Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19596 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 04/08/2017, (ud. 20/04/2017, dep.04/08/2017),  n. 19596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23776-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo studio TRIFIRO’ & PARTNERS

Avvocati, rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE TRIFIRO’,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.F. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VICOLO DE’ BURRO’ 165, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

PELAGGI, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 897/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 30/09/2010 R.G.N. 1590/2008.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 30 settembre 2010 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato la nullità della clausola appositiva del termine per esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche derivanti dall’attuazione di previsioni di accordi sindacali del 2001/2002, di cui al contratto di lavoro stipulato per il periodo 2.5.2002 – 30.6.2002 tra R.F. e Poste Italiane Spa, nonchè la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con condanna della società al pagamento delle retribuzioni dalla messa in mora del marzo 2003;

che avverso tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso affidato a plurimi motivi, cui ha resistito l’intimata con controricorso;

che parte ricorrente ha comunicato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che preliminarmente va disattesa l’eccezione formulata da parte controricorrente di inammissibilità del ricorso per mancata formulazione del quesito di diritto, in quanto l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto come condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione, si applica “ratione temporis” ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 e fino al 4 luglio 2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma, disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, mentre nel caso di specie la sentenza è stata pubblicata successivamente a detta data;

che il primo ed il secondo motivo del ricorso, con cui si denunciano errori di diritto in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, alla L. n. 56 del 1987, art. 23, all’art. 25 CCNL Poste del 2001, oltre a vizi di motivazione, per avere la Corte di Appello ritenuto il contratto concluso dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001ricadente sotto la vigenza di detta disciplina e non sotto quella della I. n. 56 del 1987, sono infondati atteso che in materia di assunzioni a termine dei dipendenti postali, i contratti a termine stipulati successivamente alla data di scadenza (31 dicembre 2001) del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 del personale non dirigente di Poste italiane s.p.a. non rientrano nella disciplina transitoria prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11 e sono interamente assoggettati al nuovo regime normativo, senza che possa invocarsi l’ultrattività delle pregresse disposizioni per il periodo di vacanza contrattuale, ponendosi tale soluzione in contrasto con il principio secondo il quale i contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti (tra molte: Cass. n. 16424 del 2010; Cass. n. 20441 del 2015);

che il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione di legge, nonchè vizi di motivazione, per avere la sentenza impugnata ritenuto generica la motivazione posta a fondamento dell’assunzione, anche perchè riferita ad una pluralità di causali; il quarto motivo lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., “in ordine alla sussistenza del processo di riorganizzazione ed alla procedura di mobilità”;

che il decisum della Corte territoriale si fonda su di una duplice ratio decidendi, ciascuna idonea a sorreggere la decisione: l’una attinente alla genericità della clausola appositiva del termine, statuizione censurata con il terzo motivo di ricorso; l’altra attinente la carenza di prova in ordine al fatto che si fossero – effettivamente verificate le indicate esigenze tecniche, organizzative e produttive, statuizione censurata con il quarto mezzo di gravame;

che questo quarto motivo è inammissibile in quanto censura sotto la forma della violazione di legge un accertamento di fatto, quale è quello relativo alla sussistenza delle ragioni poste a fondamento del termine, in relazione alle allegazioni formulate da Poste Italiane Spa ed il giudizio in ordine all’ammissibilità ed alla rilevanza della prova sfugge al sindacato di questa Corte; che secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte: “in tema di ricorso per cassazione, qualora la motivazione della pronuncia impugnata sia basata su una pluralità di ragioni, convergenti o alternative, autonome l’una dall’altra, e ciascuna da sola idonea a supportare il relativo dictum, la resistenza di una di esse all’impugnazione rende del tutto ultronea la verifica di ogni ulteriore censura, perchè l’eventuale accoglimento di tutte o di una di esse mai condurrebbe alla cassazione della pronuncia suddetta” (Cass. n. 3633 del 2017, in contenzioso analogo; in precedenza, ex multis, Cass. n. 4349 del 2001, Cass. n. 4424 del 2001; Cass. n. 24540 del 2009);

che pertanto nella specie, poichè l’indicata ragione della decisione “resiste” all’impugnazione proposta dal ricorrente con il quarto motivo è del tutto ultronea la verifica della censura di cui al terzo motivo, perchè l’eventuale accoglimento di esso non potrebbe comunque determinare la cassazione della sentenza gravata; che il quinto motivo denuncia violazione ed erronea applicazione dei principi e delle norme di legge sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni e con il sesto si richiede l’applicazione dello ius superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32;

che tali censure, esaminabili congiuntamente, vanno accolte per quanto di ragione, essendo applicabile lo ius superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32 commi 5, 6 e 7, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (v. fra le altre Cass. n. 16763 del 2015 ed i precedenti ivi richiamati); nè rileva l’avvenuta abrogazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, ad opera del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 55, lett. f, (cfr. Cass. n. 7132 del 2016);

che le Sezioni unite di questa Corte, con la sent. n. 21691 del 2016, hanno statuito che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”; hanno altresì chiarito che “il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta retroattiva incontra il limite del giudicato, che, tuttavia, ove sia stato proposto appello, sebbene limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, non è configurabile in ordine al capo concernente le conseguenze risarcitorie, legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in base al combinato disposto dell’art. 329 c.p.c., comma 2, e art. 336 c.p.c., comma 1, l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente”;

che dunque non vi è giudicato sulle conseguenze risarcitorie sino a quando resta impugnato l’an sulla illegittimità del termine ed ove questa statuizione venga confermata occorre tenere conto dell’art. 32 della L. n. 183 del 2010, affinchè la decisione adottata sia conforme all’ordinamento giuridico;

che, pertanto, respinti i primi quattro motivi di ricorso, vanno accolte le ultime censura nei sensi e nei limiti del detto ius superveniens, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione ad essa e con rinvio per il riesame, sul punto, alla Corte di Appello indicata in dispositivo, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461 del 2015), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine (cfr. per tutte Cass. n. 3062/2016), provvedendo altresì alle spese del giudizio.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso limitatamente all’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, rigetta nel resto, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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