Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 196 del 09/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 196 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 8353-2008 proposto da:
MORESCO BRUNO MRSBRN46R25E970K, domiciliato ex lege in
ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato PICERNI GIUSEPPE
giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2013
2040

CAMPANA

SABRINA

CMPSRN66L52A7030,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo
studio

dell’avvocato

CICCOTTI

SABINA,

che

la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CONTALDO

1

Data pubblicazione: 09/01/2014

QUINTINO giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 113/2007 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 05/02/2007, R.G.N.
2502/2003;

udienza del 06/11/2013 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. COSTANTINO FUCCI che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G.N. 8353/08
Udienza del 6 novembre 2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nel 1997 la sig.a Sabrina Campana convenne dinanzi al Giudice di pace di
Bassano del Grappa il sig. Bruno Moresco, chiedendone la condanna al
pagamento di una somma di denaro a titolo di compensi per prestazioni

2. Il convenuto si costituì ed eccepì di avere già adempiuto la propria
obbligazione. A riprova del’avvenuto pagamento depositò una quietanza
sottoscritta dall’attrice.

3. La sig. Sabrina Campana non negò che fosse propria la sottoscrizione in
calce alla quietanza prodotta dal convenuto, ma allegò che il testo del
documento fosse stato falsificato, e che nella sua versione originale la
quietanza concerneva un credito diverso da quello azionato in giudizio.
Propose perciò querela di falso contro la suddetta quietanza.
Il giudice di pace provvide ai sensi dell’art. 313 c.p.c., e la causa fu
riassunta dall’attrice dinanzi al Tribunale.

4. Con sentenza 23 aprile 2003 n. 294 il Tribunale di Bassano del Grappa
accertò la falsità del documento impugnato con querela di falso; tale
decisione venne quindi confermata dalla Corte d’appello di Venezia con
sentenza 5.2.2007 n. 113.

5. La sentenza della Corte d’appello è stata impugnata dal sig. Bruno
Moresco, sulla base di due motivi.
La sig.a Sabrina Campana ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso il sig. Bruno Moresco lamenta che la
sentenza impugnata sarebbe incorsa sia in violazione di legge (art. 360 n. 3
c.p.c.), sia in difetto di motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.).
Espone che la sig.a Sabrina Campana, dopo avere proposto la querela di
falso dinanzi al giudice di pace, e dopo avere riassunto il giudizio dinanzi al

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professionali.

R.G.N. 8353/08
Udienza del 6 novembre 2013

Tribunale, non confermò personalmente la querela dinanzi a quest’ultimo,
così contravvenendo all’obbligo imposto dall’art. 99 disp. att. c.p.c..
Tale violazione aveva reso improcedibile l’incidente di falso, sicché tanto il
Tribunale, quanto la Corte d’appello, avrebbero errato nel decidere nel
merito.

motivato la propria decisione di ritenere validamente introdotto il giudizio
incidentale di falso.

1.2. Il motivo è infondato con riferimento alla dedotta violazione di legge,
ed inammissibile con riferimento al vizio di motivazione.

2. Il primo profilo del primo motivo di ricorso.
2.1. In punto di fatto, dalla motivazione della sentenza impugnata si
apprende che:
(a) nel giudizio dinanzi al Giudice di pace, la sig.a Sabrina Campana propose
la querela di falso personalmente, con dichiarazione trascritta nel verbale
dell’udienza del 30 aprile 1999 (cfr. la sentenza impugnata, p. 6);
(b) il Giudice di pace sospese il giudizio ai sensi dell’art. 313 c.p.c., e rimise
le parti dinanzi al Tribunale per il giudizio incidentale di falso;
(c) la causa venne riassunta dinanzi al Tribunale con atto sottoscritto, oltre
che dal difensore, anche dalla sig.a Sabrina Campana personalmente
(ibidem, p. 6).

2.2. La parte ricorrente si duole ora del fatto che, dopo avere riassunto il
giudizio dinanzi al Tribunale, la sig.a Sabrina Campana non avrebbe
confermato, nella prima udienza, la propria volontà di proporre querela,
omissione che avrebbe reso improcedibile il giudizio incidentale di falso.
Questo assunto, tuttavia, è erroneo in diritto: infatti nel caso di
proposizione della querela di falso in via incidentale non si applica l’art. 99
disp. att. c.p.c., nemmeno nel caso in cui la querela sia proposta dinanzi al
giudice di pace, e il giudizio di falso sia riassunto dinanzi al Tribunale.

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Soggiunge che, in ogni caso, la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente

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Udienza del 6 novembre 2013

2.3. La querela di falso prevista dagli artt. 221 e ss. c.p.c., come noto, può
essere proposta con due modalità: in via principale od in via incidentale.
Il legislatore circondò di particolari cautele sia l’una che l’altra modalità, in
considerazione del nocumento che al querelante potrebbe derivare dal
rigetto della domanda di accertamento della falsità. In tale ipotesi, infatti,

pagamento di una pena pecuniaria. Il legislatore dunque volle evitare che,
per una scelta del difensore, la parte potesse trovarsi esposta a questa
forma di responsabilità, e volle adottare misure che da un lato rendessero
edotta la parte delle conseguenze della scelta che stava per compiere, e
dall’altra fungessero da “filtro” per evitare la celebrazione di incidenti di
falso inutili: come, ad esempio, nel caso in cui la parte che ha prodotto il
documento in contestazione non intenda avvalersene, oppure – al contrario
– fornisca in limine prove tali da rendere avvertito il querelante della sua
autenticità.

2.3.1. Per garantire che la parte querelante sia consapevole delle
conseguenze cui andrebbe incontro nel caso di rigetto della querela, e per
evitare nello stesso tempo che il difensore possa compiere atti i quali, a
ragione dei propri effetti, esulino dai normali limiti del mandato difensivo,
l’art. 221, comma 2, c.p.c., prescrive che la querela sia proposta dalla parte
personalmente, oppure a mezzo di procuratore speciale.

2.3.2. Per evitare, invece, che il giudizio di falso si svolga inutilmente, il
legislatore ha previsto due misure diverse, a seconda che la querela sia
proposta in via incidentale piuttosto che in via principale.

2.3.2.1. Se la querela è proposta in via incidentale, ciascuna delle parti ha
di norma già esposto le proprie pretese e le proprie difese negli atti
introduttivi del giudizio. In questo caso, essendo già noto e fissato il thema
decidendum, la legge ha previsto come “filtro” al giudizio di falso una
triplice attività: la proposizione, l’interpello e la presentazione della querela.

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l’art. 226 c.p.c. prescrive che la parte querelante sia condannata al

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Gli artt. 221 e 222, comma primo, c.p.c., prevedono infatti che, dopo la
“proposizione” della querela (cioè la manifestazione della volontà di
introdurre il giudizio di falso) il giudice interpelli la parte che ha prodotto il
documento circa la sua volontà di avvalersene, ed in caso di risposta
affermativa “autorizza la presentazione” della querela.

querela sia già stata “proposta”, è opinione comune che l’ “autorizzazione
alla presentazione della querela” di cui all’art. 222 c.p.c. consista in
sostanza in una conferma, da parte del querelante, della propria volontà di
insistere nell’incidente di falso.

2.3.2.2. Se, invece, la querela è proposta in via principale, il convenuto
ovviamente solo con la comparsa di risposta può, per la prima volta,
manifestare le proprie intenzioni circa l’uso che intende fare del documento
che si assume essere falso. Egli potrebbe, ad esempio, ammettere la falsità,
oppure negare di volerne far uso, od ancora negare la falsità, ma
aggiungere altre circostanze che rendono quel documento superfluo come
fonte di prova.
Per fronteggiare tali eventualità, l’art. 99 disp. att. c.p.c. ha dunque
previsto la necessità che l’attore (cioè il querelante di falso) confermi la
propria intenzione di insistere nel giudizio di falso.

2.4. Ricostruito in questo modo, il sistema della legge è armonico e
coerente: esso prevede tanto per la proposizione della querela in via
principale, quanto per la proposizione in via incidentale, un doppio impulso
da parte del querelante.
Nel primo caso, questo doppio impulso è rappresentato dall’atto di citazione
e dalla conferma di esso nella prima udienza, ex art. 99 disp. att. c.p.c.; nel
secondo caso (querela incidentale) il doppio impulso è rappresentato dalla
proposizione della querela e dalla sua conferma, ex art. 222 c.p.c., una
volta che la controparte abbia dichiarato di volersi avvalere del documento.

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Ma poiché tale “autorizzazione alla presentazione” presuppone che la

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2.5. La ricostruzione che precede è condivisa dalla giurisprudenza
larghissimamente prevalente di questa Corte, e dalla dottrina pressoché
unanime.
Quanto alla prima, questa Corte da quasi sessant’anni viene ripetendo che
la conferma della volontà di proporre la querela di falso, prescritta dall’art.

con atto di citazione, cioè in via principale.
La sentenza capostipite in tal senso è rappresentata da Sez. 2, Sentenza n.
3105 del 24/09/1954, Rv. 882006, in seguito confermata da Sez. 2,
Sentenza n. 3260 del 15/11/1971, Rv. 354702; da Sez. 3, Sentenza n.
743 del 15/03/1974, Rv. 368592 (in questo caso in termini risolutivi); e da
Sez. 1, Sentenza n. 9013 del 27/07/1992, Rv. 478362.
Illuminante, sul punto, è altresì la motivazione di Sez. 1, Sentenza n. 6959
del 06/07/1999, Rv. 528307, la quale – pur essendo chiamata ad occuparsi
di una fattispecie diversa da quella qui in esame – individuò la diversa ratio
dell’obbligo di presentazione personale della querela (art. 221 c.p.c.), e di
quello di confermarla alla prima udienza (art. 99 disp. att. c.p.c.).
Fondamento della prima previsione – si legge nella motivazione della
t

sentenza appena ricordata

è la “circostanza che l’esperimento della

querela di falso, a motivo delle sanzioni pecuniarie consequenziali al rigetto,
non rientra nei poteri del difensore munito di ordinanza procura alle liti”.
La funzione della conferma ex art. 99 disp. att. c.p.c., invece,

“è da

ricercare in ciò, che la querela può riuscire superflua qualora il convenuto,
nella comparsa di risposta, dichiari che non intende servirsi del documento
incriminato, così come del resto le deduzioni svolte dal medesimo possono
essere di tal peso da indurre l’attore a recedere dalla querela stessa”.
E’ dunque evidente come, per la decisione appena ricordata, la “conferma”
ex art. 9 disp. att. c.p.c. sia necessaria soltanto nel giudizio di falso
proposto in via principale, perché solo in questo caso la lettura della
comparsa di risposta potrebbe indurre l’attore a rimeditare la propria scelta
di proporre la querela.
Nel giudizio di falso proposto in via incidentale, invece, la “conferma”
dinanzi al giudice al cospetto del quale è stato riassunto il giudizio di falso è

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99 disp. att. c.p.c., sia necessaria soltanto quando la querela sia proposta

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superflua, perché il querelante già sa che la controparte intende servirsi del
documento, e non v’è bisogno alcuno che valuti nuovamente la convenienza
o l’opportunità di proporre la querela.

2.5.1. Questa ricostruzione del quadro normativo non è infirmata dai due

(e cioè Sez. 1, Sentenza n. 173 del 14/01/1977, Rv. 383678, e Sez. 1,
Sentenza n. 344 del 10/02/1971, Rv. 349878).
Ciò per tre ragioni.
La prima ragione è che l’orientamento espresso nelle suddette decisioni
deve ritenersi isolato ed abbandonato, in considerazione delle più recenti
decisioni di segno opposto citate supra, al § 2.5.
La seconda ragione è che tutte e due le decisioni appena ricordate fondano
la propria conclusione unicamente su un elemento: la lettera dell’art. 99
disp. att. c.p.c., la quale non distinguerebbe tra querela principale ed
incidentale. Ma si tratta di un argomento erroneo, e comunque non decisivo.
E’ erroneo, perché l’art. 99 disp. att. c.p.c. stabilisce espressamente la
necessità della conferma quando la querela di falso “è proposta con atto di
citazione”, e ciò non può avvenire che nel caso di querela proposta in via
principale. Quando, invece, il giudizio di falso sia proposto in via incidentale
dinanzi al giudice di pace e poi riassunto dinanzi al Tribunale, la querela non
può dirsi “proposta con atto di citazione”: sia perché la proposizione in
senso stretto è già avvenuta dinanzi al giudice incompetente, sia perché la
riassunzione della causa avviene con atto che legge definisce “comparsa”
(art. 125 disp. att. c.p.c.), e non “citazione”.
Ma l’argomento letterale invocato dall’orientamento minoritario, oltre che
erroneo, è anche non decisivo, in quanto trascura di considerare la ratio
della norma: la “conferma” ex art. 99 disp. att. c.p.c. è necessaria nel solo
caso di querela in via principale, perché solo in questo caso il querelante
prima della lettura della comparsa di risposta non può sapere se il
convenuto intende o meno avvalersi del documento contestato. Nel caso di
querela incidentale proposta dinanzi al giudice incompetente, invece, al
querelante è noto che l’altra parte ha dichiarato di volersi avvalere del

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(unici) precedenti contrari, ricordati dalla parte ricorrente a p. 7 del ricorso

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documento, e dunque non ha necessità di valutare di nuovo l’opportunità
della querela, una volta riassunta la causa dinanzi al giudice competente.
Infine,

l’interpretazione dell’art.

99 disp.

att. c.p.c.

propugnata

dall’orientamento minoritario non è compatibile con il criterio interpretativo
imposto dall’art. 111 cost., in virtù del quale quando una norma processuale

di meglio garantire la più celere durata del processo. Alla luce di tale
criterio, pretendere dal querelante in via incidentale, dopo la riassunzione
del giudizio, una nuova “conferma” della propria volontà appare un
bizantinismo inutile ed inutilmente complicatorio. Nel nostro caso, infatti, il
querelante ha già proposto la querela dinanzi al giudice incompetente; la
controparte ha già dichiarato di volersi avvalere del documento, ed il giudice
ha già “autorizzato la presentazione” della querela: in un simile contesto, la
“conferma” dinanzi al Tribunale d’una querela già “proposta” e “presentata”
(per usare i termini del codice) è perfettamente inutile.

2.6. Non sarà inutile, infine, ricordare come la dottrina pressoché unanime,
sia pure con sfumature diverse, abbia sostanzialmente condiviso l’opinione
dell’inapplicabilità della conferma della querela proposta in via incidentale,
ed in tal senso si sono espressi – lo si dica per amor di precisione – sinanche
i due autori citati dal ricorrente a pag. 7 del ricorso (che secondo il
ricorrente avrebbero manifestato un’opinione conforme alla sua tesi), i quali
hanno annotato con toni molto critici i due precedenti giurisprudenziali di
diverso avviso, ricordati al § precedente.
Il primo motivo di ricorso deve in conclusione essere rigettato sulla base del
seguente principio di diritto:
La necessità che la querela di falso sia confermata nella prima udienza,
prevista dall’art. 99 disp. att. c.p.c., sussiste soltanto nel caso di querela
proposta in via principale. La suddetta conferma non è invece necessaria nel
caso di querela proposta in via incidentale dinanzi al giudice di pace, e di
successiva riassunzione del giudizio di falso dinanzi al Tribunale, ai sensi
dell’art. 313 c.p.c.

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sia suscettibile di letture diverse, l’interprete deve preferire quella in grado

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3. Il secondo profilo del primo motivo di ricorso.

3.1. Col secondo profilo del primo motivo di ricorso il sig. Bruno Moresco
lamenta che la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente motivato il
rigetto dell’eccezione di improcedibilità del giudizio di falso.

motivo che precede, non può tuttavia non rilevarsi preliminarmente che il
vizio di motivazione denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex
art. 360 n. 5 cod. proc. civ., può concernere esclusivamente l’accertamento
e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia,
non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche, come
ripetutamente statuito da questa Corte, con principio condiviso sinanche
dalle Sezioni Unite (ex permultis,

Sez. U, Sentenza n. 28054 del

25/11/2008, Rv. 605546).

4. Il secondo motivo di ricorso.
4.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta sia la violazione di
lege (art. 360 n. 3 c.p.c.), sia il difetto di motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.).
Nella esposizione del motivo il ricorrente illustra come la Corte d’appello
avrebbe malamente motivato la propria scelta di ritenere falso il documento
di cui si controverteva, discostandosi dalle conclusioni cui invece era
pervenuto il consulente tecnico d’ufficio chiamato a valutarne l’autenticità.
Tale deficit valutativo, secondo il ricorrente, costituirebbe di per sé
violazione degli artt. 61 (sui casi in cui è possibile la nomina del c.t.u.), 116
(sulla valutazione delle prove) e 191 (sulla nomina del c.t.u.) c.p.c..

4.2. Il motivo è manifestamente inammissibile per plurime ragioni.
Nella parte in cui lamenta una violazione di legge ex art. 360, n. 3, c.p.c.,
esso è manifestamente inammissibile sia perché concluso da un quesito (ex
art. 366 bis c.p.c.) del tutto generico, sia perché il ricorrente prospetta
come “violazione di legge” le censure mosse alla valutazione delle prove
compiuta dal giudice di merito, e dunque un tipico vizio di motivazione.

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3.2. A prescindere dal fatto che tale motivo sarebbe assorbito dal rigetto del

ri

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4.3. Nella parte, invece, in cui lamenta il vizio di motivazione, il motivo è
inammissibile sia perché non concluso dalla “chiara indicazione del fatto
controverso”, prescritta dall’art. 366 bis c.p.c., sia perché sotto l’usbergo
del vizio di motivazione il ricorrente pretende di sottoporre al giudizio di
legittimità una tipica valutazione in fatto, non incongruamente motivata e

5. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai
sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c..
P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 385, comma primo, c.p.c.:
-) rigetta il ricorso;
-) condanna il sig. Bruno Moresco alla rifusione in favore della sig.a Sabrina
Campana delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in euro
2.200 (di cui 200 per spese).
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 6 novembre 2013.

pertanto incensurabile dinanzi la Corte di cassazione.

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