni
altra ulteriore giustificazione dell’adottata statuizione, si
radica sul fatto che la condanna della Blunt s.a.s. al
rimborso della somma versata dal Massa per l’estinzione del
mutuo, “in unica soluzione anziché secondo il piano rateale
di restituzione concordato con l’istituto di credito”,
rinveniva il proprio fondamento non già sui contratti
intercorsi tra le parti, bensì sull’art. 2781 cod. civ., “in
accoglimento dell’azione di regresso esercitata dal Massa,
terzo datore di ipoteca, nei confronti della società
mutuataria, per avere il Massa estinto l’obbligazione con il
pagamento alla Carige”.
Di qui, pertanto, la ritenuta non indispensabilità della
produzione del piano di ammortamento relativo al contratto di
mutuo, il quale semmai sarebbe stato rilevante solo al fine
di verificare l’eventuale differenza tra l’importo pagato
anticipatamente dal Massa e quello ancora dovuto in base al
piano di ammortamento, ma non già la rateizzazione del
rimborso in base allo stesso piano. Sicché, la decisione sul
punto non avrebbe potuto basarsi sulla sola produzione
13

il gravame anche a prescindere dalla produzione documentale

documentale, ma avrebbe necessitato dell’espletamento di una
c.t.u. contabile.
A fronte di un siffatto puntuale corredo argomentativo,
il motivo in esame, insistendo sull’obbligo di restituzione
della Blunt s.a.s. della somma pagata dal Massa ad estinzione
del mutuo in base al relativo piano di ammortamento (e sempre
in tale prospettiva adducendo solo in modo del tutto generico

derivante dalla legge, dalle norme in materia di mutuo o
dalle norme in materia di azione di regresso), si estrae
dalla ratio decidendl della sentenza impugnata, di cui non
aggredisce contenuto e portata effettivi, così da mantenerne
intatta l’idoneità a sorreggere la statuizione che su di essa
trova fondamento.
5. – Il ricorso deve, dunque, essere rigettato ed i
ricorrenti, in quanto soccombenti, vanno condannati, in
solido tra loro, al pagamento delle spese del presente
giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo; nulla
è da disporsi al riguardo nei confronti dell’intimata che non
ha svolto attività difensiva.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido
tra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di
legittimità in favore del controricorrente, che liquida in
complessivi euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi,
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, in
data 12 giugno 2013.

l’inesistenza di un obbligo al rimborso in unica soluzione

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