Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19599 del 04/08/2017

Cassazione civile, sez. lav., 04/08/2017, (ud. 27/04/2017, dep.04/08/2017),  n. 19599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26842-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, presso L’AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE

ITALIANE, rappresentata e difesa dall’avvocato URSINO ANNA MARIA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.F., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ARENULA 21, presso lo studio dell’avvocato VIVIANA CALLINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE DE GIROLAMO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8368/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/11/2010 R.G.N. 2169/2007.

Fatto

RILEVATO

che la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 3 novembre 2010, confermò la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda avanzata da G.F. nei confronti di Poste Italiane s.p.a., diretta alla declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato stipulato dalle parti il 28/2/2002 “per esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi comprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione di previsioni di cui agli accordi 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002”;

che la Corte territoriale fondò la decisione sulla ritenuta mancata dimostrazione del nesso causale tra l’assunzione e le esigenze dell’ufficio rappresentate;

che Poste Italiane s.p.a. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi;

che il G. resiste con controricorso, illustrato mediante memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo la ricorrente, deducendo ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 in relazione agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre 2001, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002, rileva che illegittimamente la Corte territoriale aveva ritenuto generiche le ragioni giustificatrici del termine apposto al contratto, senza considerare lo specifico riferimento contenuto nel contratto medesimo ai vari accordi sindacali sulla mobilità del personale, ancorchè fosse stato precisato per legge che le ragioni giustificative del termine possono risultare anche per relationem;

che la censura, investendo la questione attinente alla genericità della clausola appositiva del termine, non vale a scalfire la ratio decidendi sottesa alla statuizione attinente alla mancata dimostrazione del nesso causale tra l’assunzione e le esigenze di mobilità rappresentate nella clausola, nesso causale da escludere, secondo le argomentazioni della Corte, essendo stata acquisita la prova contraria, che, cioè, il ricorrente era stato assegnato allo svolgimento dell’attività di portalettere presso l’ufficio di destinazione in sostituzione del titolare, all’epoca adibito ad altre mansioni;

che con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1,2 e 5 in relazione all’art. 1419 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), rilevando che non era stato dimostrato che le parti non avrebbero concluso il contratto senza la parte colpita da nullità, con la conseguenza che la nullità della clausola non poteva ritenersi estesa all’intero contratto;

che il motivo è destituito di fondamento alla luce della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. 27 febbraio 2015 n. 3994), che in questa sede si riafferma, secondo cui il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria, pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto) e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato da Corte cost. n. 210/92 e n. 283/05, all’illegittimità del termine e alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

che l’ultimo motivo, attinente alle conseguenze risarcitorie dell’illegittimità del termine, è fondato in ragione della previsione contenuta nella L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5 e del suo carattere retroattivo, ai sensi del comma 7, ancorchè trattasi di norma emanata dopo la sentenza d’appello (si veda Cass. Sez. U. del 27/10/2016 n. 21691: “In tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”);

che, pertanto, la sentenza va cassata limitatamente al suddetto motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte ricorrente ex art. 32 cit. per il periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. 10/07/2015 n. 14461), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfr., per tutte, Cass. 17/02/2016 n. 3062).

PQM

 

La Corte accoglie l’ultimo motivo, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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